I numeri della Diseguaglianza | Università e circolazione dei cervelli
Le Università del Sud soffrono di tre grossi problemi: meno studenti iscritti, meno risultati accademici eccellenti, meno servizi e finanziamenti[1]. Evidenti le ripercussioni sullo sviluppo locale ed economico delle aree interessate ma anche di tutto il nostro Paese.
Negli ultimi 10 anni le iscrizioni all’Università degli studenti residenti nel Mezzogiorno sono state nettamente inferiori rispetto al resto del Paese. Ciò è causato principalmente da
- i trenddemografici, che vedono una vera e propria migrazione dei giovani verso le regioni del Nord. Nel 2019, a fronte del 37% di studenti immatricolati residenti al Sud, solo il 29% risultavano iscritti ad un ateneo della stessa area;
- prospettive occupazionali migliori;
- offerta formativa più ampia e accessibile;
- qualità della didattica e disponibilità dei servizi superiore.
Lo sbilanciamento dei flussi migratori in uscita ha ovviamente ricadute sull’offerta di istruzione terziaria. Visto che notoriamente la mobilità è correlata a situazioni socioeconomiche più agiate e con un background formativo superiore, ciò si traduce in un livello medio di preparazione inferiore per gli studenti delle università meridionali ma anche sulla loro capacità contributiva (riducendo ulteriormente i finanziamenti).
Non da ultimo, questo flusso influirà anche sulla situazione demografica del territorio che apre possibili scenari di desertificazione delle Università del Sud, ma anche meno disponibilità di capitale umano per la forza lavoro.
Il minor numero di studenti iscritti alle Università del Sud è strettamente correlato a una minore probabilità di conseguire la laurea in questi stessi atenei.
Secondo l’analisi della Banca d’Italia, ciò che penalizza il divario formativo è la quota di studenti eccellenti che scelgono di spostarsi al Nord, riducendo di conseguenza la quota di universitari che riescono a completare gli studi al Sud.
Non è però l’unica ragione per cui le performance sono inferiori. Un livello di preparazione degli studenti in ingresso minore (misurato dai risultati delle prove INVALSI durante le scuole superiori) correlato ad una minore qualità della formazione nei cicli scolastici inferiori, e un contesto sociale e familiare mediamente meno favorevoli contribuiscono al divario dei risultati fra Nord e Sud.
L’ultimo punto critico, la drastica riduzione delle risorse economiche ed umane avvenuta nell’ultimo decennio. Questo è dovuto principalmente a un taglio generale dei fondi pubblici destinati all’Università (che ha visto una ripresa solo negli ultimi 3 anni) ma anche al criterio di distribuzione degli stessi. Dopo la riforma del 2010 che prevede lo stanziamento di fondi statali in base al costo standard per studente e ad una componente premiale, i finanziamenti per le Università del Sud sono stati minori rispetto a quelli dedicati al Nord. Sebbene, infatti, i fondi ministeriali siano distribuiti in modo proporzionale agli studenti iscritti, è facile intuire che un calo di questi ultimi è traducibile in una minor ricezione di fondi statali.
Ancora una volta, quindi, il peggioramento delle iscrizioni alle Università del Sud ha avuto una conseguenza anche sul totale dei fondi pubblici destinati a questi atenei. Tuttavia, gli atenei del Mezzogiorno rimangono comunque con finanziamenti minori anche a causa di:
- Una minore capacità contributiva degli studenti;
- Una minore possibilità di attingere da fondi privati o Europei.
Tutto ciò influisce sull’assunzione di personale docente (e non solo) e di fondi destinati alla ricerca.
Ricapitolando, i fattori che concorrono alla penalizzazione delle Università del Sud sono:
- Il numero e la qualità degli studenti in ingresso (che si dimostra l’aspetto centrale del problema);
- Un’offerta formativa e un mercato del lavoro meno attrattivi (determinanti per la scelta di studiare di migrare);
- La minore capacità contributiva delle famiglie meridionali (che limita la possibilità di autofinanziamento degli atenei);
- Non da ultimo, una governancedegli atenei meno efficace e meno capace di offrire servizi e didattica di qualità.
Tuttavia, risulta sempre più necessario incrementare le risorse per l’intero sistema universitario italiano per riportarlo al pari di quello dei Paesi più avanzati, ma anche per vedere concretamente la possibilità di colmare il divario fra Nord e Sud. Fortunatamente, negli ultimi anni abbiamo assistito ad un aumento dei fondi destinati all’Università, che hanno permesso l’assunzione di ricercatori. Sarà però fondamentale proseguire con un incremento sempre maggiore così come prevede la legge di bilancio per il 2022.
Nel 2020 anche il personale impegnato in attività di R&S si riduce: gli addetti sono 521mila (-4,3% rispetto al 2019), per un totale di 342mila unità di lavoro equivalenti a tempo pieno (Etp) (-3,8%). Una riduzione si registra anche nelle Università, seppure più lieve (-1,6% in unità e -1,3% in Etp) il settore pubblico mostra invece un aumento (+3,3% in unità e +2,3% in Etp o equivalenti a tempo pieno).
