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Gli elettroliti, ruolo e importanza

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L’organismo umano è costituito per il 60-70% del suo peso da acqua. L’acqua si trova all’interno e all’esterno delle cellule e nel sangue. In essa sono disciolti sali minerali detti elettroliti. Gli elettroliti sono quindi minerali che, disciolti nei fluidi corporei (sangue, urine e altri), producono ioni carichi elettricamente: ioni positivi (cationi), principalmente sodio, potassio, calcio e magnesio, e ioni negativi (anioni), soprattutto cloruri, bicarbonati e fosfati.

oltre a regolare diverse funzioni del corpo, mantengono l’equilibrio idrico (ovvero l’equilibrio fra la quantità di liquidi in entrata e in uscita) e l’equilibrio acido-base (raggiunto quando il valore del grado di acidità o basicità del sangue [pH] è compreso nell’intervallo 7.35-7.45).

Gli elettroliti sono importanti poiché tramite la loro carica elettrica permettono di:

  • trasmettere impulsi nell’organismo per facilitare la contrazione muscolare, l’assorbimento delle sostanze nutritive e l’eliminazione dei prodotti di scarto
  • assicurare l’equilibrio osmotico
  • mantenere stabili i livelli di acidità (pH) del sangue (rapporto acido-base)
  • mantenere stabili la pressione del sangue, la quantità di liquidi presenti nel corpo (equilibrio idrico) e le funzioni fondamentali delle cellule

Essi hanno, inoltre, effetti sull’eccitabilità delle membrane delle cellule nervose e svolgono funzioni in diverse reazioni enzimatiche.

Normalmente, si assumono attraverso il cibo e l’acqua.

I principali elettroliti nel corpo umano includono:

  • Sodio (Na+)
  • Potassio (K+)
  • Calcio (Ca2+)
  • Magnesio (Mg2+)
  • Cloruro (Cl-)
  • Bicarbonato (HCO3-)
  • Fosfato (PO4^3-)

I simboli di carica elettrica più (+) e meno (-) indicano che la sostanza è di natura ionica e ha una distribuzione squilibrata degli elettroni provocata dalla dissociazione chimica. Il sodio è l’elettrolita principale che si trova nei fluidi extracellulari e il potassio è il principale elettrolita intracellulare; entrambi sono coinvolti nell’equilibrio dei liquidi e nel controllo della pressione sanguigna.

Tutte le forme di vita superiori conosciute richiedono un equilibrio elettrolitico sottile e complesso tra gli ambienti intracellulari ed extracellulari. In particolare, assume un ruolo fondamentale il mantenimento dei gradienti osmotici precisi degli elettroliti. Tali gradienti influenzano e regolano l’idratazione del corpo e il pH del sangue, e sono fondamentali per la funzionalità dei nervi e dei muscoli. Esistono vari meccanismi nelle specie viventi che mantengono sotto stretto controllo le concentrazioni di elettroliti diversi.

Sia il tessuto muscolare che i neuroni sono considerati i tessuti elettrici del corpo. I muscoli e i neuroni sono attivati ​​dall’attività elettrolitica tra il fluido extracellulare o interstiziale ed il liquido intracellulare. Gli elettroliti possono entrare o uscire dalle cellule attraverso strutture proteiche specializzate incorporate nelle membrane plasmatiche denominate canali ionici. Ad esempio, la contrazione muscolare dipende dalla presenza di calcio (Ca2 +), sodio (Na +) e potassio (K +). Senza livelli sufficienti di questi elettroliti-chiave, possono verificarsi anomalie come la debolezza muscolare o le contrazioni involontarie anche gravi.

L’equilibrio elettrolitico viene mantenuto con la dieta e vari meccanismi fisiologici regolati dagli ormoni, che generalmente interagiscono con la funzione renale che tende ad eliminare gli elettroliti in eccesso – con le urine – e a preservare più possibile quelli carenti evitandone l’espulsione. Negli esseri umani, l’omeostasi degli elettroliti è regolata da vari ormoni come i cosiddetti antidiuretici, l’aldosterone e gli ormoni paratiroidei.

