Il largo consumo è stato il settore più colpito dall’aumento dei prezzi nel 2023
Pillola di conoscenza
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Secondo un’indagine ISMEA-NielsenIQ, che ha coinvolto 3 mila famiglie italiane, nel 2023 è stato il Largo Consumo, per lo più costituito dai generi alimentari, la categoria in assoluto più inflattiva: è questa l’opinione dell’86% dei responsabili di acquisto. Nel vortice dei rincari sono finiti anche altri capitoli del bilancio familiare – a detta sempre degli intervistati -, in particolare abitazione e fuori casa (bar, ristoranti e pizzerie), mentre l’impatto del caro-vita è stato più mite, nella percezione dei consumatori, su abbigliamento, trasporti, farmaceutico e strutture ricettive.
L’aumento medio nel carrello della spesa percepito dalle famiglie è stato di quasi l’11% nel 2023. Ma i prezzi di febbraio più freddi, come certificano i dati Istat sull’inflazione alimentare al +3,8% contro il 5,8% di gennaio, aprono prospettive migliori anche sul fronte dei consumi. Un segnale importante è anche il ritorno della leva promozionale che sta aumentando in termini di incidenza sulle vendite grocery della grande distribuzione.
Tornando alla fotografia di fine anno, i maggiori rincari, basandosi ancora sulle risposte degli intervistati, si sono verificati nei reparti ortofrutta e oli di oliva, seguiti da formaggi, pesce fresco, pasta e carni rosse. Se pressoché tutte le famiglie italiane riconoscono nel largo consumo il settore maggiormente soggetto agli aumenti di prezzo, di contro, poche di loro si sono dichiarate disposte a fare rinunce nei prossimi mesi su questa voce di spesa. Tra le strategie per cercare di limitare l’impatto sullo scontrino finale, le più adottate sono state la razionalizzazione della spesa, mediante tagli al superfluo e massimizzazione del rapporto qualità/prezzo, e la preferenza accordata agli ipermercati per usufruire di promozioni, mentre relativamente meno utilizzate sono state le strategie di down grading qualitativo del carrello o di diminuzione della frequenza/quantità degli acquisti.
Al netto della variabile prezzo, la provenienza della materia prima è l’aspetto a cui si presta maggiore attenzione: indicato da quasi il 40% degli intervistati supera anche il fattore gusto, che a sua volta stacca la marca e le certificazioni di qualità e sostenibilità. Relativamente alle diverse merceologie, frutta, verdura, pasta, olio extra vergine di oliva sono i prodotti il cui consumo risulta meno comprimibile pur in presenza di rincari avvertiti come elevati. Il consumatore non è disposto a rinunciare neanche alle carni bianche, al latte e alle uova, mentre le altre proteine animali (con battute di cassa che possono essere più importanti) come formaggi, pesce, carne rossa e salumi, oltre al vino, sono state invece indicate come categorie più sacrificabili.
Fonte: ISMEA-NielsenIQ: largo consumo settore più colpito dall'aumento dei prezzi, ma a febbraio primi segnali di stop al caro-carrello https://www.ismeamercati.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/13009