Leccio – Quercus ilex
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Il leccio (Quercus ilex L., 1753), detto anche elce, è un albero sempreverde appartenente alla famiglia Fagaceae, diffuso nei paesi del bacino del Mediterraneo. In Italia è spontaneo nelle zone a clima più mite, dove è anche molto frequente nei giardini e nei viali cittadini.
Il Leccio è una pianta dalle caratteristiche estetiche molto apprezzate in giardinaggio e architettura del paesaggio. La sua origine risale all’Europa meridionale, dove cresce in ambienti naturali prevalentemente aridi e poveri di nutrienti, meglio se calcarei; è una specie molto longeva, capace di superare i 1.000 anni di vita, grazie alla sua struttura robusta e resistente alle condizioni ambientali avverse; la sua storia millenaria lo rende un simbolo di identità culturale e naturale del Vecchio Continente. Tra i maggiori e più antichi alberi si annovera il cosiddetto Ilici di Carrinu (leccio di Carlino) nel territorio di Zafferana Etnea alto 25 metri, con una fronda che raggiunge i 30 metri di diametro, la cui età è stimata intorno ai 700 anni.
Il Leccio ha un aspetto bello, imponente e maestoso ed è particolarmente apprezzato per la sua forma a cespuglio, che lo rende adatto per la creazione di siepi alte e dense. Si presenta come un arbusto o grande albero sempreverde e latifoglie, con fusto raramente dritto, singolo o diviso alla base, di altezza fino a 20–24 m.; può assumere aspetto di cespuglio qualora cresca in ambienti rupestri. La corteccia è liscia e grigia da giovane; col tempo diventa dura e scura quasi nerastra, finemente screpolata in piccole placche persistenti di forma quasi quadrata. I giovani rami dell’anno sono pubescenti e grigi, ma dopo poco tempo diventano glabri e grigio-verdastri. Le gemme sono piccole, tomentose, arrotondate con poche perule.
Le sue foglie giovani e superiori sono di forma larga, da 1 a 3 cm, con i margini dentati e pungenti, mentre quelle vecchie e inferiori sono più lunghe, da 2 a 9 cm, con il margine intero. Il colore delle foglie è verde pallido, ma da adulte assumono una tonalità più scura nella parte superiore e bianca in quella inferiore, creando un effetto suggestivo di colore.
In primavera, il Leccio produce fiori di colore giallo tenue, che appaiono a maggio, mentre i frutti sono ghiande di colore verde chiaro racchiuse in cupole squamose.
I frutti sono delle ghiande, dette lecce, portate singole o in gruppi di 2-5, su un peduncolo lungo circa 10–15 mm (eccezionalmente anche 40 mm). Le dimensioni variano da 1,5 a 3 cm di lunghezza, per 1-1,5 cm di diametro. Sono di colore castano scuro a maturazione, con striature più evidenti.
Il Leccio è una pianta molto apprezzata anche per le sue caratteristiche ecologiche, poiché svolge un ruolo importante nella conservazione del suolo e nella protezione delle acque sotterranee. Inoltre, è considerato un simbolo di forza e longevità, tanto da essere stato utilizzato anche come emblema in molte culture antiche. Gli antichi greci lo tenevano in grande considerazione, sfruttando le foglie per raccontare il futuro e creare corone per onorare le persone. Le ghiande inoltre erano indossate come gioielli in quanto rappresentavano un segno di fertilità. Le ghiande prodotte dal Quercus Ilex sono anche un’importante fonte di cibo per i suini ruspanti allevati per produrre il famoso prosciutto iberico.
Il legno è duro, compatto e pesante, difficile da lavorare e da stagionare. È utilizzato soprattutto come combustibile e per la produzione di carbone vegetale. Il legno del leccio è tra i più tannici che si conoscano. Per questo motivo i romani lo usavano ampiamente per creare strumenti, carrelli e botti di vino. I tannini sono sostanze chimiche amare disinfettanti, di colore scuro. Quando nel legno fresco appena tagliato di leccio si conficca un chiodo in ferro, dopo qualche ora è possibile notare una piccola chiazza blu che circonda il chiodo. Quest’anello è un viraggio del legno dovuto alla reazione dei tannini con il ferro ed è un fenomeno tipico di questa ed altre piante tanniche.
Il legno del Quercus ilex è ancora oggi molto apprezzato in campo artigianale per la sua resistenza e la sua bellezza. Viene utilizzato per creare mobili, rivestimenti, pavimentazioni e oggetti d’arte. Inoltre, le foglie di leccio vengono spesso utilizzate in erboristeria per le loro proprietà curative, come ad esempio l’azione antinfiammatoria e antiossidante.
Esistono due sottospecie:
- Quercus ilex subsp. Ilex, nativa nell’area che va dall’est della penisola iberica alla Costa Azzurra fino alla Grecia. Foglie assai vicine; ghiande lunghe 2 cm, dal sapore dolciastro.
- Quercus ilex subsp. rotundifolia (syn. Q. rotundifolia, Q. ballota), nativa nell’area che va dal sud della penisola iberica al nordovest dell’Africa. Foglie rade; ghiande lunghe 2.5 cm, dal sapore amarognolo.