Il livello degli elettroliti nel sangue può variare, ad esempio, a causa di una scorretta alimentazione, di disidratazione o di un eccesso di liquidi nel corpo. Per verificare i valori degli elettroliti basta eseguire un esame prescritto di frequente tra le analisi di controllo (analisi di routine) che rileva la concentrazione nel sangue di alcuni di essi (principalmente sodio, potassio, cloro e bicarbonato); il loro equilibrio, infatti, è molto importante per il benessere generale dell’organismo e una loro variazione può creare diversi disturbi ed essere indice di malattie cardiache, malattie polmonari, malattie epatiche e renali, diabete. In particolare, il potassio insieme al sodio regola l’equilibrio acido-base e idrosalino, le funzioni delle cellule nervose e muscolari, normalizzando il battito cardiaco.

La misurazione del livello di elettroliti può essere prescritta in presenza di: accumulo di liquidi (edema), crampi, nausea o vomito, debolezza, confusione, battito cardiaco irregolare (aritmia cardiaca).

Pertanto, quando gli equilibri idro-elettrolitico o acido-base si alterano, possono insorgere diversi disturbi. Le cause comprendono un malfunzionamento di reni, cuore, fegato e polmoni, disidratazione o iperidratazione, assunzione di farmaci come lassativi e diuretici. Ne derivano iponatriemia e ipernatriemia (bassi o alti livelli di sodio nel sangue); ipokaliemia e iperkaliemia (bassi o alti livelli di potassio); acidosi (eccesso di acidi come l’anidride carbonica e diminuzione del pH sanguigno); alcalosi (eccesso di basi come il bicarbonato e conseguente aumento del pH).

La sintomatologia varia a seconda del disturbo elettrolitico. L’eccesso o la carenza di sodio possono causare spasmi muscolari, convulsioni, sete, sonnolenza, confusione, coma o addirittura morte. Livelli alterati di potassio determinano crampi e debolezza muscolare, paralisi, frequente urinazione, aritmie e in casi gravi arresto cardiaco. Un disequilibrio acido-base causa nausea, vomito, cefalee, irritabilità, letargia, tetania e formicolii a mani, piedi e labbra.

Per la diagnosi sono fondamentali le analisi del sangue per il dosaggio degli elettroliti e l’esame delle urine. L’elettrocardiogramma (ECG) è utile in caso di aritmie cardiache dovute ad alterazioni dei livelli di potassio.

Il trattamento mira a risolvere la causa o la patologia che determinano lo squilibrio elettrolitico. A seconda del disturbo, possono aiutare la somministrazione di integratori, la sospensione o la riduzione dei farmaci causanti il disturbo, il reintegro dei liquidi o al contrario una loro limitata assunzione.

  • Sodio

Il sodio è uno dei minerali più abbondanti nell’organismo. In un adulto ne sono presenti circa 92 grammi, distribuiti nel sangue (ben il 40% del sodio totale nell’organismo si trova nei liquidi extracellulari), nel tessuto osseo, nei connettivi e nel tessuto cartilagineo.

Il sodio regola il passaggio di fluidi e dei nutrienti all’interno e all’esterno delle cellule e partecipa alla trasmissione dell’impulso nervoso. Quello presente nelle ossa rappresenta invece una riserva cui l’organismo può attingere in caso di necessità per regolare il pH del sangue.

Il sodio entra nell’organismo attraverso gli alimenti e le bevande e viene perso principalmente con il sudore e con le urine. La fonte principale di sodio nell’alimentazione occidentale è il sale da cucina. Fra i cibi che ne sono ricchi sono inclusi formaggi, salumi, insaccati e la maggior parte degli altri alimenti conservati. È inoltre naturalmente presente negli alimenti di origine animale (come il latte, le carni sia bianche che rosse e il pesce), mentre è meno abbondante in quelli di origine vegetale.

Il fabbisogno giornaliero di sodio è compreso tra 0,6 e 3,5 grammi al giorno.

La carenza di sodio (iponatriemia), più comune negli anziani, può essere associata a nausea, vomito, anoressia; è causata tra l’altro da malattie renali e morbo di Addison.

Il cervello è particolarmente sensibile alle alterazioni dei livelli di sodio nel sangue. Di conseguenza, si verificano per primi i sintomi di disfunzione cerebrale, come ad esempio sonnolenza (letargia) e confusione. Se il livello di sodio nel sangue si abbassa con rapidità, i sintomi tendono a svilupparsi velocemente e a essere più gravi. I sintomi gravi sono più probabili negli anziani.

Quando l’iponatriemia diventa più grave, possono comparire spasmi muscolari e convulsioni. I soggetti possono diventare apatici, svegliarsi solo mediante stimolazione vigorosa (stupor) fino all’incapacità di svegliarsi (coma). Può sopraggiungere la morte.

