Rafano o Cren
Numerosi sono i sinonimi attribuiti al rafano, utilizzati comunemente nella lingua parlata, così come molteplici sono i nomi scientifici ascrittigli: il rafano viene volgarmente chiamato cren o barbaforte, ed in botanica è catalogato come Armoracia rusticana, Cochlearia armoracia, Raphanus magna, Radicula armoracia e Nasturtium amoracia. Esistono più di 2500 specie.
Il rafano è una pianta erbacea rustica e perenne, alta circa 50 cm, appartenente alla famiglia delle Brassicaceae (o Crucifere, la stessa dei ravanelli, della senape e del cavolo): data la sua rigogliosità, il rafano viene talvolta considerato addirittura una pianta infestante.
Le foglie sono molto grandi, ruvide, allungate, dal colore verde scuro o brillante, in grado d’innalzarsi sino ad un metro d’altezza; i fiori, piccoli e bianchi, sono raggruppati in racemi e si distinguono per la particolare disposizione a croce dei petali. Il rafano predilige terreni fertili, con un alto grado di umidità, e viene preferibilmente coltivato in ambienti poco ombreggiati.
Si ritiene che il rafano abbia avuto origine nella Penisola Balcanica ma, più in generale, il rafano è oriundo dell’Europa centro-meridionale.
Il rafano è coltivato per le radici fittonanti, dal colore biancastro-giallo, polposa ed allungata, utilizzate nella preparazione della nota salsa cren, ottenuta semplicemente grattugiando la radice, con l’aggiunta di aceto e pangrattato: si tratta di una salsa acre, pungente, paragonabile a quella della senape, non apprezzata da tutti.
Le radici del Rafano rusticano contengono un 20-30 % di sostanza secca con una elevata percentuale di glucidi (saccarosio, fruttosio, ecc.), pectina, emicellulosa, cellulosa e lignina, carboidrati che conferiscono alla radice un notevole valore energetico (55-60 cal/100 g). Numerosi sono anche gli enzimi (amilasi, invertasi, perossidasi, lipasi, proteasi, ecc.) tra i quali particolarmente importante è la mirosinasi responsabile della scissione, in presenza di acqua, del glucoside solforato sinigrina, contenuta nella quantità del 0,32 % nella radice, con produzione di isosolfocianato di allile composto che conferisce alle radici di rafano rusticano le peculiari caratteristiche organolettiche, e di D-glucosio e bisolfato di potassio. Elevato è anche il contenuto vitaminico particolarmente le vitamine B1 e C. Per quanto concerne la composizione delle ceneri (1,5%), è notevole il contenuto di elementi minerali quali zolfo, potassio, fosforo, ferro, sodio, silicio e cloro. Contiene numerosi amminoacidi, quali glutammina, arginina, galattosio, ed anche pectine, zuccheri, acido ascorbico, acidi ossalico e glicolico.
Il componente di gran lunga più importante è il glucoside solforato sinigna (riscontrabile anche nella senape), che contiene lo 0,6% di isosolfocianato di allile libero, composto volatile principale che conferisce il sapore e l’odore pungente alla radice del rafano rusticano. Oltre al solfocianato di allile, comunque, si riscontrano nell’olio essenziale delle radici di rafano (0,146-0,216%) altri prodotti volatili come l’isosolfocianato di feniletile che rappresenta un quarto o un quinto dell’olio essenziale di rafano, l’isosolfocianato di fenilpropile, il solfuro di diallile, il solfocianato di butile.
Sono questi componenti, derivati dalla scissione enzimatica della sinigrina, che conferiscono sapore e odore piccante alle radici del rafano rusticano nonché le sue peculiari caratteristiche medicinali.
