Com’è cambiata l’alimentazione degli Italiani
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I dati dell’indagine ISTAT sulle Spese delle famiglie italiane nel 2022 suggeriscono che è aumentata la spesa per consumi, ma non in termini reali. In effetti, nel 2022, le famiglie hanno speso in media 2.625 euro al mese, di più dei 2.415 euro spesi nel 2021, ma per colpa dell’inflazione (+8,7%) questo incremento di spesa non corrisponde a un maggiore livello di consumo per le famiglie. In altre parole, si è speso di più perché i prezzi sono aumentati ma non si è acquistato di più.
Per far fronte al forte aumento dei prezzi che ha caratterizzato il 2022, le famiglie hanno messo in campo varie strategie di risparmio. In molti casi, hanno modificato le proprie scelte di acquisto, soprattutto nel comparto alimentare. Fra le famiglie intervistate nel corso dell’indagine, quasi una su tre ha dichiarato di aver provato a limitare, rispetto a un anno prima, la quantità o la qualità del cibo acquistato. E in effetti questi comportamenti trovano conferma anche nei dati Istat sul commercio al dettaglio: in media, nel 2022, la vendita di beni alimentari è aumentata in valore (+4,6%), soprattutto nei discount, ma è diminuita in volume (-4,3%).
A fronte dell’aumento dei prezzi di alimentari e bevande analcoliche, nel 2022 le famiglie per l’acquisto di questi prodotti hanno speso il 3,3% in più rispetto all’anno precedente. Nello specifico, hanno destinato il 21,5% della spesa alimentare alla carne, il 15,7% a cereali e a prodotti a base di cereali, il 12,7% a ortaggi, tuberi e legumi, il 12,0% a latte, altri prodotti lattiero-caseari e uova, l’8,5% alla frutta e il 7,9% a pesce e frutti di mare.
Componente condizionante non poco la spesa è quindi la disponibilità di risorse economiche.
I dati Banca Italia sulla ricchezza delle famiglie riportano che
- il cinque per cento delle famiglie italiane più ricche possiede circa il 46 per cento della ricchezza netta totale;
- i principali indici di disuguaglianza sono rimasti sostanzialmente stabili tra il 2017 e il 2022, dopo essere aumentati tra il 2010 e il 2016;
- la composizione del portafoglio è molto eterogenea tra famiglie: in Italia quelle meno abbienti detengono principalmente abitazioni e depositi mentre quelle più ricche diversificano maggiormente, detenendo anche quote significative di azioni, partecipazioni e attività reali destinate alla produzione e di altri strumenti finanziari complessi.
Per comprendere come sono cambiati i comportamenti alimentari degli italiani a seguito degli eventi degli ultimi anni (epidemie, guerre, etc,) si può far riferimento al Primo rapporto sulle abitudini alimentari degli Italiani redatto da Censis-Coldiretti che ha sintetizzato le abitudini alimentari degli italiani definendole “soggettive, eterogenee, mutevoli, tendenzialmente più equosociali ed ecoresponsabili”. A prevalere è un politeismo fatto di combinazioni soggettive di luoghi di acquisto dei prodotti e relative diete alimentari; così il rapporto con il cibo è una dimensione sempre più soggettiva, espressione dell’io che decide e che, a partire dalle proprie preferenze, abitudini, prassi e aspettative, nonché dalle risorse di cui dispone, definisce il contenuto del carrello e della tavola. Così, ad esempio:
- tra le persone che dichiarano di acquistare regolarmente prodotti Dop, Igp, comportamento che denota grande attenzione alla qualità, una quota non lontana da un terzo acquista regolarmente anche cibi precotti, addirittura ben più di due terzi acquista regolarmente scatolame, e oltre tre quarti surgelati;
- tra coloro che acquistano regolarmente prodotti dell’agricoltura biologica, circa tre quarti acquista anche surgelati, circa due terzi anche scatolame, e una percentuale simile prodotti con marchio del distributore;
- tra gli acquirenti regolari di prodotti del commercio equo e solidale una nettissima maggioranza acquista i prodotti a marchio commerciale del distributore, espressione della nuova forza della Gdo (grande distribuzione organizzata), oltre tre quarti acquista prodotti surgelati ed oltre due terzi scatolame.
