Breve storia della cucina tradizionale giapponese
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La cucina tradizionale giapponese è ricca di storia e tradizione tant’è che nel 2013 l’UNESCO ha inserito il «Washoku, la tradizione culinaria giapponese» nell’elenco dei patrimoni culturali immateriali dell’umanità con le seguenti motivazioni:
Il Washoku è una pratica sociale basata su un insieme di abilità, conoscenze, pratiche e tradizioni legate alla produzione, lavorazione, preparazione e consumo del cibo. È associato a uno spirito essenziale di rispetto per la natura che è strettamente correlato all’uso sostenibile delle risorse naturali. Le conoscenze di base e le caratteristiche sociali e culturali associate al Washoku si vedono tipicamente durante le celebrazioni di Capodanno. I giapponesi fanno vari preparativi per accogliere le divinità dell’anno entrante, pestando torte di riso e preparando pasti speciali e piatti splendidamente decorati utilizzando ingredienti freschi, ognuno dei quali ha un significato simbolico. Questi piatti vengono serviti su stoviglie speciali e condivisi dai membri della famiglia o collettivamente tra le comunità. La pratica favorisce il consumo di vari ingredienti naturali di provenienza locale come riso, pesce, verdure e piante selvatiche commestibili. Le conoscenze e le abilità di base legate al Washoku, come il corretto condimento della cucina casalinga, vengono tramandate in casa durante i pasti condivisi. Anche i gruppi di base, gli insegnanti e gli istruttori di cucina svolgono un ruolo nella trasmissione delle conoscenze e delle competenze attraverso l’istruzione formale e non formale o attraverso la pratica.
È stato così ufficialmente riconosciuto a livello internazionale il valore della cucina regionale giapponese tradizionale.
In lingua giapponese la parola “washoku” significa cibo del Giappone. È composta dagli ideogrammi wa (和) e shoku (食). Il primo è l’antico carattere per indicare il Giappone il secondo significa cibo. La parola giapponese per indicare cucina, inteso come l’atto di cucinare, è ryōri (料理).
La cucina giapponese ha avuto successo in tutto il mondo perché è buona e salutare, assieme agli Anime e all’elettronica, rappresenta all’estero uno degli aspetti del cosiddetto Cool Japan.
Tappe fondamentali della storia della cucina giapponese
Il Giappone è rimasto isolato per millenni dal continente; i primi scritti risalgono solo al 712 d.C.., il che significa che quanto accaduto antecedentemente deve essere dedotto in gran parte da reperti archeologici o dalla mitologia.
Periodo Jōmon (12.700 – 400 A.C. circa)
Una delle prime tecniche sviluppate dalle popolazioni giapponesi riguardano quella per la realizzazione della ceramica per avere recipienti idonei a conservare e cuocere i cibi. In effetti, il nome “Jomon”, da cui derivano sia il nome del periodo storico che quello delle popolazioni che abitavano l’arcipelago in quell’epoca, deriva dalla cordicella di creta (Jomon, appunto) che veniva attorcigliata intorno al vaso, come decorazione, prima della cottura. Si trattava per lo più ciotole di dimensioni ridotte con fondo sferico da 10–50 cm, usate per far bollire il cibo e le conserve. La diffusione del vasellame in terracotta permise l’utilizzo di cotture come la bollitura e più complesse forme di conservazione dei cibi con salamoia e fermentazione.
Le popolazioni Jomon erano più orientate verso la caccia e verso la raccolta di vegetali, più che alla loro coltivazione: il territorio era talmente ricco e fertile che non si avvertiva la necessità di coltivarlo. Non esistevano nemmeno grandi differenze sociali ed i contatti con il continente erano pochissimi, tanto che durante questo lunghissimo periodo la vita in Giappone rimase quasi invariata mentre, al contrario, nell’Asia continentale, avvenivano grandi cambiamenti ed evoluzioni.
Sempre al periodo Jomon è attribuito l’arrivo e la stabilizzazione sul territorio delle prime tribù “Ainu”, di cui si parla anche nella mitologia Giapponese. Al giorno d’oggi si trovano discendenti degli Ainu in alcuni gruppi etnici del nord del Giappone, conservatori della lingua Ainu, totalmente differente dal giapponese. Intorno al 660 a.C. viene datato l’inizio del regno di Jinmu Tenno, il primo mitologico Imperatore del Giappone, figlio di discendenti della Dea del Sole Amaterasu, al quale in seguito succedettero altri 13 imperatori discendenti, anch’essi mitologici e non storicamente documentati.
