Galio | Galium aparine
Galium aparine L. è una piccola pianta appartenente alla famiglia delle Rubiaceae, inconfondibile al tatto a causa dei peli ruvidi (simili a del velcro) che la rivestono in tutte le parti. Per questo viene chiamata anche “attaccamani” o “attaccaveste“. Estremamente comune, vive senza difficoltà nei campi incolti.
Il Galium aparine è una pianta erbacea annuale, ascendente o strisciante; i fusti quadrangolari sono molto ruvidi e muniti di piccoli uncini. Le foglie caratterizzate da pseudo verticilli di 4-12, in parte vere foglie e per il resto stipole modificate ad assomigliarvi, e fiori piccoli bianchi, muniti anch’essi di piccoli uncini. I fiori, di colore bianco, sono molto piccoli, ermafroditi e riuniti in cime ascellari. Il frutto, grande come un chicco di riso, è anch’esso coperto di spine uncinate che, rimanendo attaccate al pelo degli animali favoriscono, la propagazione e diffusione della pianta; questa dovrebbe essere raccolta in primavera o all’inizio dell’estate, subito prima del periodo di fioritura.
Galium deriva dalla parola greca gála, che significa “latte” per la capacità della pianta di favorire la coagulazione del latte dovuta alla presenza dell’enzima fitochinasi; Aparine dal greco Aparein che significa “attaccarsi”, per la capacità della pianta ad attaccarsi, per i peli uncinati di cui è rivestita, agli abiti e al pelo degli animali.
Questa pianta ha una lunga storia nella medicina popolare; veniva utilizzata sia per uso esterno che per uso interno, per trattare ulcere, ferite e problemi della cute. È anche commestibile, ha sapore amaro, acre, ma solo i germogli primaverili lessati. Il nome galium ricorda che in passato probabilmente era usata come caglio; il vero Caglio, usato fin dal passato dai Romani, è il Gallium verum , cioè proprio, il vero caglio.
Principi attivi: glicosidi iridoidi (tra cui galiosina, aucubina e asperuloside), alcaloidi tra cui caffeina contenuta nei semi, acidi fenolici, antrachinone, flavonoidi, cumarina (che dà il caratteristico odore dolciastro dell’erba tagliata quando la pianta è secca), acido citrico.
Indicazioni: antispasmodica, lievemente diuretica, astringente, vulneraria, ipotensiva, antiflogistica e sudorifera.
Altre indicazioni: in caso di disturbi dell’apparato digerente, affezioni cutanee, e manifestazioni dolorose soprattutto di natura nervosa. Agisce in modo efficace sul sistema linfatico. Buon diuretico, e come tale, promuove un maggiore flusso di urina che aiuta a liberare i reni e la vescica da sostanze di scarto, per evitare l’insorgenza di infezioni del tratto urinario (come la cistite), ed alleviare i disturbi della prostata.
La pianta si utilizza sia fresca che essiccata.
Nella Medicina tradizionale veniva utilizzata su ferite e piaghe sotto forma di impacchi cicatrizzanti con decotto di fiori e foglie. Il succo veniva usato per cagliare il latte e i fusti intrecciati venivano impiegati per filtrarlo, la radice si utilizzava per colorare la lana di rosso-arancio ed i semi torrefatti per preparare bevande, e le giovani foglie e sommità come verdura.
Dioscoride, medico greco del I secolo d.C., la considerava utile come rimedio alla stanchezza e scriveva che i pastori usavano i gambi per fare dei setacci per filtrare il latte. Il Mattioli (1559), medico senese, gli attribuiva proprietà diuretiche e proprietà calmanti del male alle orecchie. Suggeriva inoltre l’uso del succo dei frutti e delle foglie contro i morsi delle vipere e degli scorpioni. Nella medicina popolare il succo fresco o un cataplasma di foglie fresche triturate, applicate su una ferita o su un’ulcera, erano impiegate per arrestare il sanguinamento, inibire la necrosi e favorire la cicatrizzazione.
Le cime tenere possono essere mangiate come asparagi, prima che siano prodotti i frutti; certamente è bene sbollentarla per evitare lo spiacevole effetto dei piccoli peli uncinati che coprono la pianta.
I frutti, una volta maturi, venivano torrefatti ed i semi torrefatti e usati come succedaneo del caffè; infatti contengono caffeina (anche se in misura minore del caffè). La radice si utilizzava per sostituire la cicoria; da essa si può estrarre un colorante rosso-arancio.