Il leccio cresce lungo tutto il bacino del Mediterraneo, mancando solo in Egitto (in Libia è stato probabilmente introdotto dall’uomo). La specie è comunque maggiormente diffusa nel settore occidentale, soprattutto in Algeria e Marocco, in tutta la Penisola Iberica (dove costituisce uno dei componenti principali della dehesa), nella Francia mediterranea e in Italia, dove forma boschi puri anche di notevoli dimensioni.
Nel settore orientale, a partire dai Balcani, invece, si trova in boschi misti ad altre essenze forestali, spesso ben distanti tra loro, e solo in stazioni con un’adeguata umidità. Si trova, sempre consociato, anche lungo le coste turche del Mar Nero. In Italia è diffuso soprattutto nelle isole e lungo le coste liguri, tirreniche e ioniche. Sul versante adriatico i popolamenti sono più sporadici e disgiunti (tranne che in Puglia, Abruzzo e Marche). Piccole popolamenti sono presenti anche sulle Prealpi lungo le coste dei laghi, sui Colli Euganei, in Friuli Venezia Giulia, in Romagna fino al Bolognese-Imolese e nel Bosco della Mesola nel ferrarese.
Il leccio è uno dei rappresentanti più tipici e importanti dei querceti sempreverdi mediterranei, ed è il rappresentante caratteristico del Quercetum ilicis, la vegetazione cioè della fascia mediterranea temperata. Per quanto riguarda il terreno questa specie non ha particolari esigenze. Preferisce però terreni non troppo umidi, con un buon drenaggio. Ha una crescita maggiore in terreni vulcanici e nelle zone costiere, mentre in terreni rocciosi calcarei ha una crescita minore. In zone più umide dell’entroterra ha una crescita stentata ed è sopraffatto spesso da specie più adatte.
Influenza nella toponomastica
La città di Lecce, secondo un’etimologia popolare prenderebbe il suo nome proprio dal leccio: nel suo stemma compare un albero assieme ad una lupa (che ricorda il nome latino della città: Lupiae). In realtà Lecce è l’esito locale di Lupiae, attraverso passaggi fonetici quali Luppia (nella Tavola Peutingeriana), Lypiae, Lyciae, Liccia, Liccem (in latino medievale), Licce.
Al contrario, è proprio l’elce che dà il nome ai paesi di Elcito ed Elice in Abruzzo. Il Monte Ilice, un antico cratere laterale dell’Etna in provincia di Catania, ossequiato da Storia di una capinera, deve il nome ad un fitto bosco di lecci (“ilici” in siciliano) presente ancora all’interno della conca del cratere. Il paese di Leccio, frazione di Reggello in provincia di Firenze, prende il nome dal cospicuo bosco di Quercus ilex che vi si trova.
A Santu Lussurgiu in Sardegna, più particolarmente nella zona del Montiferru, si trova la sorgente di Eliches Buttiosos (pronuncia “èlighes uttiósos” = lecci gocciolanti). A circa 1000 metri di altitudine sgorga una sorgente perenne dalle radici di due antichi lecci.
Mito e simbologia
Il leccio fu nelle civiltà greche e italiche antiche un albero dotato di rilevante valore sacro. Valore che fu positivo nel periodo arcaico di entrambe le civiltà, per poi assumerne lentamente uno sempre più negativo nello scorrere della storia di Roma fino a contornarsi di un’aura quasi funesta (così come in Grecia fu successivamente consacrato alla dea Ecate). Il suo significato simbolico è stato rivalutato solo nel medioevo.
Il greco Pausania descrive un bosco sacro a Era dove lecci e olivi crescevano dalle stesse radici. Ovidio narra invece che nell’Età dell’oro le anime immortali sotto forma di api si posavano sugli amenti del leccio da cui scendeva il miele. Secondo un mito dell’antica Roma nel lecceto alla base dell’Aventino viveva Egeria, la ninfa ispiratrice di re Numa Pompilio.
Plinio il Vecchio riporta che con i rami di leccio si facessero le prime corone civiche, sostituito poi da altre querce, come il rovere. Sempre secondo Plinio sul Vaticano si levava il leccio più antico della città, già oggetto di venerazione religiosa da tempi più antichi tanto che su quest’albero era un’iscrizione su bronzo in caratteri etruschi. Scrive inoltre Plinio che: “Anche i Tiburtini hanno un’origine molto anteriore a quella di Roma: nel loro territorio esistono tre lecci ancora più antichi di Tiburno, fondatore della città, che secondo la tradizione fu consacrato vicino ad essi.” Sembra infatti che il leccio fosse albero oracolare per i fulgorales a causa della sua predisposizione ad essere colpito dai fulmini; con il tempo però assume una accezione non positiva come albero accomunato a oracoli negativi. Seneca lo considerava un albero triste, tutto scuro com’è. Anche nel cristianesimo esistono dei simbolismi per questa pianta. Nelle isole ioniche una leggenda (raccolta dal poeta Aristotelis Valaoritis nel XIX Secolo) vuole che il leccio fu l’unico albero che acconsentì a prestare il proprio legno per la costruzione della croce; per questo i boscaioli delle isole di Acarnania e di Santa Maura temevano di contaminare l’ascia toccando “l’albero maledetto”. Tuttavia nei Detti del beato Egidio – il terzo compagno di San Francesco – il buon nome del leccio viene difeso quando si riferisce che il Cristo lo predilige perché fu l’unico albero a capire che il suo sacrificio era necessario, così come quello del Salvatore stesso, per contribuire alla Redenzione. E proprio sotto il leccio il Signore appariva spesso a Egidio.