Tartufo – Tuber
Un tartufo è il corpo fruttifero di un fungo Ascomycota sotterraneo. La maggior parte dei tartufi appartiene al genere Tuber, ma esistono anche altri generi di funghi appartenenti a questa categoria fra cui Geopora, Peziza, Choiromyces, Leucangium e oltre un centinaio di altri.
I tartufi appartengono alla classe Pezizomycetes e, tolte alcune eccezioni, all’ordine Pezizales. I tartufi sono funghi micorrizici, e crescono pertanto vicini alle radici degli alberi. La dispersione delle spore dei tartufi avviene grazie ai micofagi, animali che si nutrono di funghi. Sotto la denominazione di tartufo vengono ricomprese comunemente anche le terfezie, genere della famiglia Terfeziaceae, detti anche tartufi del deserto; sono endemici di aree desertiche e semi-desertiche dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, dove sono molto apprezzati.
Talune specie di tartufo costituiscono un’essenza alimentare estremamente pregiata, ricercata e costosa; altre specie sono invece considerate di poco pregio o, talvolta, perfino lievemente tossiche. In ogni caso i tartufi emanano un tipico profumo penetrante e persistente che si sviluppa solo a maturazione avvenuta e che ha lo scopo di attirare gli animali selvatici (maiale, cinghiale, tasso, ghiro, volpe), nonostante la copertura di terra, per spargere le spore contenute e perpetuare la specie. Tali frutti ipogei vengono individuati con l’aiuto di cani, o maiali, e raccolti a mano.
La scienza che studia i tartufi si chiama idnologia e deriva dal greco ὕδνον, hýdnon.
Caratteristiche botaniche del tartufo
I tartufi sono vegetali inferiori definiti eterotrofi perché non sono in grado di espletare la fotosintesi clorofilliana; infatti, ricavano l’energia necessaria per il proprio sviluppo nutrendosi di materiale organico già formato dalle piante superiori, a cui per questo si legano in simbiosi. Perciò i tartufi sono definiti anche simbionti.
Botanicamente i tartufi sono funghi ipogei (non tuberi come spesso erroneamente sono chiamati), che crescono cioè sotto terra, ed appartengono alla classe degli Ascomiceti, che sono un gruppo molto eterogeneo di funghi con la caratteristica comune di presentare le spore in un sacco (asco). I funghi sono costituiti da una parte vegetativa (micelio) e da una parte riproduttiva (il carpoforo), che è il prodotto che viene raccolto e consumato, mentre il micelio è composto da cellule allungate dette ife, della dimensione di alcuni micron, che si sviluppano nel terreno, oppure nei legni marcescenti, fra le foglie morte o su altri substrati. Le ife si intrecciano, si addensano e si diramano apparendo a volte come una muffa o una rete biancastra di filamenti.
Quando le condizioni ambientali sono favorevoli, è il micelio che fruttifica formando il carpoforo o corpo fruttifero, quello che definiamo tartufo. Il carpoforo reca in sé delle spore, che rappresentano i “semi” del fungo, e che maturano sul carpoforo per essere rilasciate nell’ambiente per la riproduzione. Ogni fungo le produce a milioni, e sono di dimensioni microscopiche (millesimi di millimetro). La probabilità delle spore di germinare per formare un nuovo micelio fungino è assai bassa in confronto al numero sterminato di spore prodotte.
Pertanto, il tartufo è un corpo fruttifero di funghi appartenenti al genere Tuber, famiglia delle Tuberaceae, che compie il proprio intero ciclo vitale sotto terra (ipogeo). Deve obbligatoriamente vivere in simbiosi con piante arboree per produrre il prezioso sporocarpo. è formato da un rivestimento esterno chiamato perìdio, il quale può essere liscio o sculturato e di colore variabile dal chiaro allo scuro. La struttura vegetativa dei tartufi, il loro micelio, vive anch’essa nel terreno legandosi, in simbiosi detta “micorrizica”, con le radici di una pianta arborea.
La massa interna, detta gleba, di colore variabile dal bianco al nero, dal rosa al marrone è percorsa da venature più o meno ampie e ramificate che delimitano degli alveoli in cui sono immerse delle grosse cellule (gli aschi) contenenti le spore. Le caratteristiche morfologiche del peridio, della gleba, degli aschi e delle spore, sommati alla dimensione ed alle caratteristiche organolettiche permettono l’identificazione delle specie di tartufo.
I tuberi presentano una tipica e riconoscibile forma tondeggiante, apparendo – in genere – grossi quanto un’albicocca. Il tartufo ama terreni calcarei ed argillosi.