Le ingenti quantità di conchiglie marine ritrovate negli scavi archeologici testimoniano la forte presenza nella dieta di crostacei e frutti di mare di un popolo di cacciatori-raccoglitori con poche primitive forme di agricoltura e allevamento. All’epoca la vita degli abitanti del Giappone era caratterizzata dal nomadismo e dalla semi-sedentarietà, dovendo adattarsi alle necessità dei cacciatori e dei raccoglitori. Nonostante le tecnologie agricole non fossero state ancora sviluppate, vi era una progressiva cura e attenzione alla coltivazione di piante quali la zucca e il miglio. Ci sono prove che la soia fosse già presente e coltivata in Giappone durante il periodo Jomon: le variazioni delle dimensioni dei semi indicano, inoltre, una significativa selezione per mano dell’uomo già nel 5000 a.C., e in grandi quantità dal 3000 a.C.
Dopo il 5000 a.C., a causa del raffreddamento del clima, la popolazione si ridusse drasticamente. Dal 900 a.C., le popolazioni migranti dalla penisola coreana si stabilirono nel Kyūshū occidentale, portando con sé nuove tecniche e nuovi ingredienti, coesistendo per mille anni con le popolazioni già insediate.
Periodo Yayoi (400 A.C. – 300 D.C. circa)
Durante questo periodo, che prende il nome da una località presso Tokyo, i giapponesi fanno grandi passi avanti apprendendo la metallurgia (uso del bronzo e del ferro) e l’agricoltura intensiva; la dieta si arricchisce con orzo, miglio, grano saraceno e semi di soia; cambiano le tecniche di coltivazione; si fa uso di verdure e pesce crudi, si consuma alcol alle feste e appare il primo noto cuoco giapponese. L’arcipelago venne strettamente a contatto soprattutto con le popolazioni provenienti dalla Corea, che a sua volta era in contatto con le popolazioni cinesi. Da questi contatti, le numerose innovazioni appena citate,
Oltre alla metallurgia ed all’agricoltura, durante quest’ epoca, furono introdotte anche la lavorazione del bronzo, la sepoltura dei defunti in grandi urne, la lavorazione di collane con perle di vetro, l’immagazzinamento del riso, ecc.
Nell’arcipelago arrivarono nuove specie di piante e tuberi e nuove specie animali ed il cambiamento “yayoi” investì in breve tempo gran parte del Giappone: nella parte centro-meridionale il cambiamento fu pressoché totale, mentre a nord, grazie alle condizioni climatiche completamente differenti, l’influenza fu minore, ma lasciò comunque pochissimo spazio a quella che era la cultura primitiva “Jomon”.
Iniziano a comparire, in quest’epoca, le prime stratificazioni sociali, nonché le imponenti tombe a tumulo nelle quali venivano conservati, insieme a ricchi tesori, i resti di nobili ed imperatori.
I testi più antichi sul Giappone di questo periodo sono scritti in caratteri cinesi. Il nome Wa (倭) – la pronuncia giapponese di uno dei primi nomi dati dai cinesi al Giappone – appare per la prima volta nell’anno 57. Gli storici antichi cinesi descrivevano Wa come punteggiata da centinaia di comunità tribali, non la terra unificata descritta nel Nihongi dai giapponesi. Inoltre, nei loro scritti i cinesi segnalavano che gli abitanti di Wa vivevano principalmente di verdura cruda, riso e pesce serviti su vassoi di legno e di bambù (takatsuki), possedevano grandi granai e mercati, e mangiavano con le mani in quanto le bacchette non erano ancora presenti.
In un famoso scritto presente all’interno del Kojiki, del Takahashi Ujibumi e del Nihongi, appare il primo noto cuoco giapponese: l’imperatore Keikō nominò Iwakamutsukari no Mikoto cuoco della corte imperiale, dopo aver goduto di un piatto di palamita e vongole. Quest’ultimo è considerato oggi come l’ideatore del condimento nella cucina giapponese. A quel tempo, che precede la comparsa della salsa di soia, il condimento consisteva principalmente nel sale e nell’aceto.
La prima menzione del consumo di alcol in Giappone si trova nel libro Cronache dei Tre Regni, un testo risalente al III secolo, che descrive le persone nell’atto di bere e danzare. Probabilmente, il sakè venne introdotto in Giappone dalla Cina poco dopo il riso, diffondendosi da ovest a est partendo dal Kyushu e dal Kansai. L’inoculazione del fermento avvenne in maniera più primitiva: il primo metodo chiamato kuchikami (“masticato in bocca”), consisteva nel saccarificare i cereali cotti con la saliva, cosicché la produzione di sake era detta kamosu, termine derivato dal verbo kamu (masticare). Tuttavia, la conferma della prima produzione di sake non ci sarà prima dell’anno 712, all’interno del libro Kojiki.
Periodo Yamato (300 – 710 D.C. circa)
Il periodo Yamato parte dall’impero di Jimmu Tenno che, secondo la mitologia, secoli addietro aveva fondato il regno Yamato nell’isola di Honshu. Gli Yamato erano grandi guerrieri e le loro famiglie erano numerosissime (tra queste, la famiglia Fujiwara). Erano grandi osservatori dello Shinto, coltivando quindi la necessità di essere puri sia nell’anima che nel fisico. Grazie a loro nacquero i primi bagni giapponesi, nei quali si purificavano dopo aver “sporcato” il proprio corpo con azioni impure o dopo le sanguinose battaglie.
