Infiammazione cronica di basso grado
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Accanto alla classica distinzione di infiammazione acuta e cronica, negli ultimi anni si sono definiti diversi gradi di infiammazione intermedia che occupano un ampio range tra i concetti classici di acuto e cronico. Oggi si sa infatti che la presenza di trigger come alterazioni dell’omeostasi tissutale, o semplicemente alterazioni della flora batterica intestinale causate ad esempio da somministrazione continua di antibiotici o da errato stile di vita e impropria alimentazione, disfunzioni metaboliche ed esposoma, così come la mancata risoluzione di una risposta infiammatoria acuta, dovuta a fattori sociali, psicologici, ambientali e biologici, determinano la persistenza di “spine irritative” e lo sviluppo di una forma di infiammazione di basso grado, sistemica e cronica, definita infiammazione cronica di basso grado (low-grade chronic inflammation). Questo tipo di infiammazione, definita anche sistemica, è ormai riconosciuta essere alla base dello sviluppo di molte patologie croniche, dal diabete di tipo 2 alle malattie cardiovascolari, dai tumori alle patologie neurodegenerative; oltre il 50% di tutte le morti possono essere attribuite a patologie a patogenesi infiammatoria.
Pertanto, l’infiammazione cronica sistemica di basso grado è una condizione patologica subdola, talvolta occulta per anni in cui i normali meccanismi dell’infiammazione rimangono erroneamente attivati e progressivamente logorano l’organismo.
Viene chiamata in causa per diverse patologie: sindrome metabolica; diabete, dislipidemie; malattie autoimmunitarie; alcuni tumori; dermatiti croniche come psoriasi, cellulite, lichen; allergie, intolleranze; malattia di Alzheimer, depressione; malattie cardiovascolari, infarto, ictus; artrite, osteoporosi, fibromialgia; malattie respiratorie croniche; invecchiamento precoce.
Tra le cause principali responsabili di questa condizione vanno annoverati, senza dubbio, uno stile di vita scorretto ed una alimentazione disordinata, non salutare, caratterizzata da zuccheri e troppi cibi raffinati, troppi grassi saturi, troppi cereali raffinati, troppa carne rossa e pollame, troppi acidi grassi omega-6 e troppo pochi omega-3, poca frutta e verdura, poche fibre vegetali. A questi fattori, vanno aggiunti il non rispetto dei fisiologici cicli circadiani metabolici e ormonali, una vita sedentaria, l’esposizione cronica a inquinamento ambientale e alimentare (metalli pesanti, pesticidi, farmaci), stress psico-emotivi.
Benché apparentemente diversi tra loro, quelli elencati sono tutti stimoli che mantengono “in allerta” il sistema ormonale e immunitario: aumenta lo stress ossidativo e l’acidosi tissutale, aumentano i livelli di cortisolo ed insulina, vengono alterati i meccanismi immunitari che fisiologicamente comporterebbero una autolimitazione dell’infiammazione, rimangono invece cronicamente elevati i livelli di citochine pro-infiammatorie che mantengono attive l’infiammazione.
Un ruolo importante è rivestito anche dal cortisolo, “l’ormone dello stress”. Il cortisolo ha a una funzione primaria nel controllo del metabolismo e della risposta infiammatoria; se i livelli di cortisolo rimangono elevati per lungo tempo portano ad alterazioni della glicemia, della funzione tiroidea, ad un abbassamento delle difese immunitarie, ad ipertensione arteriosa.
L’insulina è l’ormone che regola la concentrazione della glicemia nel sangue e permette una adeguata distribuzione di glucosio nelle cellule; l’eccesso di glucosio viene accumulato sotto forma di trigliceridi nel tessuto adiposo.
L’alimentazione “occidentale” porta ad una iper-produzione di insulina ma contemporaneamente ad un aumento della insensibilità delle cellule alla sua azione (insulino-resistenza) a cui seguirà il diabete di tipo 2.
Questo alterato meccanismo di utilizzo del glucosio si traduce in un aumento del tessuto adiposo. L’ipertrofia e iperplasia delle cellule adipose e l’aumento dei livelli di insulina circolante sono legati ad un aumento delle molecole (citochine e adipochine) pro-infiammatorie che mantengono acceso questo “fuoco silenzioso”.