Etimologia e storia del tartufo
Il tartufo è conosciuto da tempi antichissimi, tant’è che ne esistono testimonianze fin dal tempo dei Sumeri.
L’etimologia della parola tartufo è stata per molto tempo dibattuta dai linguisti; sembra derivi dal latino terrae tufer, escrescenza della terra, dove tufer sarebbe usato al posto di tuber, ed è comunque certo che la sua antichissima presenza è legata soprattutto alla cultura dei popoli mediterranei. Le prime notizie certe compaiono nella “Naturalis Historia” dell’erudito latino Plinio il Vecchio (79 d.C.), dove il tuber era molto apprezzato sulla tavola dei romani i quali molto probabilmente lo avevano conosciuto dagli etruschi. Sempre nel primo secolo d.C. il filosofo greco Plutarco di Cheronea (46 d.C.), estese la teoria degli elementi primari sulle origini del tartufo mentre si consolidò l’idea che il tuber fosse originato dall’azione combinata di acqua, fuoco e fulmini scagliati da Zeus; da qui trasse ispirazione il poeta Giovenale (55-127 d.C.) per asserire che l’origine del prezioso fungo, a quell’epoca chiamato “tuber terrae”, si doveva ad un fulmine scagliato da Giove in prossimità di una quercia (albero ritenuto sacro al padre degli dèi). Poiché Giove era anche famoso per la sua prodigiosa attività sessuale, al tartufo da sempre si sono attribuite qualità afrodisiache. Scriveva il medico Galeno: “il tartufo è molto nutriente e può disporre della voluttà”. Non a caso il tartufo era dedicato ad Afrodite, dea dell’amore.
Il Rinascimento ha rapprmesentato l’epoca del trionfo del tartufo che ignorato dalla tradizione popolare dominava le mense aristocratiche. Caterina dei Medici (1519-1589), fece apprezzare alla corte di Francia il tartufo bianco proveniente dal castello Mediceo di Cafaggiolo (Barberino di Mugello, Firenze), dove hanno vissuto Lorenzo il Magnifico e Cosimo I.
In tempi recenti lo storico Giordano Berti (1959) ha ipotizzato che il termine tartufo derivi da terra tufule tubera titolo di presentazione di un’illustrazione della raccolta del tartufo contenuta in un “Tacuinum sanitatis” della biblioteca casanatese presso il convento di Santa Maria sopra Minerva a Roma, dove un paggio raccoglie tartufi neri in un cesto. Le poche righe descrittive parlano di “terra tufulae” dove il termine tufule diffusosi nella dizione volgare in Italia emigrando in altri paesi d’Europa si era contratto in truffé in Francia, truffel in Germania, truffle in Inghilterra. Attualmente nello stesso castello di Cafaggiolo, in autunno, sono organizzate aste internazionali di tartufo bianco toscano. Per lungo tempo i naturalisti sono stati in disaccordo sulla classificazione del tartufo. Qualcuno lo definiva una pianta, altri un’escrescenza del terreno. Verso la metà del 1500 gli studi scientifici sul tartufo si intensificano. Alfonso Ciccarello nel 1536 con l’”Opusculum de Tuberibus” classifica il tartufo come di uno speciale tipo di fungo. Nel 1778 Pier Antonio Micheli distingue due tipi di Tuber: il Tuber melanosporum e il Tuber aestivum. Nel 1778 il medico torinese Pico attribuisce al tartufo bianco il nome di Tuber magnatum. Nel 1831 Carlo Vittadini pubblica la sua “Monographia tuberacearum“, il cui oggetto di studio sono i funghi ipogei e in cui sono documentati i primi tentativi di attuare la coltura artificiale di micromiceti su substrati diversi. Nel 1909 fu scoperta da Oreste Mattirolo, senatore del regno, la simbiosi tra quercia e tartufo. Ma la simbiosi si stabilisce anche tra uomo e cercatore di tartufi. Forse pochi sanno che il migliore cercatore di tartufi è il maialino, animale con olfatto sensibilissimo, ottimo per la caccia al tartufo se non ne fosse molto goloso per cui è difficile impedire all’animale di inghiottirlo; nel tempo è stato infatti soppiantato dal cane selezionato pazientemente dall’uomo tra le tante razze e che ha prodotto ottimi risultati per la ricerca dei tartufi anche su terreni difficili.