La diagnosi di iponatriemia viene posta con il dosaggio dei livelli di sodio nel sangue. L’individuazione della causa è più complessa. Il medico tiene conto delle circostanze del paziente, comprese la presenza di altre patologie e i farmaci o le sostanze illegali assunti. Vengono effettuati esami del sangue e delle urine per valutare la quantità di liquidi nell’organismo, la concentrazione del sangue e il contenuto delle urine.

L’iponatriemia lieve può essere trattata riducendo l’assunzione di liquidi a meno di 1 litro al giorno. Se la causa è un diuretico o un altro farmaco, la dose viene ridotta o il farmaco viene sospeso. Un’eventuale condizione patologica di base deve essere trattata.

A volte, ai soggetti viene somministrata una soluzione di sodio per via endovenosa, un diuretico per aumentare l’escrezione di liquidi, oppure entrambi, generalmente in modo lento nell’arco di diversi giorni. Tali trattamenti consentono di correggere il livello di sodio.

Alcuni soggetti, soprattutto quelli con sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico, necessitano di un trattamento a lungo termine per l’iponatriemia. La sola limitazione all’apporto di liquidi spesso non è sufficiente a prevenire il ripetersi dell’iponatriemia. Il sale in compresse può essere utilizzato nei soggetti con iponatriemia cronica da lieve a moderata. In base alla causa dell’iponatriemia e alla quantità di liquidi nell’organismo del paziente, per il trattamento sono disponibili diversi farmaci.

L’iponatriemia grave rappresenta un’emergenza. Il trattamento consiste nel lento aumento dei livelli di sodio nel sangue mediante liquidi per via endovenosa e talvolta con un diuretico. Talvolta sono necessari farmaci chiamati vaptani, che bloccano i recettori della vasopressina impedendo ai reni di rispondere alla vasopressina. L’aumento troppo rapido dei livelli di sodio può causare un danno cerebrale grave e spesso permanente.

Un eccesso di sodio (ipernatriemia) aumenta la ritenzione idrica e la pressione del sangue, portando con sé il rischio di ipertensione e di sue complicazioni, che possono coinvolgere cuore, arterie e diversi organi, compromettendo la loro salute e quella dell’organismo; è quasi sempre dovuta ad un’inadeguata introduzione di acqua e alla disidratazione (anche da vomito o diarrea). Inoltre dosi eccessive di sodio possono portare a nausea, vomito, convulsioni, febbre e compromissione dei centri respiratori.

Limitare l’assunzione di sodio, spesso troppo abbondante nell’alimentazione occidentale moderna, riduce il rischio di malattie cardiovascolari e di altre possibili complicazioni dell’ipertensione. Una pressione eccessiva può infatti danneggiare molti organi. Oltre a cuore e arterie, a pagare le spese di un’alimentazione eccessivamente ricca di sodio possono ad esempio essere reni, occhi e cervello.

Prestare attenzione al fatto che con l’avanzare dell’età, l’organismo perde la capacità di mantenere l’equilibrio dei liquidi e del sodio per diversi motivi: in primo luogo, lo stimolo della sete viene avvertito con una rapidità e un’intensità minori, di conseguenza si ha la tendenza a bere una quantità insufficiente di liquidi.

  • Potassio

Il potassio è il principale minerale presente nelle cellule: in un individuo adulto ne sono presenti circa 180 grammi. All’interno dell’organismo il potassio è coinvolto in diversi fenomeni: prende parte alla contrazione muscolare (inclusa quella del muscolo cardiaco), contribuisce alla regolazione dell’equilibrio dei fluidi e dei minerali all’interno e all’esterno delle cellule e fa in modo di mantenere la pressione nella norma smorzando quelli che sono gli effetti del sodio.

Il potassio è presente in tutti gli alimenti, ma ne sono particolarmente ricchi i vegetali freschi poco trasformati (la lavorazione può infatti modificare il contenuto di potassio dei cibi). Le fonti principali sono frutta, verdura e legumi, in particolare le verdure a foglia verde, i pomodori, i cetrioli, le zucchine, le melanzane, la zucca, le patate, le carote, i fagioli e la frutta secca. In quantità inferiori è presente anche nei latticini, nella carne rossa, nel pollame e nel pesce.

Il fabbisogno giornaliero di potassio è di 2.320 mg per le donne e 3.016 mg per gli uomini.