Il profilo metabolico degli adipociti passa da glicolitico a lipolitico e molti acidi grassi liberi vengono liberti in circolo. Essi favoriscono e sostengono il processo infiammatorio e il richiamo di macrofagi e linfociti T. L’infiammazione attivata dall’accumulo adiposo del tessuto viscerale bianco, anche nota come metainfiammazione o “infiammazione metabolica” per via della sua origine metabolica, coinvolge direttamente altri organi quali fegato, pancreas e intestino con i portanti conseguenze per l’omeostasi metabolica generale. Le citochine prodotte dal tessuto adiposo favoriscono l’insorgenza di resistenza all’insulina nel tessuto adiposo stesso, mentre gli acidi grassi liberi circolanti e le molecole pro- infiammatorie alterano la sensibilità all’insulina in fegato e muscolo. L’obesità, infatti, raramente si riscontra da sola, spesso coesiste con una serie di patologie metaboliche, cardiovascolari, reumatiche e muscolo scheletriche. Steatosi epatica non alcolica (NAFLD) e diabete di tipo 2 sono associate all’obesità viscerale. La presenza di NAFLD aumenta del 64% il rischio di sviluppare eventi cardiovascolari. Se un tempo il diabete era una patologia tipica dell’adulto e dell’anziano, oggi il numero di bambini e adolescenti che ne è affetto è aumentato e questo è dovuto allo stile di vita sedentario, alimentazione inadeguata e aumento di peso. L’infiammazione cronica è quindi un fattore favorente lo sviluppo di questa patologia. Il rischio cardiovascolare aumenta in soggetti affetti da patologie infiammatorie croniche come LES, dermatite atopica, artrite reumatoide. L’iperlipidemia è invece condizione necessaria ma non sufficiente per lo sviluppo della placca aterosclerotica, la cui formazione è invece sostenuta dalla concomitante presenza di infiammazione; molte citochine e chemochine sono infatti coinvolte nell’istaurarsi e nella progressione della placca; anche la disbiosi gioca un ruolo chiave: la TMAO (trimetilammina-N- ossido) che si forma in presenza di intestino permeabile a causa di alcuni microrganismi che metabolizzano colina, carnitina e fosfatidilcolina della dieta, favorisce la formazione di foam cells che si depositano nella placca aterosclerotica, attivando le piastrine e contribuendo di un assetto pro-trombotico.
Il perdurare di questo scompenso metabolico-ormonale, oltre a determinare una serie di disturbi aspecifici spesso ignorati, può condurre col tempo alle malattie descritte prima per alterazione del metabolismo, diminuzione delle difese immunitarie e sovvertimento della risposta infiammatoria.
L’infiammazione cronica sembrerebbe predisporre anche allo sviluppo di tumori e favorisce tutte le fasi della carcinogenesi. Gioca in questo senso un ruolo fondamentale nella composizione del microambiente tumorale, verso uno stato più permissivo del tumore stesso. Il 15-20% dei tumori è preceduto da condizioni di infezioni, infiammazione cronica e/o reazioni autoimmunitarie nel tessuto stesso: in questi casi l’infiammazione che favorisce il tumore è presente molto tempo prima che il tumore stesso si sviluppi. In altri casi, sono fattori di origine ambientale o alterazioni metaboliche a favorire lo sviluppo di infiammazione localizzata o sistemica che sottenderà alla genesi del tumore. In molti casi è il tumore stesso a creare un ambiente infiammatorio che ne supporta la crescita e la progressione.
L’infiammazione cronica di basso grado è ritenuta associata infine anche allo sviluppo di demenza, declino cognitivo, patologie neurodegenerative e psichiatriche. Le citochine pro-infiammatorie possono favorire l’insorgenza di infiammazione a livello del sistema nervoso centrale, esse infatti sono in grado di superare la barriera ematoencefalia.
In conclusione, la genesi dell’infiammazione cronica di basso grado pare vada ricondotta alla difficoltà di adattamento dei nostri sistemi di controllo a quello che è il diverso stile di vita dell’uomo “moderno”. I fattori pro-infiammatori sono quindi prevalentemente alimentari e, più in generale, legati ad uno scorretto stile di vita. Tenere sotto controllo questo stato infiammatorio silente, è la strategia più utile per mantenersi giovani.
