Fava | Vicia faba L. (1753)
La fava (Vicia faba L. 1753) o “baccello” (in dialetto toscano), è una pianta erbacea, annuale, della famiglia delle Leguminose o Fabaceae, largamente coltivata sin dall’antichità per l’alimentazione umana e per foraggio.
Si tratta di legumi probabilmente originari dell’Asia Minore o dell’area mediterranea.
La fava possiede un apparato radicale fittonante, con numerose ramificazioni laterali di struttura reniforme (tubercoli radicali) nei primi 20 cm che ospitano specifici batteri azotofissatori (Rhizobium leguminosarum). Il fusto ha sezione quadrangolare, cavo, ramificato alla base, con accrescimento indeterminato, alto da 70 a 140 cm. Le foglie, stipolate, glauche, pennato-composte, sono costituite da 2-6 foglioline ellittiche. I fiori sono raccolti in brevi racemi che si sviluppano all’ascella delle foglie a partire dal 7º nodo. Ogni racemo porta 1-6 fiori pentameri, con vessillo ondulato, di colore bianco striato di nero e ali bianco o violacee con macchia nera. La fecondazione è autogama. Il frutto è un legume allungato, cilindrico o appiattito, terminante a punta, eretto o pendulo, glabro o pubescente che contiene da 2 a 10 semi con ilo evidente, inizialmente verdi e di colore più scuro (dal nocciola al bruno) a maturità. Le varietà con semi piccoli e duri invece, prendono il nome di “favino“, e fungono soprattutto da foraggio.
In relazione appunto alla grandezza del seme, in Vicia faba L. vengono distinte quattro varietà botaniche:
- Vicia faba var. paugyuga con semi molto piccoli, di origine indiana, non è coltivata
- Vicia faba var. minor Beck, detta comunemente “favino”, con peso dei 1000 semi inferiore a 700 grammi e baccello clavato e corto; è utilizzata come foraggio o sovescio;
- Vicia faba var. equina Pers., detta comunemente “favetta”, con peso dei 1000 semi compreso tra 700 e 1000 grammi e baccello clavato e allungato; è utilizzata come foraggera;
- Vicia faba var. major Harz. con semi grossi, il peso dei 1000 semi è superiore a 1000 grammi, il baccello è lungo 15–25 cm ed è pendulo e di forma appiattita che contiene 5-10 semi. Appartengono a questa varietà le cultivar da consumo fresco.
Il nome del genere deriva dal lat. “viere” o “vincire”, cioè legare, in riferimento alla maggior parte delle specie del genere che si avvinghiano tramite i cirri ad un sostegno. Il nome di questa specie deriva dal latino făba; il termine si riferisce in particolare ai frutti di tale pianta, che sono edibili.
Secondo un’antica tradizione agraria, nell’orto sarebbe bene seminare alcune fave all’interno delle altre colture poiché questo legume, oltre ad arricchire il terreno di azoto, attirerebbe su di sé tutti i parassiti, che di conseguenza non infesterebbero gli altri ortaggi. La fava viene avvicendata come coltura miglioratrice tra due frumenti. Il terreno viene preparato in estate, poi affinato e concimato: la semina si fa a righe o a buchette, in modo da avere 8-10 piante/m2. Essendo una pianta che teme il caldo, nelle zone climatiche temperate calde la semina delle fave va effettuata in autunno o all’inizio dell’inverno, con raccolti a partire da circa 180 giorni dopo. Per le zone molto fredde è meglio seminare in primavera. Il fosfato di ammonio è il principale concime chimico utilizzato per la produzione di fave.
Le fave come alimento sono utilizzate da tempi molto remoti. Nell’antichità storica, per tutto il Medio-Evo e fino al secolo scorso, le fave secche e cotte in svariati modi hanno costituito la principale base proteica alimentare di molte popolazioni specialmente di quelle meridionali d’Italia (carne dei poveri, come i fagioli). Nei tempi recenti il consumo dei semi secchi si è ridotto, mentre ampia diffusione ha ancora nell’alimentazione umana l’uso della granella immatura fresca o conservata inscatolata o surgelata.
Si consiglia il loro consumo sia da fresche sia da cotte, in quanto sono molto utili per contrastare i sintomi di malattie degenerative di vario genere, come alcune patologie cardiovascolari e infiammatorie. Per chi non lo sapesse, anche le foglie hanno effetti benefici: essiccate vengono usate per stimolare la diuresi.