Caratteristiche peculiari
Il colore, il profumo ed il sapore del tartufo dipendono sia dal terreno in cui il fungo cresce, sia dal tipo di albero presso il quale si sviluppa. Per riportare un esempio, i tartufi che vivono in simbiosi con le radici di tiglio, avranno un colore chiaro ed un sapore aromatico, a differenza di quelli adesi alla quercia, con profumo marcato, pregnante e penetrante.
La forma del tartufo è notevolmente influenzata dalle caratteristiche del terreno: in quelli compatti, il fungo tende ad assumere una conformazione globulosa e nodosa per le difficoltà a svilupparsi, mentre in terre soffici, il tartufo risulta più liscio, omogeneo e tondeggiante.
La raccolta dei tartufi, che può avvenire in qualsiasi periodo dell’anno (ad eccezione di fine aprile), viene effettuata con cani adeguatamente addestrati.
Varietà di tartufo
Esistono molte varietà di tartufo, ma tra i più noti spiccano quello bianco e quello nero.
Il tartufo bianco è sicuramente il più prezioso, sia in termini gastronomici che economici: il valore del tartufo bianco, infatti, è spesso elevatissimo. In dialetto piemontese, il tartufo bianco è meglio conosciuto come trifola, mentre nel Veneto si parla di tartufola; il tartufo bianco di maggio pregio sembra essere il tartufo di Alba. Il pregio della varietà bianca di tartufi è tale da essere esplicitato persino nel nome botanico: nella nomenclatura scientifica, il tartufo bianco è Tuber magnatum, ove “magnatum” significa magnate, ricco. Il tartufo bianco presenta un caratteristico aspetto marmorizzato ed emana un odore intenso ed acre.
Il Tuber melanosporum (da “melanos”, spora nera) incarna la varietà nera di tartufi, per alcuni persino migliore di quella bianca: in questa categoria di tartufi, il più pregiato in assoluto è quello da Norcia. La polpa (gleba) è nera, talvolta tendente al rossiccio, e presenta striature biancastre e fitte. L’odore risulta piuttosto gradevole e non eccessivamente pungente.
Proprietà del tartufo
Dicono del tartufo che le sostanze profumate ed intense emanate possano provocare un particolare stato di benessere e di attrazione verso il sesso opposto: in altre parole, il tartufo avrebbe proprietà afrodisiache, ma questa virtù dev’essere ancora accertata.
Il tartufo non è calorico: 100 grammi apportano solo 31 Kcal. Sono però ricchi di fibre e sali minerali sapientemente assorbiti dal terreno. A tal proposito, il tartufo è un ottimo rimedio naturale in caso di demineralizzazione.
Quando associato ad altri alimenti, quindi utilizzato come una sorta di spezia aromatica, il tartufo facilita la digestione; viceversa, quando il suo consumo diviene abituale, il tartufo può incarnare un potenziale pericolo per il fegato e per lo stomaco. Non a caso, è sconsigliato ai pazienti affetti da epatopatie e renella.
Alla luce di recenti studi, sono emerse altre peculiarità interessanti: il tartufo, interagendo con la melanina, è in grado di schiarire la pelle. A tal proposito, il consumo di tartufi è sconsigliato in caso di abbronzature, mentre è utile nel trattamento di macchie cutanee determinate da accumulo di pigmento melanico.
Come conoscere il tartufo
Per distinguere le varie specie di tartufo basta osservare il peridio, ovvero la superficie esterna. Ad esempio, il Tuber magnatum o tartufo bianco pregiato, o il Tuber albidum, il cosiddetto tartufo bianchetto o marzuolo, che presentano un peridio liscio e chiaro, mentre il Tuber melanosporum o tartufo nero pregiato, il Tuber aestivum, tartufo d’estate o scorzone, il Tuber brumale, tartufo nero d’inverno o trifola nera, il Tuber mesentericum, tartufo nero ordinario ed il Tuber macrosporum o tartufo nero liscio hanno un peridio nero e verrucoso. Le verruche possono essere più o meno pronunciate; ad esempio nel Tuber aestivum sono molto evidenti e possono raggiungere alcuni millimetri di altezza, e per questo lo si chiama anche scorzone; oppure possono essere poco sviluppate rendendo però la superficie ruvida, come ad esempio nel Tuber macrosporum, dove sono visibili solo con l’aiuto di una lente.
Anche la polpa interna o gleba differisce a seconda della specie. Può presentarsi di colore chiaro, dal giallo al nocciola, come nel Tuber aestivum e nel Tuber magnatum, oppure più scuro: nocciola scuro, bruno, bruno-rossiccio, o anche nero. In genere, la gleba degli esemplari giovani e ancora immaturi si presenta molto chiara e solo a maturità, quando le spore sono mature ed il tartufo comincia a odorare, si evidenzia il colore tipico della specie. La gleba risulta solcata da numerose venature, più o meno sottili a seconda della specie, che le conferiscono un aspetto tipicamente marezzato dovuto all’alternanza di zone sterili e zone fertili, provviste di spore, come si può constatare al taglio.