Dopo la morte, la casa dei defunti veniva incendiata e se a morire era un imperatore, la capitale del regno veniva spostata in un’altra città.
Le morti degli imperatori (e anche dei nobili) venivano inoltre consacrate con imponenti tombe a tumulo (chiamate Kofun) dove spesso, oltre a tesori e ricchezze, venivano sepolti anche i cortigiani dopo essere stati uccisi per devozione (nei secoli sostituiti da statue di argilla).
Questo periodo è teatro della prima imponente immigrazione coreana e cinese e dell’introduzione del Confucianesimo e del Buddhismo, religioni che instaurarono il primo divieto di consumo della carne. Gli ingredienti tradizionali come la salsa di soia provengono principalmente dagli scambi con le nazioni confinanti, i quali diventano sempre più comuni. Le informazioni sulle pratiche culinarie di quel tempo scarseggiano, tuttavia, le grandi ondate di immigrazione cinese (V secolo) e coreano (IV secolo) possono aver avuto un impatto rilevante.
In questo periodo i Giapponesi favevano riferimento alla Cina sia per le scienze e la tecnologia, che per la scrittura. Fu proprio dai cinesi, infatti, che l’antico Giappone, chiamato inizialmente Yamato, tramutò il suo nome in Nihon (Nippon), alla lettera “origine del sole“, ovvero “paese del sol levante“.
L’introduzione del Buddhismo in Giappone è attribuita al re coreano Seong di Paekje nel 538. Il clan Soga, una famiglia di corte che favorì l’ascesa al trono dell’imperatore Kinmei nel 531, scelse di adottare il modello culturale buddhista e confuciano, ma incontrò una forte opposizione dal clan Nakatomi – responsabile dei rituali Shinto di corte – e del clan Mononobe. Per oltre un secolo, imperversarono numerose guerre per la lotta contro il buddhismo. Tuttavia, l’impiego di 675 animali e il consumo di animali selvatici (cavallo, mucca, cane, scimmia e volatili) fu vietata dall’imperatore Tenmu per rispettare le regole del buddhismo. Il divieto fu rinnovato durante il periodo Asuka, ma finì nel periodo Heian.
In questo periodo il sake, composto da riso, acqua e il fungo koji (Aspergillus oryzae) diviene la bevanda alcolica predominante. La salsa di soia, originaria della Cina, viene preparata da un impasto chiamato hishio fatto di carne e pesce marinati con l’aggiunta di soia e farina. Fu introdotta in Giappone durante il periodo Fujiwara (694-710).
La cucina shojin (shōjin-ryōri), la quale consiste in una dieta prettamente vegetariana, anch’essa una delle tre cucine principali del Giappone moderno, viene introdotta nell’anno 531, venendo adottata tuttavia da un gran numero di giapponesi solo nel XIII secolo.
Periodo Nara (710 – 794)
Breve ma intenso, in questo periodo venne abolita la tradizione di spostare la capitale del regno alla morte dell’Imperatore, fissandola a Nara.
Il buddismo fu introdotto come religione ufficiale e tale scelta venne consacrata ufficialmente con la costruzione del Daibutsu (statua del grande Budda, alta circa 15 metri) a Nara.
Sempre durante il periodo di Nara, vennero scritte due grandi opere che ancora oggi costituiscono forti riferimenti storici e mitologici: il Kojiki (digesto delle cose antiche) ed il Nihongi-shoki (cronache giapponesi).
I piatti e le usanze culinarie introdotti in questa e nelle successive epoche, andranno progressivamente a comporre quella che tuttora viene etichettata come cucina giapponese tradizionale (nihon ryōri, o washoku).
Tra le modifiche più rilevanti introdotte nel periodo Nara si ricordano i metodi di fermentazione, l’impego di ingredienti quali il pane e il nattō e l’accantonamento del sale e dell’aceto, sostituiti da altri condimenti quali il miso, lo hishio (l’antenato della salsa di soia) e lo shi.
La fermentazione è un processo essenziale per la preparazione di molti ingredienti della cucina giapponese (per citare solo i più famosi: miso, sake, salsa di soia, aceto di riso, mirin, tsukemono, natto, katsuobushi, kusaya). La fermentazione, essendo un processo dipendente da un fungo, ha impiegato tempo prima che i giapponesi riuscissero a controllarlo appieno. La prova dell’inizio della presa di confidenza con questo metodo si può trovare nel Kin-jinja, tempio della prefettura di Shiga, dedicato al fungo utilizzato per la produzione di narezushi, un antenato del sushi, nel quale il pesce veniva salato e poi avvolto nel riso fermentato. Quest’ultimo impediva di far marcire il pesce del narezushi, che così poteva essere conservato per mesi. Nel mangiarlo, il riso fermentato veniva scartato, consumando solo il pesce. Questo tipo di sushi era una fonte proteica importante per i giapponesi.
