Tamaro | Tamus communis
Il tàmaro, Tamus communis o Dioscorea communis, è una pianta erbacea perenne rampicante monocotiledone della famiglia delle Dioscoreaceae. Il portamento della pianta e gli apparenti grappoli in cui si riuniscono le bacche ricordano la vite, mentre i giovani getti ricordano il turione degli Asparagus officinalis. Per questi motivi i vari nomi in vernacolo, in genere, fanno riferimento alla vite o all’asparago.
La parola “Tamus” deriva dal nome latino “Uva Tamina” attribuito ad una pianta rassomigliante a una vite. Viene inoltre chiamata anche Discorea perché dedicata al medico botanico greco Discoride, vissuto nel I° secolo dopo Cristo. Con l’epiteto ‘communis’ si sottolinea la diffusione comune della specie.
In Italia cresce soprattutto nel sottobosco, ma anche nelle radure, partendo dal livello del mare per arrivare fino agli ottocento metri d’altitudine e più. Sull’Etna, poi, si può trovare fino ai 1400 metri d’altitudine. Il tamaro è una pianta spontanea, classificata anche come pianta officinale. La velocità della sua crescita è davvero sorprendente: a sole tre ore dalla germinazione, i primi germogli iniziano già a spuntare.
Rispetto alle altre piante la sua crescita è veramente più rapida, il che non è sempre un bene per chi ha le radici nelle sue vicinanze. Basti pensare alle fragoline di bosco, che spesso non riescono a ricevere sufficiente luce solare perché sono coperte proprio dal tamaro. Spesso, inoltre, si attorciglia attorno ad altre piante legnose. Questa pianta bulbosa e rampicante è dotata di una fragile radice carnosa e tuberosa. All’esterno è nera e il suo fusto può essere alto dai tre ai cinque metri.
Le foglie, alterne e glabre, sono di colore verde brillante e sono inserite sui fusti mediante sottili piccioli cilindrici di colore verde pallido lunghi mediamente 8 centimetri. La lamina fogliare, lunga 5-10 cm e larga 4-8 cm, è cuoriforme con nervature marcate convergenti tutte nell’apice appuntito. La base della foglia è suddivisa in due lobi a forma di U aperta. Le foglie giovani sono lucide mentre quelle ben sviluppate sono opache.
Il Tamaro è una pianta dioica. Ha fiori maschili e femminili di colore giallo-verdognolo con perianzio diviso in sei lobi. I fiori maschili sono riuniti in infiorescenze a racemi lunghe circa 15 cm sorrette da lunghi peduncoli, mentre quelli femminili sono racemi lunghi non più di 1 cm portate da corti peduncoli.
I frutti sono bacche globose amarissime di colore rosso brillante simili a quelle del Ribes, hanno la grandezza di un pisello, e crescono riunite in densi grappoli penduli che persistono sui rami anche dopo la caduta delle foglie. Le bacche mature sono molto decorative e anche se tossiche per l’uomo costituiscono una fonte di cibo per gli uccelli.
I principali componenti del tamaro sono le saponine, i tannini, gli ossalati di calcio e potassio.
Alla pianta vengono attribuite proprietà officinali, emetiche, purgative, risolventi, rubefacenti, stimolanti conferite a questa pianta ai principi attivi della radice.
Per le proprietà rubefacenti e stimolanti veniva utilizzato come rinforzante del cuoio capelluto; ridotta in polvere, poi, veniva utilizzata per allontanare i pidocchi dal cuoio capelluto.
E’ risolvente di contusioni, distorsioni e strappi muscolari. La cultura popolare francese ha denominato questa pianta “herbe aux femmes battues”, erba delle donne picchiate. È chiaro il riferimento alle proprietà per placare le ecchimosi, le contusioni e i lividi. Questa capacità così utile è merito delle saponine contenuta dalla pianta, che è ottima per curare le ferite. Inoltre, fra le principali sostanze che contiene ci sono anche l’istamina e l’ossalato di potassio, che grazie alla loro funzione di stimolare la circolazione periferica fanno sì che la guarigione acceleri.
Questa capacità, in Italia, è valsa alla tamus communis l’appellativo di Sigillo della Madonna. Ci si riferiva al liquido che si otteneva spremendo le radici, e che veniva utilizzato appunto per sigillare le ferite. Particolarmente diffuso era un unguento che si otteneva grattugiando la radice ed unendola con quantità uguale di strutto, per poi applicarla esternamente sopra la parte interessata.
Anticamente la radice veniva usata come purgante (molto potente), ma anche come antireumatico e anti gottoso; veniva inoltre utilizzata per la preparazione di infusi e decotti contro l’influenza, il raffreddore e i reumatismi
Oggi l’utilizzazione del tamaro come pianta medicinale è del tutto abbandonata a causa degli effetti collaterali dovuti alla presenza di ossalato di calcio e di potassio, saponine e una sostanza simile all’istamina.
L’uso non controllato anche per via esterna, può comportare effetti collaterali di una certa gravità: reazioni allergiche, vomito, diarrea, danni ai reni, all’apparato digerente e a quello respiratorio
In cucina, i turioni del tamaro poiché sono commestibili, vengono consumati come gli asparagi o quelli del pungitopo, previa sbollentatura, saltati in padella con aglio e olio, nelle minestre o come ripieno di torte rustiche. In molte regioni, la polvere della radice essiccata del tamaro viene utilizzata insieme ai semi di finocchio, coriandolo, anice e cannella per aromatizzare i piatti a base di carne di maiale.
E’ assolutamente vietato prendere per via orale l’estratto di tamaro o qualunque parte della pianta.
In giardinaggio è impiegata sui terrazzi e nei giardini, semplicemente come pianta ornamentale.
Ad ogni modo, al di là di quanto accennato, le bacche del tamaro sono altamente tossiche, addirittura letali, specie se assunte dai bambini. In linea di massima, dei principi tossici sono presenti sia nelle bacche che nelle radici. Se ne viene ingerita una grande quantità, l’avvelenamento si manifesta con vomito, coliche e addirittura la morte. Ecco perché è necessario procedere sempre con la massima cautela.