I numeri delle disuguaglianze | Prestazioni sanitarie
L’articolo 32 della nostra Costituzione pone la salute come diritto fondamentale di ogni individuo e come interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Per quanto il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) italiano sia spesso considerato un modello da imitare, le ultime tendenze sul numero di persone che decidono di rinunciare alle cure o che sono costrette a spostarsi per ricevere sostegno medico chiedono una riflessione più ampia.
La disuguaglianza delle prestazioni sanitarie sembra incidere sulle aspettative di vita almeno (se non più) delle condizioni economiche o di istruzione[1]. La regionalizzazione della sanità ci ha resi e ci rende diversi di fronte alla vita e alla morte. Campiamo di più o moriamo prima non solo per scelte soggettive (mangiare male, fumare, bere alcolici, fare lavori pesanti, vivere in ambienti inquinati, possedere meno soldi, andare di meno in vacanza, etc.) ma per condizioni oggettive dei territori in cui risiediamo e in cui sorgono le strutture sanitarie (ritardi nella diagnosi e nelle cure, attrezzature obsolete o non tecnologicamente avanzate, cure sbagliate o non adeguate, etc.).
La regionalizzazione della sanità ha inciso e sta incidendo sulla qualità di vita e, di conseguenza, sulle aspettative stesse di vita e sulla sopravvivenza degli individui. Nel 2021 la stima della speranza di vita alla nascita in Italia è di 82,4 anni (80,1 per gli uomini e 84,7 anni per le donne). Ma esistono profonde differenze territoriali: si amplia la distanza tra Nord e Mezzogiorno, arrivando nel 2021 a 1 anno e 7 mesi di vita media in più nel Nord. La speranza di vita alla nascita totale scende, infatti, nel Mezzogiorno a 81,3 anni nel 2021, con una riduzione di 6 mesi rispetto al 2020 che si aggiungono ai 7 mesi già persi nel 2020 rispetto al 2019, mentre si attesta a 82,9 al Nord, con un recupero di quasi un anno rispetto al 2020. Ovvie le deduzioni. Dove si sommano condizioni economiche difficili a prestazioni sanitarie insufficienti, il destino è abbastanza segnato.
Dal 2009 al 2016 le quattro più grandi regioni meridionali hanno pagato oltre 7 miliardi di euro alle regioni del Nord a causa delle migrazioni sanitaria, una cifra enorme che avrebbe potuto essere utilizzata meglio, semmai per colmare parte dei determinanti le carenze rilevate al Sud.
La pandemia da COVID-19 ha avuto un forte impatto su tutti i settori della Sanità, in primo luogo sugli screening oncologici sospesi nei mesi di marzo e aprile 2020 e riattivati con ritardi variabili da Regione a Regione e all’interno della stessa Regione.
La sospensione dell’offerta dei programmi di screening organizzati ha comportato una riduzione statisticamente significativa nella copertura da screening organizzato, che, solo in parte, sembra tradursi in un aumento del ricorso ai test di screening su iniziativa spontanea. Dopo un continuo trend in salita, la quota di donne che si sottopone allo screening cervicale nell’ambito dei programmi organizzati è passata dal 52% del 2019 al 46% del 2020. Analogamente accade per la copertura dello screening mammografico organizzato, passato dal 57% al 50%, e per quello colorettale, che si è ridotto dal 42% al 36%. Queste riduzioni si registrano ovunque nel Paese, sono significative nelle regioni del Nord, più massicciamente investite dalla pandemia, ma si osservano anche nel Centro e nel Sud del Paese. I dati preliminari per il 2020 sono in linea con quelli relativi al periodo 2016-2019[2]. Si osserva ad ogni modo un significativo gap geografico con Centro–Nord in cui si raggiungono coperture totali che sfiorano il 90% delle popolazioni target e un Sud in cui si è ancora lontani dal garantire ai cittadini analoghe opportunità di accesso alla diagnosi precoce dei tumori: nelle regioni settentrionali la copertura totale dello screening cervicale è dell’88% (vs 69% al Sud), quella dello screening mammografico del 86% (vs 61% al Sud) e del 69% per lo screening colorettale (vs 27% nel Sud); significativo anche il gradiente sociale con le fasce di popolazione più svantaggiate (per difficoltà economiche, bassa istruzione e cittadinanza straniera) che non si sottopongono a screening, a fronte di una maggiore esposizione ad alcuni fattori di rischio comportamentali (fumo, eccesso ponderale, sedentarietà, scarso consumo di frutta e verdura) implicati nella genesi dei tumori; tuttavia i dati mostrano anche come lo screening organizzato riduca tali disuguaglianze.
I dati che, però, fanno più impressione e rabbia sono quelli relativi alla mortalità neonatale e alla emigrazione sanitaria dei piccoli malati di tumori o di leucemie. La mortalità neonatale (cioè dei morti appena nati) è maggiore del 40% al Sud e, secondo la Fondazione Gimbe[3], nelle regioni del Centro-Nord emigra l’85,5% dei pazienti sotto i 14 anni con malattie gravi. E si tenga presente che il bambino non si sposta da solo ma tutto il nucleo familiare è coinvolto, non solo in termini di spese da sostenere.
[1] Bonini C., Sales I. e Pertici L. – L’Italia diseguale – in la Repubblica, 18 Dicembre 2022 https://www.repubblica.it/cronaca/2022/12/18/news/divario_nord_sud_questione_meridionale_autonomie_regioni_scuola_sanita_trasporti-379177941/
[2] ISS – Gli screening oncologici e l’impatto della pandemia: i dati dalla sorveglianza PASSI – https://www.epicentro.iss.it/passi/focus/screening-oncologici-impatto-pandemia-dati-passi-2020
[3] GIMBE Evidence for Health – Report Osservatorio GIMBE 2/2022 – Livelli Essenziali di Assistenza: le diseguaglianze regionali in sanità.