La carenza di potassio è considerata un evento altamente improbabile. Le sue conseguenze sono debolezza muscolare, irregolarità del battito cardiaco, cambiamenti dell’umore, nausea e/o vomito. Il buon funzionamento dei reni permette di smaltire un eventuale un eccesso di potassio. Tuttavia, in caso di malfunzionamento renale e quando si assumono alcuni farmaci è possibile andare incontro a ipercalemia, cioè un eccesso di potassio nel sangue. Le conseguenze più frequenti di questa situazione sono debolezza, rallentamento del battito cardiaco e pericolose aritmie.

Bassi livelli di potassio sono stati invece associati a pressione alta e malattie cardiovascolari, a disturbi gastrointestinali (vomito, diarrea), insufficiente apporto nella dieta. Un aumento della sua assunzione, se associato a una riduzione dell’apporto di sodio, potrebbe ridurre il rischio di eventi avversi ai danni di cuore e arterie. Tuttavia ad oggi non ci sono prove certe dell’utilità dell’assunzione di potassio nel trattamento della pressione alta.

  • Calcio

Il calcio è il minerale più abbondante nell’organismo. Il 99% della sua quantità totale è concentrata nelle ossa, dove è accumulato sotto forma di carbonato.

Il calcio è essenziale per lo sviluppo e per la salute delle ossa e dei denti. Infatti le ossa sono sottoposte a un continuo processo di rimodellamento che prevede il riassorbimento e la deposizione di calcio nel nuovo tessuto osseo.

Solo l’1% delle scorte totali di questo minerale partecipa ad altre funzioni: la contrazione dei muscoli, la trasmissione nervosa, la secrezione di ormoni, la vasodilatazione e la contrazione dei vasi sanguigni.

Le principali fonti alimentari di calcio sono il latte e i suoi derivati, in particolare i formaggi, gli yogurt e altri latti fermentati. Questo minerale è inoltre presente in alcuni vegetali a foglie verde scuro (ad esempio nel cavolo cinese, nel cavolo riccio e nei broccoli, ma non negli spinaci), nei legumi secchi e in molti pesci e molluschi (ad esempio nelle sardine, nelle vongole e nelle cozze).

La dose giornaliera raccomandata di calcio è pari a 800 mg. Il fabbisogno individuale varia però a seconda dell’età. In particolare, il fabbisogno quotidiano di calcio aumenta durante la gravidanza e l’allattamento.

Carenze di calcio possono rimanere asintomatiche nel breve termine, ma se non vengono trattate adeguatamente possono avere conseguenze molto gravi. I primi sintomi includono pizzicore e addormentamento delle dita, crampi muscolari, convulsioni, sonnolenza, scarso appetito e anomalie del battito cardiaco. Nel lungo periodo si può inoltre andare incontro a osteopenia e, in seguito, a un’osteoporosi con conseguente aumento del rischio di fratture. Anche il rachitismo può essere una conseguenza di una carenza di calcio, anche se è più frequente che alla base di questo tipo di problema ci sia una carenza di vitamina D.

Un eccesso di calcio nel sangue può invece portare a insufficienza renale, calcificazione dei vasi sanguigni e dei tessuti molli, aumento del calcio nelle urine e calcoli renali. Inoltre un’assunzione eccessiva di calcio può causare stitichezza e interferire con l’assorbimento del ferro e dello zinco.

Meno chiara è invece l’associazione con un aumento del rischio di cancro alla prostata e di malattie cardiovascolari.

  • Magnesio

Il magnesio è un macroelemento, cioè uno dei minerali presenti nell’organismo in quantità più elevate. In genere in un adulto ne sono presenti tra i 20 e i 28 grammi, il 50-60% dei quali è concentrato nelle ossa, il 39% nei tessuti molli e solo l’1% nel sangue. È considerata normale una concentrazione di magnesio compresa tra 0,75 e 0,95 mmol/L.

Il magnesio partecipa a molte delle reazioni che avvengono nelle cellule. È il cofattore di più di 300 enzimi che controllano processi molto diversi fra loro, dalla sintesi delle proteine al funzionamento dei muscoli e dei nervi, fino al controllo della glicemia e della pressione sanguigna. È necessario per la produzione di energia e per i processi di fosforilazione ossidativa e di glicolisi, partecipa allo sviluppo strutturale dell’osso ed è richiesto per la sintesi del DNA, dell’RNA e del glutatione, un importante antiossidante. Inoltre partecipa al trasporto del calcio e del potassio attraverso le membrane cellulari, fondamentali per la trasmissione dell’impulso nervoso, la contrazione muscolare e il battito cardiaco.

