Mezereo | Daphne Mezereum L.
Il mezereo (Daphne mezereum L., 1753), chiamato anche fior di stecco perché genera i fiori su rami nudi all’apparenza secchi, è una pianta di tipo cespuglioso appartenente alla famiglia delle Thymelaeaceae.
Si tratta di un piccolo arbusto da 30 cm a 1 m semi-sempreverde originario dell’Asia e dell’Europa centrale e meridionale, con fusto legnoso e rami laterali consistenti; foglie di 5-6 cm lanceolate, brevemente picciolate, alterne; fiori ermafroditi di 1 cm senza petali formati solo dal calice di colore dal rosa forte al rosso porpora e raramente bianchi, raccolti in infiorescenze a gruppi di tre all’ascella delle foglie; i frutti (drupe) sono bacche rosso-corallo di 1 cm.
Cresce nei boschi mesofili e nelle loro radure, dai querco-carpineti alle faggete, su suoli argillosi piuttosto profondi, dalla fascia submediterranea alla fascia montana superiore; gradisce particolarmente le posizioni in pieno sole o in ombra parziale. Questa specie (compresi anche alcuni ibridi) è largamente usata nel giardinaggio rustico di tipo roccioso o alpino.
Il nome generico deriva da “dàphne”, nome greco dell’alloro, per le foglie sempreverdi di alcune specie come D. laureola; il nome specifico (mezereum) deriva dall’arabo e significa “mortale”. Periodo di fioritura: marzo-maggio. Le dafne sono note fin dall’antichità per le proprietà farmacologiche, ma il loro uso è molto pericoloso, e spesso il solo contatto con l’epidermide causa arrossamenti e vesciche sulla pelle. I frutti rossi, la cui ingestione provoca avvelenamenti anche mortali, sono stati impiegati in pittura e anche come fard in Siberia, cosmetico non meno pericoloso della biacca usata dalle matrone romane.
Tutte le parti di questa pianta sono molto tossiche (specialmente le bacche); contengono diterpeni irritanti (dafnani); il suo succo ad esempio produce una forte azione irritante e produce delle vesciche sulla pelle. Le bacche se sono ingerite possono causare dei sintomi simili al soffocamento. Nelle varie parti della pianta è infatti contenuta una “resina acridica”, chiamata mezerina, ma anche un glucoside amaro e velenoso denominato dafnina (è un “glucoside cumarinico” formato da due composti: glucosio e dafnetina).
Viene usata soprattutto la corteccia, fresca o macerata nell’acqua o nell’aceto, per preparare cataplasmi vescicatori molto attivi; veniva anche usata in polvere come starnutatorio.
Tutte le parti di questa pianta sono molto tossiche (specialmente le bacche). La pianta è sicuramente la più irritante della nostra flora. Il semplice contatto col tegumento dei semi e dei frutti provoca, nel giro di alcune ore, la formazione di bolle e vescicole, con imponente arrossamento. E’ facile quindi immaginare cosa succeda dopo l’ingestione delle belle bacche rosse. L’effetto irritante della dafne aveva reso popolare questa pianta fra i mendicanti, che, per impietosire la gente, si provocavano vistose lesioni cutanee per simulare malattie sistemiche. Nonostante la gravità della sintomatologia, gli effetti sulla pelle, almeno per il contatto occasionale, non sono permanenti, ma scompaiono dopo alcune settimane. L’ingestione anche di solo 2-3 frutti della dafne può essere letale per un bambino, ed una decina per un adulto, come testimoniato da Linneo stesso. L’avvelenamento è caratterizzato all’inizio da sintomi gastrointestinali così imponenti da simulare un’appendicite acuta, e poi da diarrea incontrollabile, salivazione massiva e sintomi neurologici. Come per le euforbie, non esistono antidoti specifici.
Generalmente gli animali evitano accuratamente di mangiare la dafne mezereo per il suo sapore decisamente amaro, tuttavia in letteratura sono segnalati casi di avvelenamento di suini e di equini.
Anticamente gli estratti di questa pianta venivano usati come purganti, vescicanti (uso esterno) e per i dolori reumatici. In tempi più recenti dalla corteccia si ricavano diuretici e stimolanti da usarsi sempre sotto stretto controllo medico.
L’industria ricava da questa piante dei coloranti (giallo e verde-bruno dalle foglie) e dell’olio (il seme contiene fino al 30% di oli grassi).
N.B. Questa pianta rientra nella lista del Ministero della Salute per l’impiego non ammesso nel settore degli integratori alimentari