Il nattō, ingrediente ormai tradizionale della dieta giapponese, venne introdotto nelle sue due versioni più comuni (itohiki-natto e shiokara-natto) durante il periodo Nara da un monaco buddista. Un’altra novità di questo periodo è il pane bing, di origine cinese, un pane azzimo importato in seguito ai contatti con le dinastie cinesi Sui (581-618) e Tang (618-907). Inoltre il miso, lo hishio lo shi (pepite di soia) conquistano un posto sempre più importante nei condimenti della cucina giapponese; una parte del codice Yōrō, un codice che disciplinava la vita nel Giappone antico, è dedicato a loro, descrivendo il loro uso corretto. Alla corte imperiale, due chef erano responsabili della produzione di questi tre ingredienti, i quali erano piuttosto popolari anche tra la gente comune.
Periodo HEIAN (795-1185)
In questo periodo la capitale fu spostata da Nara all’attuale Kyoto, dove la corte imperiale rimase per circa un millennio.
Il Giappone cominciò ad avere una propria identità sia artistica che religiosa, grazie anche alla fusione delle idee del Buddismo e della religione Shinto, per cui gli dei iniziarono ad essere considerati come manifestazioni del Budda.
Gli imperatori, ritirandosi ad un ruolo marginale per seguire la propria spiritualità, lasciarono spazio alla famiglia Fujiwara, che si impadronì pian piano del potere.
I confini del regno continuavano ad estendersi ed alla ricchezza di corte si contrapponeva la povertà dei contadini (spesso governati da famiglie di militari), chiamati a cedere parte del raccolto in cambio di protezione.
Nacque così la classe dei samurai e, dopo lotte interne tra i Fujiwara ed altre famiglie nobili, salì al potere il clan Minamoto, in cui Yorimoto Minamoto fu il primo shogun a governare il regno, appoggiato dalla classe dei samurai. La capitale venne spostata a Kamakura.
Nell’epoca Heian fa la sua comparsa l’arte culinaria dei banchetti aristocratici: Daikyo Ryori. Influenzata dalla cultura cinese, su una grande tavola venivano disposti numerosi piatti da portata. I partecipanti mangiavno con bacchette, che furono introdotte proprio in questo periodo, e cucchiai. Le pietanze non erano condite. Ogni ospite le insaporiva secondo il suo gusto coi condimenti che trovava su quattro piattini: sale, aceto, sake e hishio (una sorta di miso primitivo). Per i pasti di tutti i giorni invece, ciascuno aveva un suo tavolino.
Shinsen Ryōri・神饌料理 – offerta di cibo agli dei
La più antica forma di cucina giapponese strutturata è lo Shinsen Ryori, legata ai riti religiosi shintoisti. Secondo lo shinto, il politeismo autoctono giapponese, il tempio non è il luogo dove le divinità risiedono, ma dove è più facile che si manifestino. L’offerta di cibo e bevande agli dei è il modo per richiamarli così che gli offerenti possano manifestargli le proprie richieste o ringraziamenti. Su speciali alzate in legno vengono appoggiati pesce, frutti di mare, verdure, frutta, riso, sake, sale, pollame, ecc. Ogni tempio ha le sue offerte specifiche, legate alla località, alla stagione, alle peculiarità della divinità che si vuole richiamare, secondo una complessa ritualità.
La parola “shinsen” significa offerta agli dei. Alla fine del rito religioso i partecipanti mangiavano tutti assieme. Il mangiare insieme era di fatto l’atto più importante perché simbolicamente rappresentava la comunione con gli dei che erano stati attirati con il cibo.
Ancora oggi chi visita i templi nel corso di un viaggio in Giappone noterà che spesso, di fronte all’”altare” sono poste offerte di cibo e sake.
In Giappone, una tradizione popolare suggerisce che il tofu sia stato importato dalla Cina, dal monaco buddista Kanshin, nell’anno 754; secondo un’altra versione, il monaco zen Ingen lo avrebbe introdotto nel 1654. Secondo uno studio intrapreso da Shinoda Osamu, le prime menzioni di tofu risalgono al 1182, i cui caratteri appaiono all’interno del menu imperiale, e in una lettera di un monaco nel 1239. Dal XIV secolo, la diffusione del tofu avviene su larga scala. I caratteri con il quale viene trascritto il nome differiscono da documento a documento: sono utilizzati soprattutto i caratteri 唐腐, 唐布 (pronunciati entrambi tofu) o 毛立. L’ortografia 豆腐 appare nel 1489. Shinoda rileva inoltre che i templi buddisti hanno svolto un ruolo importante nella produzione e nella distribuzione del tofu. Il divieto di mangiare carne, costrinse i monaci a cercare piatti nutrienti vegetariani, come sostituti delle proteine animali.