Il magnesio è presente in quasi tutti gli alimenti, ma è particolarmente abbondante nei vegetali a foglia verde (come gli spinaci), nei legumi, nella frutta secca, nei semi e nei cereali integrali, mentre per quanto riguarda la frutta ne sono una buona fonte le banane. In generale, gli alimenti ricchi di fibre sono anche buone fonti di magnesio.

La dose giornaliera raccomandata di magnesio è 300 mg (valore di riferimento europeo).

La carenza di magnesio non è comune. I soggetti più a rischio sono le persone che assumono farmaci o che soffrono di malattie che possono comprometterne l’assorbimento, come la diarrea cronica associata al morbo di Crohn, la celiachia o il diabete di tipo 2, oppure chi ha affrontato un bypass intestinale.

Nelle situazioni più gravi la carenza può portare a crampi e contrazioni muscolari, intorpidimenti, convulsioni, aritmie, spasmo delle coronarie, cambiamenti di personalità e riduzione dei livelli di calcio e di potassio nel sangue.

Un eventuale eccesso di magnesio di origine alimentare viene in genere eliminato attraverso i reni. Tuttavia dosi eccessive possono scatenare diarrea, a volte associata a nausea e crampi addominali. Solo dosi superiori a 5 grammi al giorno sono state associate a una tossicità che può portare ad abbassamenti della pressione, arresto della peristalsi intestinale, depressione, letargia, debolezza muscolare, difficoltà respiratorie e, nei casi più gravi, arresto cardiaco.

  • Cloruro

Il cloruro (Cl-) è il principale ione negativo (anione) presente nel liquido extracellulare (sangue e liquido interstiziale) in forma di cloruro di sodio o, nel succo gastrico, come acido cloridrico.

Il cloruro di magnesio viene principalmente assunto per prevenire o trattare le carenze di magnesio, che possono insorgere a causa di alcolismo, malnutrizione, sindromi da malassorbimento (celiachia, enteriti, morbo di Crohn, pancreatiti ecc.).

Il cloruro più universalmente noto è il cloruro di sodio di formula NaCl, il normale sale da cucina, presente sulla crosta terrestre in grandi quantità nell’acqua di mare. Lo ione cloruro si trova in concentrazioni minori anche nelle acque dolci e in numerose bevande di uso comune.

In genere i prodotti a base di cloruro di potassio sono ben tollerati dalla maggior parte delle persone. La loro assunzione può però comportare disturbi a carico del sistema gastrointestinale, come diarrea, nausea, vomito e meteorismo.

Il cloruro di potassio sotto forma di integratore viene utilizzato per prevenire o trattare carenze di potassio, che è il più presente nelle cellule del corpo umano; la giusta presenza di potassio nel corpo umano serve a permettere lo svolgimento delle varie azioni da esso svolte, tra cui: a) partecipare alla contrazione muscolare, compresa quella del muscolo cardiaco; b) contribuire alla regolazione dell’equilibrio dei fluidi e dei minerali all’interno e all’esterno delle cellule; c) aiutare a tenere sotto controllo la pressione sanguigna.

I livelli di questo minerale nell’organismo possono essere ridotti da vari fattori come vomito, diarrea, problemi ormonali e terapie a base di diuretici.

In genere i prodotti a base di cloruro di potassio sono ben tollerati dalla maggior parte delle persone. La loro assunzione può però comportare disturbi a carico del sistema gastrointestinale, come diarrea, nausea, vomito e meteorismo. Possibile è anche il formarsi di problemi come deglutizione difficile o dolorosa e sensazione di avere la gola bloccata.

Nel caso in cui all’assunzione di integratori di questo tipo facciano seguito dolori di stomaco o dell’addome o emissione di feci nere è necessario prestare grande attenzione e rivolgersi al proprio medico.

L’uso di integratori di cloruro di potassio può interferire con alcuni farmaci:

  • aumentando il livello di potassio nell’organismo, come nel caso degli ACE-inibitori, di alcune pillole anticoncezionali e dei diuretici
  • rallentando il movimento di potassio in stomaco e intestino, come ad esempio con la scopolamina, l’atropina, i farmaci antispastici, alcuni antistaminici e alcuni farmaci con cui viene trattata la malattia di Parkinson.
  • Bicarbonato

Il bicarbonato di sodio è un farmaco che ha la capacità di rendere alcaline – basiche – le urine e altri liquidi del corpo. Ha dunque la capacità di neutralizzare gli acidi.

