Da sapere

Anisakiasi | Parassitosi da anisakis

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L’anisakiasi è l’infezione da larve di vermi del complesso Anisakis simplex e di altre specie di anisakidi, del complesso Pseudoterranova decipiens e del complesso Contracecum osculatum. Questi nematodi, visibili a occhio nudo, misurano da 1 a 3 cm, vanno dal colore bianco al rosato, sono sottili e tendono a presentarsi arrotolati su loro stessi.

Anisakis è un parassita che risiede nel tratto gastrointestinale di mammiferi marini. Le uova eliminate liberano larve capaci di nuotare autonomamente che vengono ingerite da pesci e calamari. L’infestazione umana si contrae con ingestione dell’ospite intermedio crudo o poco cotto; le larve penetrano nella mucosa del tratto gastrointestinale, causando dolore addominale e talvolta vomito.

Sintomatologia dell’anisakiasi
Dopo l’ingestione le larve vitali possono essere espulse nelle 48 ore successive o penetrare immediatamente nella mucosa gastrica causando un dolore addominale violento, accompagnato da nausea e vomito entro poche ore dall’ingestione delle larve. Se passano nell’intestino si può manifestare una risposta immunitaria eosinofila e granulomatosa, generalmente una o due settimane dopo l’infezione, con una clinica simile a quella della malattia di Crohn, con dolore addominale intermittente, nausea, diarrea e febbre. È anche possibile la perforazione intestinale, Raramente si verificano infezioni ectopiche al di fuori del lume del tratto gastrointestinale.

L’anisakiasi tipicamente si risolve spontaneamente dopo molte settimane; raramente, persiste per mesi.

Ciclo vitale di Anisakis
Questi parassiti si trovano, allo stadio adulto, nello stomaco dei mammiferi marini (balene, foche, delfini), e sono visibili a occhio nudo. Nei pesci sono presenti all’interno delle carni, prevalentemente nella parte inferiore, dove assumono una colorazione biancastra.

Le specie di anisakis svolgono il loro ciclo biologico in ambiente marino. Le uova sono rilasciate in acqua attraverso le feci dei mammiferi marini e si sviluppano vari stadi larvali. Subito dopo la schiusa sono ingeriti dai primi ospiti intermedi, di solito i piccoli crostacei che costituiscono il krill. Il krill a sua volta è ingerito dal secondo ospite intermedio, o paratenico (cioè in cui il parassita non può svilupparsi e crescere), che è il pesce. A questo punto si sviluppa l’ultimo stadio larvale che può passare direttamente all’ospite definitivo (mammiferi marini) per il completamento del suo ciclo biologico, oppure può trovarsi accidentalmente in un altro ospite, definito per questo accidentale, nel quale il parassita non evolve a successivi stadi di sviluppo. L’ospite accidentale può essere l’uomo se quest’ultimo si ciba di pesce crudo o poco cotto che abbia la larva di Anisakis.

  1. I vermi adulti di Anisakisrisiedono nello stomaco dei mammiferi marini. Gli adulti vivono in grappoli, incastrati nella mucosa. Le femmine adulte producono uova non embrionate che vengono espulse con le feci dei mammiferi marini.

2a. Le uova embrionano in acqua e nelle uova si formano la prima fase e poi la seconda fase delle larve.

2b. Dopo che le larve si schiudono dalle uova, diventano libere di nuotare.

  1. Le larve che nuotano liberamente vengono ingerite dai crostacei. Le larve maturano in larve di terzo stadio e migrano dall’intestino ai tessuti nella cavità peritoneale.
  2. Quando l’ospite viene mangiato da pesci o calamari, le larve migrano verso i tessuti muscolari e, attraverso la predazione, le larve vengono trasferite da pesci a pesci.
  3. Le larve al terzo stadio, che sono infettanti per l’uomo e per i mammiferi marini, risiedono nei pesci e nei calamari.
  4. Quando un tale pesce o calamaro viene ingerito dai mammiferi marini, le larve si trasformano in vermi adulti. Le femmine adulte producono uova che vengono sparse dai mammiferi marini.
  5. Gli esseri umani si infettano mangiando pesce di mare infetto crudo o poco cotto. Dopo l’ingestione, le larve penetrano nella mucosa gastrica e intestinale, causando sintomi.

Epidemiologia
Molti prodotti ittici possono essere interessati dall’infestazione da anisakis. Quelli più a rischio sono pesce sciabola, ricciola, lampuga, pesce spada, tonno, sardina, aringa, acciuga, nasello, merluzzo, rana pescatrice, sgombro e salmone.