I ricercatori (in Etp) sono 157mila e rappresentano il 45,9% del totale degli addetti dell’intera economia,
in diminuzione del 2,4% rispetto al 2019. L’incidenza maggiore si rileva nelle istituzioni non profit (70,9%, in aumento di 0,8 p.p.), seguono le Università (66,5% e +1.4 p.p.), le istituzioni pubbliche (57,3%, -0,9 p.p.) e le imprese, con poco più di un terzo degli addetti alla R&S, quota pressoché stabile rispetto all’anno precedente.
Nei tagli al personale le donne sono complessivamente meno colpite: nel 2020 quelle impegnate in attività di R&S ammontano a 171mila e rappresentano circa un terzo degli addetti (-3% rispetto al 2019,
mentre sono circa 112mila in Etp, -2,4% rispetto all’anno precedente). Nel settore delle imprese la presenza femminile nelle attività di R&S continua a essere, in termini relativi, bassa e minore rispetto a
quella negli altri settori: il 22,3% degli addetti alla R&S in Etp contro il 55,6% delle istituzioni private non profit, il 49,3% delle istituzioni pubbliche, il 48,7% delle Università.
In Italia ci sono circa 33mila giovani ricercatori under 35 che hanno maturato nel corso della loro carriera almeno un’esperienza all’estero che hanno iniziato a pubblicare negli ultimi 15 anni e hanno almeno una pubblicazione indicizzata negli ultimi 5 anni. Interessante notare che un 2% del campione esaminato ha cognome straniero e questo potrebbe indicare che anche nel mondo della ricerca hanno iniziato ad affacciarsi gli italiani di seconda generazione. Di questi 33mila studiosi, quasi il 20% sono quelli che lasciano il nostro Paese per intraprendere un percorso accademico al di fuori dell’Italia, ma chi rientra ha un livello più alto di chi sceglie di stabilirsi all’estero. In sintesi la “fuga di cervelli” è una questione di opportunità e non di bravura del singolo ricercatore. All’estero, quindi, sicuramente vengono offerte più chances per i giovani accademici italiani ma a restare in Italia non sono gli studiosi che valgono meno. È questo quello che emerge da uno studio Elsevier, uno dei più importanti editori scientifici del mondo con oltre 3000 pubblicazioni in ogni ambito scientifico, presentato oggi in Senato durante l’evento “Giovani, ricerca e mobilità: lo studio di Elsevier. Fuga dei cervelli, circolo virtuoso di scambio internazionale o deficit strutturale del sistema italiano?”[2]
I paesi con cui si collabora di più sono gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, segue a distanza al terzo posto la Francia. Ma proseguire la propria carriera accademica all’estero non ha nulla a che vedere né con la qualità del ricercatore, che anzi appare più alta fra chi resta in Italia ma collabora con l’estero, né con il numero di pubblicazioni, perché chi va fuori mediamente pubblica di meno rispetto ai colleghi che restano in patria avendo però maturato un’esperienza internazionale. La questione è relativa alle opportunità e questo è evidente anche osservando la “circolazione dei cervelli” in Italia. Quello che emerge analizzando i ricercatori con esperienza internazionale secondo l’analisi Elsevier è che se è vero che i giovani studiosi del Nord lasciano l’Italia per l’estero (23%), quelli del Centro e soprattutto del Sud Italia molto spesso lasciano il loro polo universitario per uno che si trova al Nord, dove generalmente sono situati i centri di eccellenza e si hanno maggiori opportunità lavorative. Il 10,5% degli accademici under 35 del Centro e l’8% di quelli del Sud si spostano in Università del Nord Italia. E anche in questo caso ad orientare le scelte è il ventaglio di opportunità che un determinato ateneo può offrire e non la qualità del ricercatore: quanti al Sud hanno maturato un’esperienza internazionale tendono a pubblicare di più, con un valore qualitativo pari a quello del resto d’Italia.
La composizione del segmento di studiosi presi in considerazione, poi, fornisce importanti informazioni sulle trasformazioni che il settore della ricerca sta mettendo in atto. Innanzitutto, quello che emerge è che fra i giovani accademici con esperienza internazionale c’è una tendenza al gender balance, con un 45% di donne e un 55% di uomini in termini di parità di genere. Tra i ricercatori under 35 italiani, in particolare, il gender balance è migliore rispetto al resto della ricerca in generale e anche della media europea. Nonostante questo, le discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) restano appannaggio dei ricercatori uomini, mentre le ricercatrici sono avanti rispetto ai colleghi uomini nel campo della medicina. Infine, un’altra peculiarità relativa al genere: gli uomini pubblicano più delle donne, ma questo non ha a che vedere con la qualità delle studiose e degli studiosi, che è pressoché simile, piuttosto con la tendenza dei ricercatori uomini a frazionare il lavoro di ricerca, pubblicando non necessariamente al termine dell’intera speculazione, ma anche risultati intermedi.
[1] Tesini G. Università: sempre più ampio il divario fra Nord e Sud. University Network. https://www.universitynetwork.it/universita-sempre-piu-ampio-il-divario-fra-nord-e-sud/
[2] https://www.huffingtonpost.it/dossier/futuro/2022/05/25/news/il_20_degli_studiosi_under_35_lascia_l_italia_ma_non_se_ne_vanno_i_migliori_mancano_le_opportunita_-9463823/