Il butirrato di sodio
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Il butirrato di sodio è il sale sodico dell’acido butirrico, un acido grasso saturo a catena corta (o SCFA, dall’inglese Short Chain Fatty Acids) che esercita interessanti attività nel tratto intestinale, a livello del quale risulta essere un importante elemento per la crescita e la funzione dell’epitelio enterico.
Come tutti gli acidi grassi a corta catena, è prodotto naturalmente dalla fermentazione dei residui alimentari (in particolare, delle fibre alimentari) realizzata dal microbiota intestinale a livello del colon. Si comporta sia come un prebiotico sia come un post-biotico, a seconda dei ceppi batterici con cui interagisce.
Tra le fibre più facilmente trasformate in acido butirrico si annoverano ad esempio:
- amido resistente, quella frazione dell’amido che resiste ai processi digestivi intestinali e che non viene quindi assorbito; si trova ad esempio in:
- orzo e avena non macinati,
- amido retrogradato (ad esempio insalata di pasta fredda, pane raffermo, …);
- crusca d’avena,
- pectina, contenuta ad esempio in
- pere,
- mele,
- prugne,
- uva spina,
- arance e altri agrumi (soprattutto nella buccia);
- fruttani, che si trovano spesso nella frazione di fibra solubile di alimenti ad alto contenuto di zolfo, come ad esempio:
- verdure crocifere (broccoli, cavoletti di Bruxelles, cavolo, …),
- cereali (se consumati integrali) come
- grano (alcuni ceppi come il farro ne contengono quantità inferiori),
- segale,
- orzo,
- cipolla,
- aglio,
- topinambur,
- carciofo,
- asparagi,
- barbabietola,
- cicoria,
- porro
Solo i batteri che possiedono gli enzimi adatti a scomporre queste fibre sono in grado di produrre butirrato. È il caso di alcuni batteri appartenenti al phylum dei Firmicutes del genere Clostridium, e più in particolare alla famiglia delle Ruminococcaceae e delle Lachnospiraceae, come Roseburia intestinalis, Faecalibacterium prausnitzii, Eubacterium rectale, E. halli e E. cylindroides 1, 2
Dal punto di vista chimico, il butirrato di sodio si definisce come il sale sodico dell’acido butirrico. Quest’ultimo è un acido grasso saturo (ossia privo di doppi legami all’interno della sua struttura chimica) a corta catena e, più nel dettaglio, a quattro atomi di carbonio.
L’acido butirrico (dal greco βούτυρος, burro, la sostanza in cui è stato isolato e scoperto), ma talvolta indicato anche come acido butanoico (o spesso butirrato, se in forma ionica), è un acido di struttura relativamente semplice che si presenta come un liquido oleoso, incolore e di per sé con odore sgradevole (quando il burro irrancidisce l’acido butirrico viene liberato per idrolisi). Fa parte dei cosiddetti acidi grassi a corta catena (SCFA, dall’inglese short chain fatty acids), insieme a acido acetico, acido propionico.
Gli acidi grassi a corta catena vengono assorbiti direttamente come tali a livello intestinale e veicolati direttamente al fegato grazie alla loro solubilità in acqua.
Il butirrato svolge un ruolo molto importante nel tratto enterico. Difatti, esso rappresenta la principale fonte energetica (oltre il 70%) per i batteri che compongono il microbiota intestinale e per i colonciti, le cellule che formano l’epitelio del colon, coprendo gran parte del loro fabbisogno energetico totale. Quando i batteri intestinali “buoni” scompongono le fibre non digeribili attraverso un processo di fermentazione, sintetizzano dei metaboliti: i metaboliti del microbiota. Questi includono polisaccaridi, peptidi, proteine e acidi grassi a catena corta (SCFA) come acetato, propionato e butirrato. Questi metaboliti sono particolarmente interessanti per i loro effetti benefici sul colon e per le loro azioni all’interno del microbiota stesso. Queste sostanze rafforzano il sistema immunitario modulando localmente l’immunità della mucosa in cui vengono prodotte.