Diagnosi dell’infiammazione cronica sistemica di basso grado
L’infiammazione cronica di bassa intensità è una patologia che può svilupparsi per diverso tempo senza dare alcun sintomo per poi scatenare malattie anche gravi. Non esistono esami specifici che possano consentire di diagnosticare la ICSBG, ma è possibile sospettarla sulla base di una raccolta attenta della storia clinica del paziente: stile di vita, tipo di alimentazione, disbiosi intestinale, fattori di rischio, ecc… Alcuni segni e sintomi possono guidarci verso la diagnosi di infiammazione cronica: ritenzione idrica, difficoltà a perdere peso, stanchezza, cefalea, disturbi del sonno e dell’umore. Anche alcuni esami ematochimici possono dare indicazioni utili: l’omocisteina, la lipoproteina A, il rapporto tra acidi grassi essenziali omega 3 e omega 6, l’emoglobina glicata, la vitamina D e naturalmente la colesterolemia, in particolare il rapporto tra LDL e HDL.
Possibili interventi
Non esiste una “terapia” per spegnere l’infiammazione silente, ma ci sono tanti accorgimenti utili per cercare di limitarne la progressione, in primo luogo cambia ndo stile di vita e ricorrendo ad una dieta sana. Varia, equilibrata, completa di tutti i nutrienti necessari, in quantità e per qualità.
Inflammaging
Il termine “inflammaging” unisce le parole “inflammation” (infiammazione) e “aging” (invecchiamento). Infiammazione e invecchiamento precoce del sistema immunitario sono due fenomeni collegati e pericolosi per la salute. Questa connessione è stata condensata nel termine inflamm-aging, coniato negli anni 2000 dall’immunologo prof. Claudio Franceschi dell’Università di Bologna. L’età avanzata nell’uomo è correlata a una infiammazione cronica a bassa intensità, definita (inflammaging). La parola descrive una condizione dell’organismo, interessato da un’infiammazione cronica lieve (low grade), persistente (cronica), che non ha sintomi visibili (latente), ma che è in grado di produrre effetti sistemici su tutto l’organismo. L’inflammaging è pertanto una forma di infiammazione cronica di basso grado, non associata a infezioni, che si sviluppa durante l’invecchiamento. A scatenarlo sono soprattutto segnali provenienti dall’interno dell’organismo che attivano in modo cronico il sistema immunitario, per esempio la presenza di residui di cellule o di proteine ossidate. Questa attivazione cronica promuove una risposta a livello metabolico che fino alla mezza età è fondamentale per la sopravvivenza dell’organismo. Tuttavia capita spesso che durante l’invecchiamento la risposta infiammatoria aumenti fino a raggiungere livelli dannosi. A ciò si possono aggiungere l’accumulo di cellule “invecchiate”, la riduzione della capacità di risolvere l’infiammazione e, secondo la cosiddetta “teoria del garbaging” (dall’inglese garbage, spazzatura), la progressiva riduzione della capacità di eliminare i detriti cellulari, tutti fenomeni che aumentano i livelli di infiammazione associata all’invecchiamento. L’inflammaging fa invecchiare l’organismo più velocemente.
Non ci sono dei sintomi precisi e individuare questa condizione infiammatoria a livello clinico è complicato. I sintomi sono vaghi e vari, spesso non si manifestano a livello analitico, ma la condizione infiammatoria di basso grado persiste e si ripercuote sulla struttura geneticamente più vulnerabile per il singolo individuo. Tra i principali sintomi che contraddistinguono un organismo con inflammaging ci sono: malessere diffuso, indolenzimento generalizzato, stanchezza cronica, difficoltà nella concentrazione, difficoltà a dormire, gonfiore addominale e problematiche gastrointestinali.
Con il passare degli anni, il nostro organismo è continuamente esposto a potenziali insulti che finiscono per provocare danni che si accumulano sistemi dedicati a smaltire questi scarti del metabolismo cellulare perdono efficacia, provocando così l’attivazione delle cellule-spazzini del sistema immunitario innato, come ad esempio i macrofagi. Questi sono in grado di riconoscere dette molecole alterate, che, considerate potenzialmente pericolose,