Possiamo quindi supporre con Huang, che il tofu probabilmente venne introdotto in Giappone durante le dinastie Tang e Song (1127-1279), in un momento in cui gli scambi culturali tra i due Paesi erano particolarmente intensi. Tuttavia, la tecnica di preparazione del tofu giapponese si è evoluta in modo diverso rispetto alla Cina.
L’introduzione del noodle dalla Cina avviene attraverso i monaci buddisti, i quali lo importano durante la dinastia Song, nel corso di un periodo che inizia alla fine del periodo Heian (1185) fino al periodo Kamakura (1185-1333).
I monaci buddhisti, al loro rientro dalla Cina dove avevano studiato lo zen, introdussero tutta la cultura associata alla produzione della farina, oltre agli oggetti strettamente correlati, come le macine per il grano. Un libro, Kyoka Hitsuyo Jirui Zenshu scritto verso il 1279, riporta l’elenco delle ricette importate da uno di questi sacerdoti, Eisai (1141-1215), fondatore della scuola Rinzai del Buddismo Zen, tra le quali: suikamen, somen, tettaimen, koshimen, suiromen e un tipo di pasta ripiena chiamato konton. Inoltre il monaco Eisai (1141-1215) diede origine alla cerimonia del tè nei templi zen e il monaco Dogen (1200-1253) attribuì notevole importanza al pasto inserendolo tra le pratiche ascetiche.
Tra i vari precetti molti riguardano il regime alimentare che dà vita alla cucina Shojin Ryōri. Si tratta di una cucina vegetariana o vegana, che esclude prodotti di origine animale, quindi uova, latticini, ma anche sapori aggressivi come aglio e cipolla. Ingredienti base della cucina Shojin sono le erbe selvatiche, i legumi e loro derivati tra cui il tofu. I condimenti sono leggeri e delicati.
Venne inoltre ulteriormente sviluppata la raffinata tecnica di condimento con miso, salsa di soia, olio di sesamo.
Durante questo periodo, vi è l’introduzione della cucina osechi (御節料理 osechi-ryōri?), caratterizzata da vari piatti serviti in scatole di lacca chiamate jūbako, ma che durante il periodo Heian si limitava al cosiddetto nimono, ovvero verdure bollite con salsa di soia, zucchero e mirin. Questo tipo di cucina è l’antenato diretto del moderno osechi, d’uso comune all’inizio dell’anno in Giappone.
Periodo KAMAKURA (1192-1333)
Il Giappone veniva governato dai fedeli dello Shogun, i Daimyo, appoggiati a loro volta dai Bushi (soldati samurai), che seguivano un codice di lealtà e di onore chiamato Bushido.
Si fece spazio anche la cultura delle armi ed in particolare delle spade, di cui Masamune era il miglior artigiano. Ma con il passare del tempo Minamoto perse il suo potere e venne rimpiazzato da un membro della famiglia Fujiwara, e dall’imperatore Go-Daigo.
Nel frattempo vennero respinte invasioni dalla Cina ed in seguito dai barbari che, anche se numerosi, vennero decimati da una tempesta in mare. Questo vento divino, chiamato “kamikaze” divenne poi il grido degli aviatori suicidi giapponesi durante la II Guerra Mondiale. Il governo attuale però stava perdendo la stima dei samurai, così si succedettero guerre interne tra governo e Shogun.
dei rituali legati alla cucina, e l’evoluzione dei metodi di consumo. La fermentazione è controllata, il noodle nella sua forma attuale fa la sua apparizione, mentre i tipi di cucina honzen ryori e shojin ryori definiscono ciascuno un particolare stile di pasto. Più tardi, i gesuiti portoghesi introducono ricette che si adattano ai gusti locali, le quali diventeranno indispensabili per la cucina giapponese, come tempura o tonkatsu.
Tra la fine del periodo Heian e l’inizio del periodo Kamakura, la produzione di koji (aspergillus), fonte di fermentazione della maggior parte dei prodotti giapponesi fermentati ancora utilizzati oggi, è finalmente sotto controllo. La produzione, divenuta sempre più ampia, permette la distribuzione dei prodotti e un migliore accesso ad essi. Gli udon sono citati per la prima volta in un documento, il Kagen-ki del 7 luglio 1347, sotto il nome di uton; mentre la prima menzione dei soba è all’interno dello Onryo-ken Nichiroku del 12 ottobre 1438. I noodles diffusi oggi in Giappone differiscono leggermente dalle versioni diffuse in questo periodo storico. Essi prendono la loro forma attuale durante il periodo Eiroku (1558-1570).
Il primo documento che fa riferimento agli edamame (= fagioli della soia) è datato 1275, quando un celebre monaco giapponese, Nichiren, scrisse una nota di ringraziamento per un parrocchiano lasciando offerte di edamame in un tempio.