Tuttavia, se il microbiota intestinale è squilibrato, l’intero ecosistema crolla e il numero di batteri “buoni” responsabili della produzione di metaboliti diminuisce drasticamente. Quando la quantità di questi metaboliti diminuisce, l’ospite viene privato dei loro effetti protettivi, in particolare di quelli che garantiscono il mantenimento di un microbiota sano. Si instaura così un circolo vizioso. Potrebbe quindi essere necessaria un’integrazione.
Oltre a fornire un supporto al normale metabolismo delle cellule intestinali grazie alla sua funzione energetica, il butirrato è altresì responsabile dei processi di rigenerazione e riparazione cellulari, stimola la risposta cellulare locale, mantiene l’integrità della barriera intestinale e può aiutare a mantenere l’equilibrio della flora batterica intestinale, promuovendo la crescita dei cosiddetti batteri buoni e prevenendo la proliferazione di quelli dannosi (come Escherichia coli, Campylobacter, Salmonella).
Il butirrato assicura infatti la coesione delle giunzioni tra le cellule dell’intestino, mantenendo così una barriera intestinale sana e riducendo l’infiammazione locale. Infatti, è noto che una diminuzione della concentrazione di questi SCFA determina permeabilità intestinale, responsabile del passaggio di sostanze (tossine, particelle di cibo, agenti patogeni) nel flusso sanguigno, con conseguenti disturbi digestivi e dolori addominali.
Inoltre ha un ruolo nel mantenere la fisiologica ipossia all’interno del lume intestinale perché, per essere “bruciato”, spinge la cellula a consumare ossigeno. A differenza della maggior parte dei tessuti corporei, che hanno bisogno di essere ben ossigenati, infatti, l’epitelio e il lume intestinale devono mantenere una bassa pressione parziale di ossigeno.
Al butirrato sono associati anche effetti antinfiammatori. In particolare, studi condotti in merito hanno evidenziato come il butirrato sia in grado di contribuire alla preservazione dei tessuti intestinali mitigando le risposte infiammatorie croniche attraverso l’attivazione di recettori bersaglio localizzati a livello cellulare. L’integrazione con acidi grassi a corta catena come il butirrato, inoltre, è stata associata a regolazione delle citochine pro-infiammatorie e antinfiammatorie.
Il butirrato può quindi aiutare a prevenire le infiammazioni a livello del colon, inoltre, può aiutare a mantenere una corretta funzionalità della muscolatura intestinale.
Non sorprende quindi se il consumo di abbondanti quantità di fibra nella dieta sia collegato ad effetti di promozione della salute sull’organismo in modo altrimenti apparentemente inspiegabile (la fibra non viene assorbita); è ad esempio interessante notare che parte del butirrato viene assorbito nella parte terminale del colon (distale), saltando così il primo passaggio dal fegato e potendo in questo modo raggiungere anche il cervello, superando la barriera ematoencefalica mediante specifici trasportatori (da cui i possibili effetti sul tono dell’umore, ad esempio).
Il butirrato è presente in prodotti lattiero-caseari come il latte vaccino intero (0,1g/100g), il burro (3g/100g) e il formaggio di capra (da 1 a 1,8g/100g), alimenti però il cui consumo deve essere moderato Sebbene il burro sia ricco di butirrato deve essere consumato come consigliato nelle linee guida per questi prodotti.
Grazie ai suoi numerosi effetti sull’apparato digerente, il butirrato è particolarmente interessante in caso di iperpermeabilità intestinale, storia di malattia infiammatoria cronica intestinale (IBD) al di fuori delle riacutizzazioni, sindrome dell’intestino irritabile (IBS), nonché nella prevenzione della diverticolite. Inoltre, nel caso di diete a basso contenuto di fibre, come quelle senza FODMAP, il butirrato viene prodotto solo in minima parte. È quindi particolarmente utile poterlo fornire senza correre il rischio di modificare la propria dieta e di danneggiare ulteriormente la propria flora.
Una dieta equilibrata con un’adeguata assunzione di butirrato è quindi particolarmente indicata in diverse situazioni:
- durante l’assunzione di antibiotici e nei casi di diarrea ricorrente, quando il microbiota intestinale è impoverito dei ceppi benefici che producono naturalmente il butirrato;
- quando la barriera intestinale è alterata e non produce sufficienti quantità di butirrato,
- nei casi di disbiosi, quando il microbiota intestinale non è in equilibrio.