Addirittura si reca presso i fast-food, il 27% di acquirenti abituali di prodotti del commercio equo e solidale, il 26,7% degli acquirenti abituali di frutta e verdura da agricoltura biologica, il 22,6% degli acquirenti di prodotti Dop e Igp, ed il 21,6% di coloro che acquistano direttamente dal produttore.
Sono questi esempi eclatanti di un politeismo alimentare che spinge le persone a mangiare di tutto, senza tabù, generando combinazioni soggettive di alimenti e anche di luoghi ove acquistarli, neutralizzando ogni ortodossia alimentare.
Fissata questa soggettività estrema delle dinamiche, che rende possibile agli stessi individui e alle stesse famiglie fare convivere comportamenti e tendenze di acquisto e consumo molto diversificate, ci sono però alcune tendenze specifiche che vanno focalizzate: in primo luogo, la qualità sostenibile, che significa riuscire ad avere una dieta che risponde ai propri gusti, è di qualità adeguata, garantisce sicurezza e sia anche conveniente; è una specie di quadratura del cerchio che riesce solo grazie alla capacità dei consumatori italiani di pizzicare nella struttura di offerta le opportunità migliori, di recuperare, tenuto conto dei vincoli di tempo e soldi, i beni desiderati al miglior prezzo possibile.
Poi la logica da consumatore responsabile, attento non solo al contenuto degli alimenti ma a come sono prodotti, all’impatto che la loro produzione e distribuzione ha sulla vita delle persone, sui legami sociali e sull’ambiente; non a caso è alta anche l’attenzione al rapporto tra il cibo e il proprio territorio, vissuto come un contesto ben conosciuto e rassicurante, che risponde sia ad un’inedita dimensione identitaria, che alle paure globali indotte dagli effetti dell’industrializzazione spinta e incontrollata dell’agroalimentare.
Intervistati per esprimere il proprio rapporto con il cibo, quasi il 37% degli intervistati ha risposto Vorrei mangiare più sano ma non ci riesco; la quota sale al 40,5% tra i 30-44enni, ad oltre il 40% tra le donne, ad oltre il 43% tra le casalinghe. Quasi il 33% degli italiani dichiara di seguire una dieta sana perché l’alimentazione è tra i fattori importanti per la salute, e sono soprattutto gli anziani (40,3%) e i laureati (37,6%) a praticare questa tendenza salutista.
Con la crisi, il consumatore italiano è divenuto più virtuoso, più attento ai consumi e a tagliare gli sprechi, propenso ad acquisti diretti dal produttore, inclusi i Mercati del contadino percepiti come una soluzione capace di rispondere ad alcune esigenze forti, come il prezzo conveniente, la genuinità e la sicurezza del prodotto. A questo proposito, va tenuto presente che circa un quarto degli italiani che dichiara di non mangiare abbastanza frutta fresca ne mangerebbe di più se costasse un po’ meno, e circa un quinto farebbe la stessa cosa con la verdura e gli ortaggi (lo stesso vale per carne e pesce). Sotto la spinta salutista, una quota rilevante di persone mangia più verdura e frutta, meno carne, insaccati e soprattutto pesce; questa spinta viene tuttavia meno perché sta diventando irresistibile la tendenza, che neppure la crisi ha rallentato, a mangiare fuori casa, motivata, oltre che dalle ragioni classiche di lavoro e/o convivialità, da una sorta di nuova trasgressione, perché mangiare al ristorante, rispetto al mangiare in casa, è un’occasione per mangiare soprattutto quel che piace, un’ opportunità di trasgressione rispetto ai precetti dell’alimentazione salutista.