Periodo MUROMACHI (1335-1572)
Dopo la sconfitta dell’imperatore Go-Daigo la casa reale si divise tra le città di Kyoto e Yoshino per più di mezzo secolo. Diversi imperatori si succedettero ma, incapaci di governare, fecero sprofondare il Giappone nel caos.
Allo stesso tempo, vennero edificati a Kyoto il Kinkaku-ji ed il Ginkaku-ji e si svilupparono le arti. Fu questo anche il periodo in cui gli occidentali scoprirono il Giappone, introducendovi armi da fuoco (che i Giapponesi impararono presto a costruire) e la religione del cristianesimo.
Ma il Giappone, visti i disordini creati dall’introduzione di nuove culture dall’occidente, decise di mantenere stabilmente soltanto rapporti con l’Olanda.
Nel 1540 in Giappone sbarcarono i missionari gesuiti di Francesco Xavier. Oltre al cristianesimo, portarono in Giappone molti usi e costumi occidentali, anche nell’alimentazione. Arrivò il vino, che di lì a breve si iniziò a produrre anche localmente, il pane, il pan di spagna. Il Pan di Spagna è ormai considerato un dolce tipico di Nagasaki ma originariamente venne importato dai missionari spagnoli e portoghesi. Il nome giapponese è カステラ, “Castella”.
Molti di questi prodotti sono così assimilati nella cultura alimentare giapponese e adattati agli ingredienti, al gusto e all’estetica locale da poter essere tranquillamente considerati tradizionali. A volte però conservano nel nome l’origine straniera. È dibattuto se anche la celebre frittura giapponese, il tempura, non sia un’evoluzione delle verdure pastellate che i missionari portoghesi mangiavano nei giorni di magro della quaresima. Certamente il nanbanzuke (南蛮酢け), sarde e sgombri fritti e marinati in aceto, deriva dal pesce in escabeche della cucina mediterranea.
Periodo AZUCHI MOMOYAMA (1573-1600)
Fu un periodo molto breve, in cui Nobunaga Oda marciò su Kyoto per ristabilire il governo degli Shogun.
Egli fu il primo ad utilizzare le armi da fuoco, e fu assassinato da una delle sue guardie. In questo periodo i castelli dei vari governatori locali vennero edificati e fortificati sulle alture.
Il castello più imponente è l’Osaka-Jo, per il quale sono stati utilizzati massi le cui dimensioni arrivavano anche a 10 metri di lunghezza ed 8 metri di altezza.
Le strade, invece, venivano costruite come dei labirinti, in modo che i nemici fossero disorientati e la loro avanzata fosse facilmente controllabile.
Nello stesso periodo il Daimyo Toyotomi Hideyoshi intraprese azioni invasive in Corea, per cui per 35 anni il territorio coreano fu totalmente assoggettato al Giappone, che cercò di annientare la cultura locale, riportando a casa anche il macabro trofeo consistente in 20 mila nasi mozzati.
Periodo EDO (1600-1867)
Questo periodo iniziò con il governo Tokugawa, che divenne governatore assoluto del Giappone e si trasferì ad Edo, ribattezzata Tokyo nel 1869, sede dello shōgun,
Fu questa l’epoca in cui gli occidentali ricominciarono a fare pressioni sul Giappone, sia sul lato commerciale che su quello religioso, creando non poche minacce al paese.
Per questo motivo la religione cristiana fu bandita definitivamente ed i rapporti commerciali tornarono ad essere limitati agli olandesi. Caratteristica preponderante del periodo Edo fu la politica di isolamento del Giappone, nota come sakoku: si assistette a vere e proprie carneficine di cristiani soprattutto nell’area di Nagasaki, la città a più stretto contatto con gli europei.
In seguito, sotto il governo di Iemitsu, venne costruito a Nikko il più grande santuario del Giappone e l’esercito Giapponese si rafforzò a tal punto da diventare uno dei più potenti e disciplinati eserciti, scoraggiando così potenziali invasioni dall’occidente.
Per il Giappone questo fu un periodo di grande rigore e disciplina, in cui fiorirono le arti.; la cucina giapponese raggiunge finalmente la sua maturazione; all’apice di questo periodo si trovano diversi stili: l’Honzen Ryori, il Kaiseki Ryori servito nei ristoranti, il Fucha Ryori, il Shippoku Ryori e il Kaiseki Ryori legato alla cerimonia del tè.
La cucina honzen (honzen-ryōri), uno dei tre stili di base della cucina giapponese tradizionale, affonda le sue radici nella cucina nobiliare del periodo Muromachi (1336-1573), venendo considerata la cucina formale del periodo Edo (1603-1868), e conoscendo il suo declino solo nel periodo Meiji (1868-1912). Nel Giappone moderno si può trovare, sotto una forma derivata, nella prefettura di Kōchi, sull’isola di Shikoku, col nome di cucina sawachi (sawachi ryōri).