L’infezione è particolarmente frequente in paesi dove il pesce viene consumato crudo, leggermente sottaceto o sotto sale, soprattutto in Scandinavia (dal fegato di merluzzo), in Giappone (dal consumo di sushi e sashimi), nei Paesi Bassi (dalle aringhe in salamoia, le cosiddette maatjesharing) e nella costa del Pacifico del Sud America (dall’insalata di mare nota come ceviche). Negli Stati Uniti sono descritti meno di dieci casi all’anno.

Lo sviluppo di migliori strumenti diagnostici e la maggior consapevolezza della malattia hanno portato a un aumento della frequenza di casi riconosciuti di anisakiasi. I casi stimati nel mondo sono 20 000 ogni anno

Diagnosi dell’anisakiasi
La diagnosi è effettuata tramite EGDS (endoscopia del tratto superiore), durante la quale possono essere osservate e rimosse larve anche di 2 cm; tramite una radiografia con mezzo di contrasto; oppure tramite esame istologico effettuato su biopsia o durante l’intervento chirurgico. Dal momento che l’uomo non è un ospite finale, non vengono riscontrate uova all’esame delle feci, per cui l’esame delle feci è di scarso valore diagnostico. È disponibile il test sierologico in alcuni paesi.

Prevenzione dell’anisakiasi
L’anisakiasi può essere prevenuta mediante

  • Cottura a > 63° C . L’EFSA suggerisce di portare la parte più interna del pesce a una temperatura superiore a 60 °C per almeno un minuto. Per ottenere questo risultato è necessario cuocere il pesce per una durata più lunga e a una temperatura maggiore. Per un filetto di 3 cm è necessaria una cottura di almeno dieci minuti per raggiungere questo scopo.
  • Congelamento a ─20° C o meno per 7 giorni
  • Congelamento a ─35° C o inferiore, fino al raggiungimento dello stato solido, quindi conservare a tale temperatura per ≥ 15 h, oppure a ─20° C per 24 h. Molti paesi obbligano per legge a surgelare preventivamente il pesce destinato al consumo crudo;

Le larve resistono alla conservazione in salamoia, alla salatura e all’affumicamento.

Reazioni allergiche
Anche a pesce sufficientemente cotto le sostanze chimiche secrete dalle larve all’interno dei pesci che le ospitano possono causare reazioni allergiche in individui sensibili; lo stesso vale nel caso del congelamento.

La reazione si può presentare con manifestazioni acute, quali orticaria e reazioni anafilattiche accompagnate o meno a sintomi gastrointestinali, mediate da IgE. In coloro che lavorano nel trattamento del pesce sono state osservate altre manifestazioni, come attacchi asmatici, congiuntiviti e dermatiti da contatto.

Trattamento dell’anisakiasi
Della rimozione endoscopica risolutiva delle larve si è già detto.

In alcuni casi l’infezione si risolve con il solo trattamento sintomatico. In qualche caso l’infezione può portare a un’ostruzione dell’intestino tenue, che potrebbe richiedere l’intervento chirurgico, benché siano riportati casi di successo di un trattamento con solo albendazolo (400 mg per via orale 2 volte/die per 6-21 giorni), senza chirurgia.

La rimozione endoscopica delle larve è.

Il trattamento dell’anisakiasi presuntiva con albendazolo può essere efficace, ma i dati sono limitati.

Normative vigenti
L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda che l’eviscerazione, il surgelamento ad almeno -23 °C per una settimana e la cottura avvengano il più presto possibile.

Nei paesi dell’Unione europea la normativa CE 853/2004 approvata dal parlamento europeo raccomanda il surgelamento dei prodotti ittici a -20 °C per almeno 24 ore e prevede l’ispezione a campione dei prodotti ittici, l’eventuale identificazione del parassita e la conseguente rimozione dal mercato dei prodotti pesantemente contaminati. Inoltre tale normativa prescrive per i ristoratori l’obbligo di munirsi di abbattitori di temperatura in relazione ai quantitativi di prodotto che si intendono trattare.

Negli Stati Uniti la FDA raccomanda il surgelamento ad almeno -35 °C per quindici ore o ad almeno -20 °C per una settimana, mentre CDC raccomanda la cottura dei prodotti ittici ad almeno 63 °C o il surgelamento ad almeno -20 °C per una settimana, oppure ad almeno -35 °C fino alla solidificazione con immagazzinamento a -35 °C per 15 ore o a -20 °C per 24 ore.

Redazione amaperbene.it

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