Per quanto riguarda quello che gli italiani portano in tavola a pranzo e a cena,
- a pranzo, la frutta, il pane e la verdura sono presenti 5 volte su sette giorni la settimana, la pasta 4,6 volte su sette, la carne 3 volte su sette, il dolce due volte a settimana, come il riso e il pesce; tra le bevande, il vino è presente in poco meno di 3 pranzi settimanali, le bevande gassate meno di 2 volte, la birra poco più di una volta a settimana.
- a cena, gli italiani dichiarano di mettere in tavola la verdura, la frutta e il pane cinque volte a settimana, la carne 2,8 a settimana, la pasta 2,5, il pesce e il dolce meno di due volte a settimana come il riso (1,6 volte). Vino, bevande gassate e birra sono presenti con la stessa intensità che a pranzo.
La sola differenza tra pranzo e cena che spicca in modo evidente riguarda la pasta, molto più presente sulle tavole degli italiani a pranzo.
I giorni feriali a pranzo oltre 3 volte su 5 gli italiani mangiano pasta, quasi 4 volte su 5 pane, la verdura è nei piatti 3,6 volte su 5, la carne 2 volte su cinque, la frutta quasi 4 volte su 5, il pesce 1 volta su 5.
A cena, invece, verdura e pane sono nei piatti 3,6 volte su 5, la pasta meno di 2 volte su cinque, così la carne, mentre il pesce è 1,4 volte su 5.
Nei fine settimana, in fondo, la dieta non si modifica in modo sostanziale, anche se si registra ancora una maggiore presenza di carne (1 volta su 2 a pranzo e quasi 1 su 2 a cena), del dolce e del vino.
Sono individuabili i “folli” dei vari alimenti, coloro che dichiarano di mangiarli sempre a pranzo e/o a cena; sono circa 2,1 milioni gli italiani che dichiarano di mangiare sempre, a pranzo e a cena sette giorni su sette, dal lunedì alla domenica, pasta; sono oltre 17 milioni i “folli” per il pane, 14,7 milioni quelli che mangiano sempre verdura, 20,3 milioni gli italiani che mangiano sempre frutta fresca, 500 mila carne e 820 mila il dolce
Ci sono poi gli italiani che non mettono mai in tavola certi alimenti, così come alcuni che tendono a non prenderli in considerazione per il pranzo, oppure per la cena. Attualmente 430 mila italiani dichiarano di non mangiare mai, né a pranzo né a cena, né durante i feriali né tantomeno nei week end, pasta; 930 mila non mangia mai pane, quasi 1,8 milioni non ha rapporti con il riso, quasi 1,2 milioni non mangia mai carne, oltre 3,1 milioni dichiara di non mettere mai in tavola pesce, 370 mila non mangiano mai verdura e, infine, oltre 1 milione non mangia mai frutta.
Il dolce non è mai presente nel piatto di 6,7 milioni di italiani: riguardo alle bevande, 13,5 milioni non beve mai a pranzo o a cena vino, 19,2 milioni non beve birra e 19,3 milioni non beve mai bevande gassate.
Oltre al pranzo e alla cena, si è progressivamente affermato almeno un altro momento rituale di rapporto con il cibo, lo spuntino che, di solito avviene, nel corso della mattina e/o del pomeriggio. Attualmente lo spuntino due volte al giorno lo fa sempre il 12% circa degli italiani ed il 40,3% a volte. Il 19% fa sempre lo spuntino a metà mattina (43,3% a volte), il 18,2% sempre a metà pomeriggio (il 45,6% a volte). A fare lo spuntino sono soprattutto le donne, i più giovani, single, i residenti al Sud-isole. Frutta, yogurt, cracker e, al mattino, anche cornetto, brioche e merendine, sono gli alimenti che più compongono gli spuntini.
Criteri prioritari per orientare la spesa alimentare delle famiglie italiane sono ritenuti: rapidità e facilità di utilizzo, durata del prodotto e garanzia di sicurezza, oltre ovviamente alla convenienza dei prezzi.
Ulteriori dati e approfondimenti possono essere rilevati nel Rapporto Censis-Coldiretti citato.