Le zone più scure sono quelle che portano le spore, contenute nell’asco. Le spore, oltre a svolgere la fondamentale funzione riproduttiva, sono importanti anche per riconoscere la specie di tartufo, perché presentano delle ornamentazioni tipiche diverse da specie a specie. In caso di dubbio è sempre possibile con un’analisi microscopica delle spore accertare la specie con precisione.
Tutti i tartufi, quando sono maturi, presentano un odore molto spiccato, caratteristico e distinto da specie a specie. Un tartufaio esperto è spesso in grado di distinguere le varie specie anche a partire dall’odore che emanano. E’ grazie al loro aroma che molti animali selvatici, come talpe, topi, lumache e cinghiali, come naturalmente anche i cani da tartufo, riescono ad individuarli nel terreno.
Il principe dei tartufi
Il Tuber magnatum è una specie di tartufo tipicamente italiano di grande pregio gastronomico. Mentre altre specie di tartufo possono essere coltivate, il tartufo bianco si trova solo allo stato spontaneo. Questa caratteristica, oltre al calo delle superfici boscate rendono questa risorsa anche più preziosa.
Di seguito le specie la cui raccolta[1] è consentita in Italia.
- Tartufo bianco pregiato, Tuber magnatum Pico
- Tartufo nero pregiato, Tuber melanosporum Vittad.
- Tartufo moscato, Tuber brumale moschatum De Ferry
- Tartufo nero estivo o Scorzone, Tuber aestivum
- Tartufo uncinato, Tuber uncinatum Chatin
- Tartufo nero invernale, Tuber brumale
- Tartufo bianchetto o Marzolino, Tuber borchii = Tuber albidum Pico
- Tartufo nero liscio, Tuber macrosporum
- Tartufo nero ordinario o tartufo di Bagnoli, Tuber mesentericum
- Tuber excavatum
- Tuber puberulum & Broome
- Tuber oligospermum
- Tartufo rossetto, Tuber rufum Pico
Esistono poi altre specie, lievemente tossiche e di odore nauseabondo o oppure troppo coriacee, e che quindi non si prestano alla raccolta. Non esistono specie molto tossiche o velenose.
Il 16 dicembre 2021 la cerca e cavatura del tartufo in Italia è entrata ufficialmente nella lista dei patrimoni orali e immateriali dell’umanità custoditi dall’UNESCO.
Il tartufo in cucina
Raramente viene commercializzato intero e fresco, a causa del costo elevato, della difficoltà di trasporto e conservazione e della caratteristica attitudine del tartufo a essere trasformato in modo creativo. È sufficiente infatti una ridottissima quantità di tartufo per insaporire un piatto o una salsa e l’enorme valore aggiunto della lavorazione stimola il proliferare di piccole imprese di trasformazione.
Vengono preparati normalmente vasetti con tartufi interi di piccole dimensioni e anche altri prodotti a base di tale fungo: carpaccio (ovvero a fettine molto sottili), salse pronte comprendenti in genere una base di funghi, che si prestano all’uso su crostini, frittate, bruschette, pasta di grano duro, pasta fresca o di soia, bistecche di filetto. Altre preparazioni comuni sono la grappa e l’amaro al tartufo.
Gli oli d’oliva aromatizzati al tartufo sono molto richiesti, ma a causa di difficoltà insite nel processo di produzione, la maggior parte di essi vengono preparati con aroma di sintesi a base di bis-metiltiometano. Tale aroma viene spesso aggiunto anche a salse con polpa di tartufo. Per evitare di acquistare prodotti sintetici occorre osservare se sull’etichetta appare la dicitura “aroma” che significa, in pratica, a base di bis-metiltiometano. Quando il prodotto è naturale in genere non appare alcuna specifica oppure è specificato come “aroma naturale”. Alcune preparazioni particolari si stanno affermando grazie all’inventiva dei produttori, come le peschette al tartufo d’Abruzzo, preparati con pesche verdi nane, olio ed aceto.