Valori nutrizionali – In generale, 100 grammi di fave fresche contengono: 83,9 g di acqua; 5,2 g di proteine; 4,5 g di carboidrati; 4,5 g di fibra insolubile; Vitamine: A, C, K e folati; minerali: potassio, molto abbondante, sodio, fosforo, calcio, ferro, zinco, manganese.
Dal punto di vista calorico, 100 grammi di prodotto fresco edibile contengono intorno alle 50 kcal, 41 calorie se cotte; le calorie delle fave secche sono invece pari a 341 ogni 100 grammi di prodotto, mentre le calorie delle fave surgelate sono 62 per 100 grammi di prodotto.
Le fave costituiscono una buona fonte di proteine, carboidrati, fibre alimentari, vitamine, minerali, composti fenolici con proprietà antiossidanti e ridotto contenuto di grassi. Proprio per questo, le fave risultano ideali per le diete ipocaloriche. Inoltre, è utile sapere che hanno micronutrienti essenziali e sostanze fitochimiche bioattive come oligosaccaridi, inibitori enzimatici, fitosteroli e saponine. Tra i vari componenti, le fave contengono:
- Ferro, elemento fondamentale per l’organismo, necessario per trasportare l’ossigeno nel sangue e sostanziale per la creazione dei globuli rossi. Grazie alla loro buona quantità di ferro, le fave sono un ottimo alimento per combattere l’anemia.
- Potassio, che stabilizza l’eccitabilità neuromuscolare, il battito cardiaco, la pressione osmotica, il bilanciamento acido-base e la ritenzione di liquidi.
- Magnesio, importante perché è fondamentale sia per i tessuti sia per le cellule e dà vita a circa 300 enzimi.
- Rame, che agevola l’intestino nell’assorbimento del ferro; inoltre, con la vitamina C, funziona come catalizzatore nella creazione dell’emoglobina, delle ossa e degli enzimi che rendono elastici i vasi sanguigni e il muscolo cardiaco.
- Selenio, che protegge le membrane cellulari dall’ossidazione, quindi contrasta le malattie cardiovascolari.
- Vitamine, in particolare la B1, molto utile per il buon funzionamento del sistema nervoso e per trasformare il cibo ingerito in energia;
- Acido ascorbico, ad alta capacità antiossidante che protegge i grassi polinsaturi dall’ossidazione della vitamina E.
- Acido folico e folati indispensabili per il metabolismo e per fornire energia al corpo; l’acido folico supporta anche la sintesi del DNA e dell’RNA.
È importante ricordare che durante la cottura e durante l’essiccazione, come avviene in generale per i legumi, c’è il rischio di perdere buona parte sia delle vitamine sia dei minerali.
Famose le fave di Miliscola, una località in provincia di Napoli, ad ovest, molto vicina ai Campi Flegrei, e quindi una zona sul mare caratterizzata dal terreno vulcanico. Queste caratteristiche geografiche hanno favorito la qualità delle fave qui coltivate, rendendole particolarmente apprezzate per la notevole tenerezza e il sapore molto caratteristico. Delle fave di Miliscola si distinguono due tipologie: quelle più grandi dette “vittulane” e quelle più piccole dette “quarantine“. Nonostante il prodotto sia celebre e molto apprezzato, si tratta di una coltura minore, effettuata nei vigneti e nei frutteti anche allo scopo di migliorare la fertilità dei terreni prima della coltivazione del pomodoro e degli altri ortaggi estivi. In realtà le fave sono un cibo molto caratteristico in tutta l’area del napoletano, consumate fresche sono tra i cibi rituali del periodo della Quaresima.
