Vantaggi cardiometabolici per la dieta vegana sana rispetto alla dieta onnivora
Pillole di conoscenza
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Esiste una vasta letteratura a sostegno del fatto che seguire una dieta vegana o una dieta ricca di vegetali ovvero una dieta equilibrata senza prodotti animali o con bassissimo apporto di prodotti animali sia associata a benefici maggiori per l’organismo rispetto a chi segue una dieta onnivora. I fattori di rischio coinvolti, che sono intrecciati fra loro e si autoalimentano, comprendono: l’obesità per il diabete, per problemi cardiovascolari, per i tumori; lo stato infiammatorio, l’ipercolesterolemia, la glicemia alta, i problemi di insulina, la pressione alta. Nel complesso la letteratura è ormai chiara sul fatto che chi segue una dieta vegana ha risultati migliori per questi indicatori, e pertanto rischia di meno.
Di seguito due articoli scientifici significativi a conferma. Il primo riguarda uno studio clinico randomizzato condotto su gemelli pubblicato su JAMA (da cui è stato tratto il documentario prodotto da Netflix “Sei ciò che mangi”); ai partecipanti è stato chiesto di iniziare una dieta vegana per 8 settimane per valutare i primi benefici. I risultati hanno evidenziato vantaggi cardiometabolici per la dieta vegana sana rispetto alla dieta onnivora sana tra gemelli identici adulti sani.
Il secondo studio ha preso in esame i meccanismi biochimici di come alcune sostanze interagiscono con il funzionamento del nostro organismo (l’impatto dei radicali liberi, le dinamiche soggiacenti ai processi infiammatori e via dicendo).
All’interno di questi due approcci bisogna considerare alcuni fattori “confondenti” che rimescolano le carte. I risultati scientifici che rilevano un vantaggio delle diete “veg” si basano su regimi alimentari bilanciati, come da linee guida. Forse non tutti sanno che in Italia dal 2018 abbiamo delle linee guida per l’alimentazione vegetale pubblicate, bambini e svezzamento inclusi. Le evidenze scientifiche sui regimi alimentari sono ottenute tramite uno di questi due approcci. Nel primo dei due, la scelta degli indicatori per valutare quale alimentazione “faccia meglio” è basata sui risultati di ricerche del secondo tipo. In realtà bisogna fare una precisazione: non sempre è così chiaro che cosa si intenda per dieta vegetale. Un articolo uscito su Nature nel 2022 ha esaminato l’uso dei termini vegetale, vegetariano e vegano in oltre 150 articoli scientifici pubblicati fra il 1992 e il 2020 per capire esattamente che tipo di dieta “a base vegetale” è stata presa in considerazione, ossia quali tipi di alimenti può includere una dieta a base vegetale. Risultato: molti usano questo termine in modo intercambiabile con dieta vegana, altri includono una piccola parte di prodotti lattiero-caseari, altri ancora enfatizzano un modello dietetico semi-vegetariano.
Detto questo, quello che si può affermare oggi riguardo alle diete a base vegetale è che non è necessario diventare completamente vegani per veder migliorare i propri livelli di colesterolo cattivo, di infiammazione, di insulina, fattori noti di rischio per varie patologie, o per veder ridurre i livelli di grasso corporeo e viscerale. Anche abbattere drasticamente il consumo di alimenti di origine animale fa la differenza. Chiaramente è la qualità complessiva della dieta, più che l’apporto di un singolo macronutriente, a determinare la riduzione o l’aumento di tale rischio. Ma è altrettanto evidente che se invece si fa il salto completo, passando a un regime alimentare completamente vegetale, ma equilibrato, si sta ancora meglio. In altre parole non esiste solo il bianco e il nero, mangiare un uovo ogni tanto o la pastasciutta all’amatriciana durante la festa con la nonna o il panino con il formaggio quella volta che in rifugio in montagna non c’è altro, non vanifica la quotidianità di una dieta a base vegetale. È comunque chiaro oggi a chiunque voglia leggere con onestà la letteratura medica che i vegani sono quelli che mostrano statisticamente i valori migliori di tutti.
Stati di infiammazione progressivi e costanti nel tempo (= infiammazione cronica di basso grado) sono alla base dell’insorgenza di patologie cronico-degenerative, quali obesità, sindrome metabolica, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari. In realtà però non bisogna semplificare. Ci sono molecole pro-infiammatorie che incidono sul rischio cardiovascolare. Due di queste sono la carnitina e la colina, le quali una volta nell’intestino si convertono in TMAO, la trimetilamina N-ossidata, derivata dal metabolismo ad opera dei batteri intestinali della colina, che nell’uomo viene assunta prevalentemente come lecitina alimentare. La TMAO favorisce l’accumulo di colesterolo nei macrofagi e, in accordo, è stata riscontrata una relazione positiva tra alti livelli di TMAO ed incidenza di eventi cardiovascolari maggiori. Secondo alcuni studi la TMAO è un fattore di rischio indipendente per l’aterosclerosi.
Negli ultimi dieci anni da alcune delle più importanti istituzioni scientifiche, come l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) e la Società americana degli oncologi (ASCO) hanno rilevato che un consumo eccessivo di acidi grassi trans è associato a un aumentato rischio di sviluppare tumori del cavo orale, della faringe, dell’esofago, del seno e dell’ovaio. Una sintesi chiara si trova sul sito di AIRC: i grassi saturi, quasi sempre di origine animale, pesci inclusi, se in alte concentrazioni, sono stati associati a una maggiore incidenza di aterosclerosi e disturbi cardiaci. Molti acidi grassi favoriscono l’innalzamento dei livelli di colesterolo-LDL, quello che chiamiamo “cattivo” perché si accumula sulle pareti delle arterie. Fanno parte invece dei grassi polinsaturi gli omega-3 e gli omega-6 (contenuti negli oli, in particolare in quelli di mais e di girasole). Infine ci sono i grassi trans che si trovano negli alimenti di origine industriale come snack, dolci e patatine. L’Organizzazione mondiale della sanità vorrebbe azzerarne l’utilizzo da parte dell’industria alimentare entro il 2023; oggi la soglia fissata per i prodotti industriali è di 2,2 g di acidi grassi trans per ogni 100 g di grassi presenti.
Infine, tutte le metanalisi degli ultimi anni confermano che le diete equilibrate a basso o nullo contenuto di alimenti animali riducono i livelli di colesterolo cattivo nelle arterie e di grasso. L’obesità è un fattore di rischio per molte malattie. Citiamo solo un esempio di studio in tal senso: la sintesi della commissione IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) uscita sul New England Journal of Medicine nel 2016. Le evidenze sinora in nostro possesso hanno mostrato che l’obesità accresce il rischio di sviluppare almeno 12 forme di cancro, in particolare quelli dell’apparato digerente: esofago, stomaco, colon-retto, fegato, pancreas e la colecisti), oltre ai tumori del seno, dell’utero, dell’ovaio, della tiroide, del rene e della prostata. Statisticamente chi mangia in maniera “veg” ha molta più facilità a tenere sotto controllo il peso perché si riducono grasso e grasso viscerale, quello cioè che circonda gli organi interni, il più pericoloso
Landry MJ, Ward CP, Cunanan KM, et al. Cardiometabolic Effects of Omnivorous vs Vegan Diets in Identical Twins: A Randomized Clinical Trial. JAMA Netw Open. 2023;6(11):e2344457. doi:10.1001/jamanetworkopen.2023.4445