Pillole di Conoscenza

In Italia dati sanitari frammentati, e con l’autonomia differenziata sarà ancora peggio

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La prestigiosa rivista The Lancet Regional Europe mette in copertina la bandiera italiana e pubblica un articolo sull’autonomia regionale dal titolo “The Italian health data system is broken”, che si occupa in particolare della raccolta dei dati scientifici utili alla ricerca e all’assistenza.

“Una delle principali debolezze del sistema sanitario italiano è l’infra-struttura frammentata dei dati sanitari: non esiste un sistema unificato e centra-lizzato per documentare e condividere le cartelle cliniche elettroniche (EHR), i dati ospedalieri e quelli dei medici di base – si spiega – La causa principale di questa situazione è la forte autonomia regionale con 20 regioni che operano indi-pendentemente e adottano politiche e tecnologie diver-se, generando frammenta-zione normativa e ineffi-cienze. Un sistema così frammentato impone anche un notevole peso economico al paese poiché gonfia i costi con la mobilità sanitaria interregionale che da sola rappresenta circa 3,3 miliardi di euro all’anno e compromette i risultati per i pazienti. E presenta anche sfide considerevoli per la ricerca”.

Disparità tra Regioni ricche e povere, iniquità delle cure, fallimento della medicina digitale… di tutto l’Italia ha bisogno in questo frangente tranne che dell’autonomia differenziata.

A segnalarlo è Raffaele Bugiardini, chairman della Commissione sulle ineguaglianze e disparità di trattamento cardiovascolare di Lancet e professore dell’Università di Bologna.

“Una nuova riforma proposta rischia di peggiorare ulteriormente la situazione – si aggiunge – La legge sull’autonomia differenziata decentralizzerà ulteriormente la governance sanitaria approfondendo la frammentazione e le disparità tra regioni invece di promuovere la raccolta e la condivisione armonizzate dei dati. Come chairman della Commissione sulle ineguaglianze e disparità di trattamento cardiovascolare di Lancet – conclude Bugiardini – ho ritenuto che la divulgazione di questo testo scritto dall’Editore in Capo di Lancet possa aprire un dibattito quanto meno necessario nei mass media e tra i politici italiani. La salute pubblica rimane ed deve rimanere la prima opzione di ogni governo”.

“Una delle principali debolezze del sistema sanitario italiano è l’infrastruttura frammentata dei dati sanitari: non esiste un sistema unificato e centralizzato per documentare e condividere le cartelle cliniche elettroniche (EHR), i dati ospedalieri e quelli dei medici di base – si spiega – La causa principale di questa situazione è la forte autonomia regionale con 20 regioni che operano indipendentemente e adottano politiche e tecnologie diverse, generando frammentazione normativa e inefficienze. Un sistema così frammentato impone anche un notevole peso economico al paese poiché gonfia i costi con la mobilità sanitaria interregionale che da sola rappresenta circa 3,3 miliardi di euro all’anno e compromette i risultati per i pazienti. E presenta anche sfide considerevoli per la ricerca”. Nel nostro Paese “ospedali e strutture sanitarie non riescono a dialogare fra di loro, tant’è che non riescono nemmeno a comunicarsi dati e informazioni utili a curare i pazienti, figuriamoci a muovere in avanti la ricerca. L’Italia si ritrova immersa in una sorta di feudalesimo in cui «ospedali e strutture sanitarie si affidano a sistemi di raccolta dei dati incompatibili fra loro e vetusti, che rendono impossibile il trasferimento di referti e immagini diagnostiche anche all’interno di una stessa città».

Ogni anno la necessità di ripetere gli stessi esami due volte — perché un paziente viene curato in strutture o Regioni diverse, incapaci di leggere l’una i referti dell’altra — costa all’Italia 3,3 miliardi, spiega Pooja Jha, direttrice di Lancet Regional Health—Europe. Né la frammentazione della sanità italiana permette di fare ricerca su grandi numeri di pazienti. Il numero di studi scientifici autorizzati oggi, ricorda la rivista medica, è il 15% rispetto al 2009.

«Ancora oggi il fascicolo sanitario in Italia è gestito dalle Regioni in modo autonomo e disomogeneo», lamenta Raffaele Bugiardini. Questo impedisce a uno studio scientifico di estendere i suoi orizzonti al di là di poche migliaia di pazienti. Né permette a un paziente che decida di curarsi in un’altra Regione o che finisca in pronto soccorso di utilizzare diagnosi ed esami effettuati in passato. «È sicuramente un’anomalia» secondo Bugiardini. «I paesi del Nord Europa hanno una banca dati centrale consultabile da ciascun medico autorizzato».

Ciò comporta il mancato decollo del fascicolo sanitario elettronico, lo strumento che secondo Lancet potrebbe finalmente unificare la storia di un cittadino per quanto riguarda malattie, esami e terapie. Ma che «resta largamente inapplicato» per «l’estesa autonomia che permette alle Regioni di agire indipendentemente, con frammentazioni e inefficienze». Spiega Bugiardini che «gestire la sanità vuol dire gestire molti soldi. È chiaro che le Regioni non vogliano cedere questo potere».

Per la sanità digitale, ricorda la rivista, l’Italia ha speso 1,8 miliardi nel 2022: il 7% in più dell’anno precedente. «Ma resta un mistero se questi fondi siano stati spesi e come siano stati usati». Sta di fatto, fa sapere la Fondazione Gimbe, che monitora e diffonde i dati sul sistema sanitario italiano, che «al 31 agosto 2024, il 41% dei cittadini ha espresso il consenso alla consultazione dei propri documenti sanitari da parte dei medici». In 284 mila hanno invece chiesto di non veder compilato il proprio fascicolo, raggruppandosi in un movimento che, sulla scia dei No Vax, ha paura della “dittatura sanitaria”. Più che una dittatura, in realtà, la sanità italiana sembra una barca in cui ognuno rema in una direzione diversa.

“La legge sull’autonomia differenziata decentralizzerà ulteriormente la governance sanitaria approfondendo la frammentazione e le disparità tra regioni invece di promuovere la raccolta e la condivisione armonizzate dei dati”. Non è un caso che le 7 Regioni oggi sottoposte a un piano di rientro delle spese sanitarie siano tutte al Centro-Sud (Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Puglia e Sicilia) e che il rispetto dei livelli sanitari di assistenza sia garantito solo in Regioni del Centro-Nord (unica eccezione la Puglia).

Per questi motivi, la rivista scientifica Lancet lancia l’allarme sulla legge che detta il quadro normativo per la devolution di competenze su 23 materie, tra cui la tutela della salute, e che è stata “svuotata” dalla Corte costituzionale. L’Italia insomma, non ha affatto bisogno di autonomia differenziata, specialmente per quanto riguarda la sanità.

Redazione amaperbene.it

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