Il namanare o namanari, pesce crudo avvolto nel riso e consumato fresco prima che il gusto si deteriori, in questo periodo viene preferito al sushi e al suo stretto antenato narezushi. Al contrario di quest’ultimo, il namarare è considerato un piatto, piuttosto che un semplice metodo di fermentazione. Nella società medievale dei samurai, il processo di preparazione del pollame e della carne comincia ad essere ritualizzato. Durante questo periodo maestri specializzati nell’arte del coltello sono riconosciuti e metodi di preparazione precedentemente limitati al semplice taglio si evolvono in vera e propria arte, mentre vengono costituite le prime scuole specializzate nello sviluppo delle abilità negli utensili da cucina.
La ricetta del tempura viene introdotta in Giappone grazie all’opera di missionari gesuiti portoghesi particolarmente attivi nel corso del XVI secolo (1549). Inoltre, fanno la sua comparsa pietanze come il panko e piatti tuttora popolari quali il tonkatsu.
Nel XV secolo fanno la loro comparsa quasi tutte le arti tradizionali giapponesi come la cerimonia del tè, l’Ikebana, il teatro Nō e il Kyogen (forma di teatro comico).
A tavola si assiste alla nascita dello Honzen Ryori, tutte quelle preparazioni alimentari da consumare durante i banchetti di accoglienza dello Shogun, il leader militare. Le pietanze erano condite come nella cucina zen. Vengono stabiliti in questo periodo i numeri dispari delle portate: 7, 5, 3, ancor oggi importanti per la composizione a tavola.
Tra il XV e il XVI secolo appaiono le preparazioni legate alla cerimonia del tè, con le quali la cucina giapponese raggiunge il suo apice: il Kaiseki Ryōri. Vengono rimossi gli elementi esclusivamente decorativi e i piatti freddi, e si serve una successione di portate calde in piccole porzioni elaborate. João Rodriguez (1561-1634), missionario portoghese che visse molti anni in Giappone, nel suo libro “Historia da igreja do Japão” descrisse con ammirazione la cucina per la cerimonia del tè, affermando che essa aveva rimosso i vecchi costumi del banchetto ed apportato uno stile nuovo al pasto quotidiano.
Secondo il celebre maestro della cerimonia del tè Sen-no Rikyu (1522-1591), l’ideale del Kaiseki Ryōri è un menu frugale composto da riso, zuppa, konomono (sorta di verdura in salamoia) e uno o due piatti con verdure e pesce, servito agli ospiti dallo stesso padrone di casa. Nel Kaiseki Ryōri è importante riflettere negli ingredienti e nella presentazione, il trascorrere delle stagioni, armonizzando le pietanze, preparate con raffinatezza ed eleganza, ai recipienti che le contengono.
All’inizio di quest’epoca i condimenti principali erano ancora il sale, l’aceto e il miso. Lo zucchero era di importazione e molto costoso. La salsa di soia arrivava a Edo da Osaka.
Il mirin acquisisce un ruolo importante nella cucina giapponese, e la quintessenza dei piatti tradizionali giapponesi, la cucina kaiseki, viene introdotta dai mercanti e dagli artisti.
L’alimentazione del periodo Edo presenta elementi comuni a quella dei giapponesi moderni, con alcune eccezioni di rilievo, tra cui la mancanza di carne e la presenza più rara di pesce e frutti di mare. Consisteva in tre pasti, come ora, ricalcando il principio del menu attuale, con una ciotola di riso, una zuppa e uno o due piatti di contorno. Grazie ai numerosi documenti è stato possibile ricostruire la dieta dei daimyō, la quale subiva delle modifiche dai pasti ordinari a quelli cerimoniali. I pasti ordinari in genere consistevano in riso, zuppa, e uno o due contorni, come ad esempio lo tsukemono; il sake non veniva servito. Il pasto cerimoniale, servito solitamente la sera, era una cena formale, accompagnata da un rituale di degustazione del sake, e aveva luogo una volta alla settimana. Gli ingredienti più comuni utilizzati erano il riso, il tofu, ravanelli, verdure di stagione e funghi. La presenza di pesce nei menu ordinari variava a seconda dei periodi (a volte raramente presenti, a volte di più), con l’eccezione dello katsuobushi utilizzato spesso come condimento, ma in ogni caso consumati più spesso durante i pasti cerimoniali.
A partire dal ‘700 si incomincia a produrre la salsa di soia anche a Edo. Una volta introdotto il mirin, il sapore della salsa di soia abbinata al mirin divenne il gusto tipico di Edo.
Nel primo quarto del XlX secolo appaiono i piatti tipici dello street food giapponese a tutt’oggi ancora popolarissimi come il kabayaki di anguilla o il nigirizushi (leggi la nostra storia del sushi). A Kyoto compaiono i dolci dalle forme raffinate preparati con il costoso zucchero bianco. Anche in altri luoghi turistici si cominciano a produrre dolci tipici. Nasce così il gusto per la pasticceria tradizionale.