Al rafano vengono attribuite proprietà:
- antiossidanti: i solforati, molecole presenti in notevole quantità nella radice della barbaforte, svolgono un importante ruolo a livello epatico, aiutando il fegato nel processo di detossificazione e rappresentando un potente antiossidante poiché in grado di contrastare l’azione dei radicali liberi
- antinfiammatorie, utili a decongestionare le vie respiratorie e contro bronchiti, sinusiti e raffreddori, anche grazie all’alto contenuto in vitamina C, che rafforza il sistema immunitario
- antibiotiche, dal momento che la sua radice è ricca di sinigrina, un olio volatile dal notevole potere antibatterico e antibiotico, utile per combattere l’influenza ma in caso di infiammazione alle vie urinarie;
- depurative, in grado di stimolare la diuresi, favorendo la minzione e contrastando la ritenzione idrica
- cardiovascolari: la sinigrina regola la pressione arteriosa, mentre il potassio contenuto nella radice della pianta, essendo un vasodilatatore, migliora il circolo dei fluidi corporei e aumenta la circolazione sanguigna
- analgesiche, sfruttabili per lenire dolori da reumatismi, strappi muscolari, artrite e sciatalgie
- digestive, in quanto il consumo di rafano stimola i succhi gastrici e favorisce la produzione di bile, facilitando il processo digestivo; inoltre è ricchissimo di fibre
- dimagranti, perché è in grado di accelerare il metabolismo e bruciare i grassi in eccesso
- dermatologiche: per uso topico, può essere impiegato per contrastare l’alopecia, la dermatite, l’herpes, le macchie della pelle, eritemi e scottature.
Per quanto riguarda l’ impiego del rafano in cucina, generalmente si utilizza soprattutto la radice, ma anche le foglie possono essere usate in insalata o come ingrediente di zuppe e minestre. L’importante è che le foglie siano giovani, poiché nel tempo tendono a diventare piuttosto dure e ruvide. Quando è intatta, la radice non possiede un particolare aroma, ma se viene tagliata, tritata o grattugiata, si attivano degli enzimi che scindono la sinigrina in isotiocianato di allile, la molecola responsabile del sapore piccante; si sprigionano allora delle esalazioni fortissime e irritanti per gli occhi e le mucose nasali, analogamente a quanto avviene quando si affettano le cipolle. Inoltre, quando si ossida, la radice tende ad annerirsi: si consiglia pertanto di irrorarla con una soluzione di acqua e limone o aceto.
Il rafano grattugiato deve essere utilizzato immediatamente o al massimo conservato in aceto. La polpa una volta esposta all’aria o al calore comincia a perdere il suo gusto pungente, a scurire di colore, e a diventare sgradevolmente amara nel tempo.
Se consumato in dosi eccessive, il rafano può irritare le mucose gastriche. Pertanto, il suo uso è controindicato in caso di: gastrite e ulcera, irritazioni intestinali, reflusso gastroesofageo, disfunzioni renali, malattie delle vie urinarie, malattie epatiche, allergie, gravidanza e allattamento.
Il rafano è usato, nella cucina tradizionale della Basilicata, per la preparazione della cosiddetta rafanata materana o marsicana, in cui la radice grattugiata fresca è unita a formaggio pecorino, uova sbattute, prezzemolo e pepe nero per la preparazione di una frittata alta anche alcuni centimetri, ricca pietanza tipica del periodo di Carnevale. Il rafano crudo è il condimento principe dello ‘Ndrupp’c, o “intoppo”, il ragù tipico della città di Potenza: viene grattugiato fresco, direttamente sul piatto di ragù appena preparato, in aggiunta al formaggio, e subito portato in tavola. Utilizzato il tal modo viene ironicamente definito dai Potentini “u tartuf’ d’i povr’ òmm” (trad. “il tartufo dei poveri”; letteralmente, “il tartufo degli uomini poveri “). Nella provincia di Potenza è utilizzata anche la foglia per aromatizzare minestre a base di verza. Viene anche utilizzato per creare un surrogato del wasabi.
Nella cucina triestina, il rafano grattugiato fresco è usato come condimento essenziale per gli antipasti a base di prosciutto cotto in crosta di pane o di prosciutto cotto tipo “Praga”. Nel Triveneto, in particolar modo in Friuli-Venezia Giulia e in Provincia di Treviso, la salsa cren (o kren) è onnipresente come accompagnamento dei piatti a base di carne pure nella cucina sudtirolese, in particolare assieme allo speck. In Alto Adige inoltre è usanza portarne una porzione in chiesa in occasione della messa di Pasqua.