Consumate sia secche sia fresche, le fave hanno proprietà depurative e diuretiche, in quanto contengono molta fibra, ideale per regolarizzare il movimento intestinale e la formazione delle feci, agevolando la rimozione di scorie e tossine, soprattutto per chi soffre di stitichezza. Oltre ai benefici depurativi, le fave sono anche diuretiche, poiché la significativa porzione di acqua che contengono sostiene la funzionalità renale; per questo motivo, sono consigliate anche in caso di ritenzione idrica. Sempre grazie alle fibre vegetali, le fave contribuiscono a stabilizzare nel sangue il livello di colesterolo e quindi sostenere la salute cardiovascolare nonché regolarizzare i livelli di zuccheri presenti nel sangue, in maniera da prevenire il diabete. Inoltre, nell’alimentazione quotidiana, ingerire tante fibre può ridurre il rischio di infarto e ictus. Avendo un ridotto contenuto di grassi e un buon mix di proteine e fibre vegetali, le fave sono perfette per essere inserite nella dieta di tutti i giorni e per mantenere delle abitudini alimentari equilibrate e sane. Per un piatto sfizioso si possono mangiare le fave con del riso o, eventualmente, anche con altri cereali (meglio se integrali), così da preparare un piatto completo di tutte le sostanze necessarie a livello nutrizionale. Tra i legumi risulta essere il meno calorico.
Le fave sono un capostipite dell’alimentazione vegetariana e vegana. Forniscono amido, proteine e discreto valore biologico, fibre e diversi minerali e vitamine utili. Purtroppo costituiscono un alimento sempre meno frequente sulle tavole degli italiani, nonostante le loro eccellenti proprietà nutrizionali e gli impieghi culinari di alto valore gustativo. La loro produzione è tra le più sostenibili oggi conosciute, in virtù delle loro scarsissime necessità in termini di terreno, del ridotto fabbisogno idrico e della resistenza a parassiti e malattie.
E’ tipico l’accostamento tra “fave crude” (raccolte quando i semi sono ancora teneri) e pecorino morbido del Metauro, oppure tra fave cotte e cime di rapa.
Le fave hanno una forte azione benefica sul cervello, perché contengono la L-dopa, un amminoacido intermedio che aiuta a mantenere in salute l’organismo; proprio grazie a questi effetti benefici, la L-dopa è utile nella prevenzione del morbo di Parkinson. Infine le fave sono utili per prevenire l’artrite e l’osteoporosi, essendo ricchi di manganese, un minerale che supporta il funzionamento del sistema nervoso, endocrino e immunitario. Inoltre, il manganese è indispensabile per la produzione di un fondamentale enzima antiossidante.
Le numerose proprietà delle fave purtroppo non hanno valore su chi è affetto da favismo. Il favismo è un’anomalia genetica (si tramanda per via ereditaria con il cromosoma X) che interessa l’enzima glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD) che è carente; ciò comporta gravi conseguenze a carico dei globuli rossi come anemia emolitica e ittero. Da non confondere con l’allergia alle fave, questa anemia ereditaria è una malattia piuttosto diffusa non solo in Medio Oriente e Asia meridionale, ma anche nel bacino del mediterraneo, inclusa l’Italia.
La patologia inizia a manifestarsi dopo le 12-48 ore successive all’ingerimento delle fave fresche. Quando la situazione è grave può succedere che quasi la metà dei globuli rossi ne rimanga distrutta. In Italia, la regione nel quale il favismo è più diffuso è la Sardegna, mentre all’estero è la Grecia.
Curiosità:
È nota l’idiosincrasia di Pitagora e della sua Scuola per le fave: non solo si guardavano bene dal mangiarne, ma evitavano accuratamente ogni tipo di contatto con questa pianta. Secondo la leggenda, Pitagora stesso, in fuga dagli scherani di Cilone (di Crotone), preferì farsi raggiungere ed uccidere piuttosto che mettersi in salvo attraverso un campo di fave.
Stando ad una credenza popolare diffusa in Italia, se si trova un baccello di fava contenente sette semi si avrà un periodo di grande fortuna.
Comunque la fava era già coltivata nell’età del bronzo, nell’antichità era conosciuta e apprezzata, anche se era circondata da “una macabra nomea”. Nell’antica penisola ellenica si riteneva, infatti, che Cerere avesse donato a una città dell’Arcadia i semi di tutti i legumi tranne quelli delle fave, cui era legata la superstizione di “albergare le anime dei morti”, credenza avvalorata appunto anche da Pitagora.
Al tempo dei Romani erano consumate secondo le ricette di Apicio, che le voleva assieme a uova, miele e pepe, prima di mescolarle a erbe e salse. Inoltre, durante le feste dedicate alla dea Flora, protettrice della natura che germoglia, i Romani le gettavano sulla folla in segno di buon augurio. Ma a festeggiamenti conclusi questo legume tornava ad essere ritenuto impuro in quanto utilizzato nei riti religiosi come cibo per i defunti, usanza simile a quella dei greci.