Il tartufo bianco e il tartufo pur essendo molto simili tra loro, hanno impiego in cucina completamente diverso e, in ogni caso, presentano varie caratteristiche differenti. Innanzitutto, il tartufo nero non è il parente povero del bianco; inoltre il tartufo bianco è molto più profumato, mentre quello nero lo è di meno ed esprime la sua essenza più nel sapore; il tartufo nero è più compatto rispetto al bianco che è molto più morbido. Un’altra differenza enorme sta nella resistenza alla cottura: il tartufo nero, essendo più compatto e meno delicato, può essere cotto senza perdere le sue qualità.
I tartufi vengono spesso grattugiati freschi sui piatti prima di essere serviti. Sono utilizzati per arricchire il sapore di piatti come pasta, risotto, uova (soprattutto al tegamino), carne e formaggi. In genere, il tartufo bianco viene usato in genere per piatti delicati come risotti, pasta fresca all’uovo, uova, carne cruda e fonduta, mentre quello nero ha la funzione di una guarnizione, di accompagnare gli ingredienti nel piatto. Il tartufo nero è più adatto a piatti dal gusto deciso, come il fagiano in umido o i paté di selvaggina o il civet (una salsa che si usa per condire piatti di selvaggina).
L’olio di tartufo, ottenuto per infusione di tartufi, è anche un ingrediente popolare in cucina.
Tra le ricette con tartufo più note:
- Primi piatti con tartufi:
- Risotto al tartufo;
- Risotto al castelmagno Dop e tartufo nero;
- Risotto al Taleggio Dop e tartufo bianco;
- Bigoli con salsiccia e tartufo cotti nel lambrusco;
- Ravioli di broccolo con ricotta di pecora e tartufo;
- Crema di Asiago Stravecchio con zucca e tartufo nero;
- Tagliatelle di zucca con burro al tartufo bianco d’Alba
- Secondi piatti con tartufo:
- Filettini di vitello con salsa di tartufo bianco e montasio Dop stagionato;
- Filetto di platessa al forno in crosta di nocciole, champignon al vapore e scaglie di tartufo;
- Millefoglie di platessa mantecata con tartufo, tempura di asparagi e alghe fresche;
- Antipasti con tartufo:
- Crostini di pan tramvai con foie gras e tartufo;
- Ciambellina di gateau con semifreddo di camembert di capra e tartufo;
- Cestino di Grana Padano DOP con Bismarck profumata al tartufo
Conservazione del tartufo
La conservazione del tartufo non è cosa facile; anche perché, con il passare del tempo, i tartufi perdono velocemente la loro freschezza, il profumo e il sapore che tende alla muffa. Addirittura, i tartufi perdono peso, arrivando a dimezzarsi quasi e diventando molto più molli.
Si dice che il tartufo debba stare in un luogo asciutto, perché deve essere protetto dall’umidità. Perciò, molti conservano i tartufi in barattolini pieni di riso; altri semplicemente con della carta assorbente che viene cambiata quotidianamente. Ma ce ne sono altri che sostengono esattamente il contrario – perché il tartufo viene, in effetti, da un luogo umido – e tengono il prezioso tubero avvolto in dei panni inumiditi che, però facciamo respirare il tartufo avvolto lì dentro.
Esistono però anche prodotti a base di tartufo come oli, salse e condimenti che consentono di apprezzare il loro sapore anche al di fuori della stagione di raccolta.
Come pulire il tartufo
Il tartufo va pulito, di regola, subito prima dell’utilizzo, per mantenere al meglio intatta tutta la sua fragranza. Per pulire il tartufo, bisogna spazzolarlo con un pennellino apposito per eliminare la terra che gli sarà rimasta attaccata. Dopodiché, il tartufo andrà passato velocemente sotto l’acqua corrente e poi asciugato molto bene con un panno.
Valore economico: I tartufi sono spesso considerati l’oro nero della cucina e possono avere un alto valore economico, specialmente il tartufo bianco pregiato.
[1] La legge statale 16 dicembre 1985, n. 752, “Normativa quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo” (g.u. 21 dicembre 1985, n. 300) ha dato mandato alle Regioni di regolare la raccolta sul proprio territorio, stabilendo alcune regole comuni:
- è vietato commercializzare tartufi immaturi o non appartenenti alle 9 specie elencate di seguito;
- la raccolta dei tartufi è libera nei boschi e nei terreni non coltivati, compresi i pascoli;
- la raccolta nelle tartufaie “coltivate” ed in quelle “controllate” compete ai titolari della loro conduzione, se debitamente autorizzate, delimitate e segnalate;
- la raccolta tramite zappatura, sarchiatura e aratura è severamente punita in quanto uccide il fungo;
- è vietato l’utilizzo del maiale per la ricerca del tartufo, a causa dei danni ambientali provocati da questo animale nella ricerca.