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Selenicereus undatus (Haw.) è una pianta succulenta della famiglia delle Cactaceae. Il suo frutto è conosciuto come frutto del drago (adattamento dell’inglese dragon fruit), Pitahaya o Pitaya. Questo ultime termine si applica anche ad altri frutti simili (per esempio quelli dei cactus Stenocereus). La pianta viene anche coltivata a solo scopo ornamentale.
È un frutto tropicale che, anche grazie alle numerose piantagioni extra continentali – ad esempio nel Sud Est Asiatico e in Australia – sta rapidamente espandendosi anche nella rete commerciale del Vecchio Continente.
La pianta è un cactus con ”rami” lunghi che possono crescere anche fino a 6-12 metri e che hanno portamento strisciante o ricadente; sono spessi circa 10–12 cm e mostrano tre costolature. Le areole – cioè le piccole aree che portano le spine nei cactus – sono ampie circa 2 mm. Le spine sui rami adulti sono lunghe 1–4 mm, da aciculari a quasi coniche, di colore da grigiastro a nero. con un cactus che varia dai 25 ai 30 cm. Forma radici aeree con le quali riesce ad attaccarsi, per esempio, agli alberi (pianta epifita) o alle rocce (pianta litofita). I fiori sono bianco-verdastri, lunghi circa 25-30 cm e con un diametro che varia tra 15 e 20 cm: producono nettare per attirare gli impollinatori e durante la fioritura emanano un forte profumo vanigliato. I fiori della Pitaya sbocciano al calar del sole e si chiudono di giorno, per questo motivo la pianta è chiamata anche regina della notte. Per la fecondazione, si affidano a impollinatori notturni come pipistrelli o falene.
Le piante di pitaya rossa possono produrre frutti per 4-6 volte all’anno. Non si tratta di alimenti facilmente reperibili sul mercato italiano; in genere è più facile trovarli nei mercati e nei supermercati nel periodo natalizio.
Spesso si semplifica parlando di Pitaya rossa e gialla, selezionando il frutto in base al colore della buccia: in realtà la giusta classificazione segnala tre varietà del frutto:
- Hylocereus undatus (Pitaya bianca o Pitaya dalla polpa bianca): frutto dalla buccia rossa con la polpa bianca. È il “frutto del drago” più diffuso.
- Hylocereus costaricensis (Pitaya rossa o Pitaya dalla polpa rossa, noto anche come Hylocereus polyrhizus): frutto dalla buccia rossa con la polpa rossa.
- Hylocereus megalanthus (Pitaya gialla o Selenicereus megalanthus): frutto dalla buccia gialla con la polpa bianca.
Proprietà nutrizionali
La pitaya è un frutto di grosse dimensioni, un peso che oscilla tra 150 e 600 g.; è lungo da 5 fino a 12 cm con un diametro di 4-9 cm, il suo colore varia dal rosa intenso al rosso-viola, con larghe brattee verdastre, buccia tipicamente frastagliata – forse è proprio questa peculiarità, che ricorda vagamente la pelle di un animale mitologico, ad aver fatto sì che venisse chiamata anche “frutto del drago”.
All’interno la polpa è generalmente di color bianco o rosso con numerosissimi e piccolissimi semi di color nero, che sono commestibili. La polpa è di consistenza morbida e ha un sapore abbastanza delicato; il gusto è molto dolce, con note acidule di secondaria importanza – anche questa caratteristica può variare in base alla specie botanica di cactus.
Come la maggior parte dei frutti dolci, si mangia prevalentemente cruda, anche se può essere usata per ricette più complesse tra cui succhi di frutta, gelatine, budini e altri dessert.
La pitaya è anche un ingrediente aromatizzante e colorante per succhi di frutta e bevande alcoliche, come ad esempio il “Dragon’s Blood Punch” ed il “Dragotini”.
Valore nutrizionale della pitaya essiccata
Nel 2018, il “Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti” ha analizzato per la prima volta i frutti del drago importati da un solo produttore, dimostrando che 100 grammi di pitaya contengono ben 268 calorie; 82 g sono costituiti da carboidrati, 4 g da proteine e 11 g da vitamina C e calcio.
La pitaya appartiene al VII gruppo degli alimenti – frutta e verdura ricca di vitamina C – ma è anche una fonte significativa di zuccheri solubili, fibre e certi minerali. Contrariamente alla maggior parte dei frutti freschi, è povera d’acqua.
E’ un frutto molto calorico grazie prevalentemente ai carboidrati solubili, ovvero dal fruttosio, (82 g/100 g) e solo marginalmente alle proteine a basso valore biologico (4 g/100 g); se si esclude il contenuto dei semi, l’apporto di grassi è irrilevante. I restanti 11 g/100 g sono costituiti da minerali, vitamine e fitoelementi; tra tutti, dal punto di vista nutrizionale, hanno maggior rilevanza il calcio e la vitamina C (acido ascorbico).
La pitaya contiene un buon livello di fibre alimentari. Colesterolo, lattosio e glutine sono invece assenti. Istamina, purine e amminoacido fenilalanina compaiono in quantità scarse o quasi nulle – non è noto se sia un istamino liberatore.
La pitaya è ricca di una sola vitamina, l’acido ascorbico (vitamina C). Per quel che concerne i sali minerali, l’unico valore degno di nota è quello del calcio, anche se è logico dedurre che non sia del tutto biodisponibile. Se fosse carente nella dieta – che invece, come sappiamo, in occidente ne è mediamente troppo ricca – potrebbe risultare interessante anche l’apporto di sodio.
La pitaya rossa e quella viola sono ricche di betacianine – antocianidine antiossidanti.
Controindicazioni
Non tutti possono consumare liberamente pitaya nella dieta. Essendo molto energetico, questo frutto ha alcune controindicazioni nella nutrizione clinica, soprattutto delle persone che soffrono di patologie legate al metabolismo del glucosio.
Ad ogni modo, la pitaya non si presta ad essere consumata frequentemente o in porzioni considerevoli. È controindicata soprattutto nella dieta contro il sovrappeso e certe malattie del ricambio, tra le quali il diabete mellito tipo 2 e l’ipertrigliceridemia. Non sembra avere controindicazioni dirette per le patologie metaboliche di ipertensione arteriosa primaria ed ipercolesterolemia; va comunque tenuto a mente che risultano strettamente correlate con l’obesità.
La pitaya è considerata innocua per: celiachia, intolleranza al lattosio e fenilchetonuria. Carente di purine, potrebbe essere utilizzata nella dieta contro l’iperuricemia e la calcolosi (litiasi) renale da acido urico, ma bisogna anche considerare che la notevole concentrazione di fruttosio potrebbe ostacolare l’eliminazione di dell’acido urico – dal sangue alle urine. Per la mancanza di informazioni dettagliate, in caso di intolleranza grave all’istamina, meglio evitare grosse porzioni del frutto.
La porzione media consigliabile è indicativamente di 50 g (circa 130 kcal).