Il bicarbonato di sodio (formula chimica NaHCO3) è un farmaco che trova impiego nel trattamento di molteplici patologie come quando si è in presenza di bruciori di stomaco, ulcere peptiche, gastriti e in tutte le circostanze ci sia l’esigenza di rendere alcaline l’urina o altri liquidi del nostro organismo. Viene dunque impiegato come antiacido nelle pirosi gastriche e per trattare molte patologie, tra cui l’acidosi metabolica, l’acidosi lattica e anche le aritmie ventricolari. Più precisamente, dal punto di vista chimico, il bicarbonato per digerire è il sale sodico dell’acido carbonico. Sciolto in acqua, il bicarbonato di sodio dà origine a una soluzione leggermente basica, che può essere sfruttata proprio per contrastare i disturbi digestivi e l’eccessiva acidità di stomaco.

Importante è il suo ruolo anche nella cura delle intossicazioni da farmaci e nella prevenzione della formazione di calcoli renali di acido urico.

Il bicarbonato di sodio può essere assunto per via orale – in forma di compresse o di granulato sciolto in acqua – o attraverso iniezioni per via endovenosa.

L’assunzione di bicarbonato di sodio provoca l’insorgenza di vari effetti collaterali, tra cui: crampi allo stomaco, flatulenza, distensione addominale, difficoltà a respirare, aumento della pressione arteriosa, eccessiva ritenzione idrica ed edema polmonare.

L’uso di bicarbonato di sodio è sconsigliato per chi soffre di scompenso cardiaco congestizio, insufficienza renale grave, pressione alta e per chi si sta sottoponendo a cure a base di farmaci corticosteroidi o corticotropinici.

In caso di gravidanza o di allattamento al seno, è meglio chiedere un consiglio al proprio medico prima di assumerlo.

  • Fosfato

Il fosfato è uno degli elettroliti dell’organismo, minerali dotati di una carica elettrica quando disciolti in liquidi corporei come il sangue, anche se la maggior parte del fosfato presente nell’organismo è priva di carica.

L’ipofosfatemia può essere:

  • acuta: nell’ipofosfatemia acuta i livelli di fosfato nel sangue raggiungono repentinamente valori pericolosamente bassi. Dal momento che l’organismo utilizza grandi quantità di fosfato durante il recupero da determinate patologie, l’ipofosfatemia acuta può insorgere in soggetti affetti dai seguenti disturbi: denutrizione grave (compresa l’inedia, chetoacidosi diabetica, grave disturbo da uso di alcol, ustioni gravi. Il calo improvviso dei livelli di fosfato può causare alterazioni del ritmo cardiaco e persino la morte.
  • cronica: nell’ipofosfatemia cronica i livelli di fosfato nel sangue si abbassano nel corso del tempo. L’ipofosfatemia cronica in genere è causata da un’eccessiva escrezione di fosfato. Le cause possono essere le seguenti: iperparatiroidismo, diarrea cronica, uso protratto di diuretici, assunzione per un lungo periodo di tempo di grandi quantità di antiacidi contenenti alluminio, uso di grandi quantità di teofillina (per il trattamento dell’asma)

I sintomi di ipofosfatemia compaiono solo quando i livelli di fosfato nel sangue diventano molto bassi. Si sviluppa debolezza muscolare, seguita da stupor, coma e morte.

In caso di ipofosfatemia cronica lieve, le ossa possono diventare più fragili con conseguenti dolore osseo e fratture. Può manifestarsi debolezza e perdita di appetito.

L’ipofosfatemia è diagnosticata quando dagli esami del sangue risulta che il livello di fosfato è troppo basso. Il medico esegue altri esami per identificare la causa, se questa non è immediatamente chiara.

Per il trattamento dell’ipofosfatemia è necessario incrementare l’assunzione di fosfato, sospendere l’assunzione dei farmaci che riducono i livelli di fosfato.

Se l’ipofosfatemia è lieve e asintomatica, può essere d’aiuto l’assunzione di latte a basso contenuto di grassi o scremato, che contiene una grande quantità di fosfato. In alternativa, è possibile assumere fosfato per via orale, anche se spesso compare diarrea.

Se l’ipofosfatemia è molto grave o se i fosfati non possono essere assunti per via orale, è necessario ricorrere alla somministrazione endovenosa.

Redazione amaperbene.it

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