Il Sud per crescere ha bisogno di uscire dalla precarietà di sistema
“I numeri governano il mondo: forse. Certo i numeri dimostrano che il mondo è mal governato”. E’ quanto affermava Goethe e quanto dimostra, in maniera inconfutabile con dati e cifre, il volume “Logica della Disuguaglianza” edito da Maurizio Cuzzolin.
L’Italia si rivela per un paese che perde in competitività perché non investe in Ricerca ed Innovazione, un paese caratterizzato da una struttura corporativa della società, ove persistono forti disomogeneità, scarse opportunità e fluidità sociale, un paese ove l’etica nei comportamenti è fortemente compromessa come l’etica economica, un paese che non riesce ad assicurare ai cittadini quei livelli di ben-essere compatibili con una vita socialmente ed economicamente produttiva.
Chi vive al Sud ha ogni giorno la percezione di tale realtà. Al Sud, ove le disuguaglianze diventano vere e proprie iniquità, risiede gran parte degli sfiduciati perché componenti di famiglie che, se hanno lavoro, trovano difficoltà ad arrivare a fine mese con il reddito conseguito ed hanno cominciato a risparmiare sul cibo. Al Sud, privo di banche e poco attrattivo per investimenti esteri, già scarsamente dotato di strutture, con una nano-struttura produttiva per giunta poco propensa all’innovazione ed alle relazioni, vanno scarse risorse in ricerca e sviluppo (0,75% contro l’1,11% del Pil nazionale, l’1,9% dell’Unione Europea); al Mezzogiorno viene assegnato soltanto il 9%, contro il 91% destinato al Centro-Nord, delle risorse pubbliche per la ricerca, e appena il 3% delle risorse private contro il 97% destinato al Centro-Nord; qui operano 7 ricercatori ogni 100mila abitanti contro 1 nel Mezzogiorno[1].
Come allora non mostrare una certa diffidenza ai soliti proclami di provvedimenti per il Sud, soprattutto se questi sono privi di adeguato sostegno finanziario e non portano a quei cambiamenti da tutti invocati e riconosciuti urgenti quanto indifferibili. E’ sconfortante che a distanza di oltre cento anni, si debba concordare con Nitti (Su i recenti fatti di Napoli, 1900) quando affermava che “il problema di Napoli non è soltanto economico, ma soprattutto morale ed è l’ambiente morale che impedisce qualsiasi trasformazione economica”.
Nel citato volume “Logica della Disuguaglianza” si dimostra che il problema è culturale, quindi morale, infine economico. Di qui la motivazione a dare continuità all’appello di Aldo Masullo alla “cittadinanza attiva” perché diventi movimento propositivo, esca finalmente da quello stato di torpore che Masullo ha definito “mala tolleranza”, che più di tutto sconvolge ed annichilisce. I napoletani – dice Masullo – sono un popolo pigro; tuttavia, appena qualcuno si muove, allora si vede un certo fermento ed alcuni cominciano ad agitarsi; ma non per affiancarsi a chi ha osato ergersi, non per sinergizzare, bensì diventare antagonisti e riportare tutto nella quiete dello status quo ante.
Ecco perché occorre mettere in moto un processo di consapevolezza civica e un’assunzione dell’etica della responsabilità da parte di tutti; ma prima di ogni cosa urge innalzare il livello culturale del cittadino. Sviluppare una cittadinanza attiva significa far sì che il cittadino si appropri dei valori democratici, sia educato alla legalità ed al rispetto dei diritti altrui, affermi la propria individualità in un contesto di identità collettiva. Ogni sforzo sarà però inutile se non si abbatte quel sistema di potere clientelare-camorristico che non consente di affrontare e risolvere i problemi, di trovare soluzioni eque e perciò condivise, nel campo dell’economia come della sicurezza e dei rifiuti. Senza il tasso di zavorramento camorristico annuo, come evidenziato dal Censis, il Pil pro-capite del Mezzogiorno avrebbe raggiunto quello del Nord. Il Sud, per crescere, ha bisogno di uscire dalla precarietà di sistema, di avere certezze, di mostrare affidabilità.
Il risanamento sociale trova il suo fulcro nel risanamento economico se si investe in ricerca ed innovazione, istruzione e formazione; se si promuove una stretta collaborazione tra mondo delle imprese e mondo della ricerca per favorire il rapido trasferimento tecnologico alla base delle economie avanzate ed assicurare la necessaria competitività del sistema produttivo. Essenziale allora diventa orientare l’economia meridionale verso una struttura produttiva evoluta, in grado di competere sui mercati internazionali; incamminarsi rapidamente verso nuovi livelli di efficienza, utilizzando al meglio gli incentivi, recependo criteri di selettività, ridando fiducia al sistema meridionale, per attrarre investimenti, rafforzando il ruolo delle banche a sostegno dello sviluppo del territorio; migliorare infrastrutture e servizi.
E’ in tale contesto che va ridisegnato il ruolo per la gente del Sud, fatta di uomini interpreti e promotori del cambiamento, uomini capaci di creare modelli di sviluppo autopropulsivo, di affermare le proprie capacità, di rivendicare i propri diritti, nel pieno rispetto dei basilari criteri di giustizia, equità, verità. In questo modo il Sud rappresenterà una grande risorsa per il Paese, un’opportunità da non lasciar sfuggire per esaltare e valorizzare le specificità delle diverse aree in un contesto unitario e solidaristico.
E’ vero, necessitano risorse e investimenti, ma, prima di tutto, occorre un diverso modo di pensare, una diversa cultura per la ricerca scientifica e tecnologica, di cui va utilizzata la natura pervasiva per introdurre mutamenti sostanziali nelle attitudini, nei comportamenti e nelle convenienze dei diversi attori sociali, economici e istituzionali. Occorrono università moderne, che si approprino del ruolo formativo perduto. Occorrono spinte esogene, ma in primo luogo spinte endogene, una classe dirigente fieramente degna del proprio ruolo, e quindi intelligente, consapevole, colta, sensibile alle innovazioni, protesa verso il futuro, in grado di sognarlo, progettarlo, realizzarlo. Una classe dirigente che, tranciando i legami con un passato poco edificante, decida finalmente di abbandonare la vecchia strada che spende e spreca, che avanza spettanze e non riconosce diritti, per imboccare i sentieri virtuosi di libertà-responsabilità, che sappia lanciare il Mezzogiorno sul terreno della produttività competitiva e della civiltà del diritto, garantendo innovazioni visibili ed emersioni dal sottosuolo di talenti e risorse, nella consapevolezza che la qualità della vita di un territorio è la vera, prima attrattiva di risorse, umane ed economiche.
Articolo pubblicato dal Corriere della Sera di Lunedì 16 ottobre 2006, a pag. XII dell’inserto Mezzogiorno Economia
[1] Vedi anche G. Castello: RICERCA SCIENTIFICA: strategie competitive per il Mezzogiorno e l’Italia, Alfredo Guida Editore, 1995