In questo periodo si assiste a un vero e proprio boom dei pellegrinaggi a templi e santuari, del turismo, delle trattorie, dei libri di cucina ecc. Il cibo incomincia ad essere associato allo svago e divertimento.
Daikyo Ryori e Honzen Ryori continuano ad essere le preparazioni per la classe al potere come nobili e samurai. La cucina dell’epoca Edo, servita in trattorie e bancarelle, è invece parte della cultura popolare di grandi città come Edo (Tokyo), Osaka e Kyoto.
Dopo il narezushi dell’VIII secolo e il namanare medievale viene introdotto un terzo tipo di sushi, lo haya-zushi. Quest’ultimo è preparato in modo che il riso e il pesce possono essere consumati contemporaneamente. Il riso non viene utilizzato per la fermentazione, ma mescolato con aceto, pesce, verdure e altri ingredienti secchi. Questo tipo di sushi è ancora oggi popolare, con ogni regione che dispone di una propria versione.
La struttura sociale vedeva a capo di tutto la casa imperiale (con limitati poteri), poi gli Shogun (con ampi poteri), i Daimyo, i samurai, i mercanti ed i contadini, che erano quelli che più subivano soprusi e pressioni fiscali.
A lungo andare, questa situazione sociale, nonché la sua staticità, finì per indebolire il paese: i samurai perdevano la loro importanza, spesso riducendosi in miseria, ed i contadini si impoverivano sempre più mentre i mercanti acquisivano potere. Per gli occidentali era il momento di tornare all’attacco e l’ammiraglio americano Perry nel 1853 fu il primo a costringere i giapponesi ad aprirsi al commercio estero, stipulando con loro un trattato.
Agli americani, seguirono poi le flotte europee.
Nel 1854 navi da guerra americane forzano l’apertura dei commerci. Il Giappone esce dall’isolamento internazionale in cui si era chiuso durante il periodo Edo ed è costretto a firmare trattati ineguali con le potenze occidentali che possono esportarvi i propri prodotti senza tariffe doganali. I nuovi ingredienti dei Paesi occidentali vengono adattati ai gusti locali. Queste ricette adattate sono per la maggior parte considerate giapponesi nelle culture da cui hanno origine, e viceversa, in Giappone, sono spesso considerate non parte della tradizionale cucina giapponese, anche se riconosciute parte del patrimonio culinario giapponese. Si diffonde la carne, il cui consumo era stato del tutto marginale nella dieta delle epoche precedenti. I piatti occidentali a base di carne vengono arrangiati à la japonaise per adattarsi meglio ad essere mangiati con le bacchette e per l’abbinamento con il riso in bianco. Ricette europee diventano di moda nei ristoranti e bancarelle prima, e in seguito nelle preparazioni domestiche. Gli studenti giapponesi che vanno a studiare in Germania, Inghilterra, Stati Uniti, sviluppano un gusto per la cucina delle potenze occidentali. Nelle scuole femminili si fanno lezioni di cucina, si parla di nuove ricette nelle riviste, giornali e nei programmi radiofonici. Il menu della cucina casalinga diventa più vario. Questa tendenza si rafforza grazie alle casalinghe delle grandi città e alle studentesse delle scuole femminili. La diffusione dell’acqua corrente e dei fornelli a gas allevia le faccende domestiche.
Il Giappone iniziò quindi a guardare verso l’occidente accogliendone la cultura: venne revocato il divieto di consumo della carne rossa (introdotta nella dieta alimentare (per combattere la carenza di proteine e rafforzare la costituzione fisica), aumentò il consumo di latte e pane, diminuì quello di riso; si incoraggiarono i viaggi all’estero e si sviluppò la cultura scientifica, oltre all’introduzione del telefono e della corrente elettrica.
Nella cucina giapponese, il termine yoshoku (“cucina occidentale”) indica i piatti la cui ricetta è stata importata dall’Occidente durante la Restaurazione Meiji e adattati ai gusti locali. Si tratta di piatti europei che sono stati adattati, che spesso hanno nomi dal suono europeo, di solito trascritti usando il katakana. Questi piatti, generalmente, sono a base di carne, ingrediente novizio nella cucina giapponese, le cui origini sono europee (francesi, inglesi o italiane). Queste versioni giapponesi sono spesso molto diverse dalle loro versioni originali.
Omurice, naporitan e korokke sono esempi di piatti yoshoku. Il curry giapponese è stato introdotto in Giappone durante lo stesso periodo, mentre l’India era sotto l’amministrazione della British East India Company: questo è il motivo per cui il curry è classificato in Giappone come piatto occidentale, piuttosto che come piatto asiatico. Durante lo stesso periodo, a causa dell’apertura del Paese, molti piatti popolari sono stati importati anche dalla cucina cinese e coreana. Nonostante abbiano seguito lo stesso processo di importazione, i piatti non vengono definiti yoshoku, in quanto il termine si riferisce solo alla cucina occidentale. Tra i più noti vi sono il ramen, shabu shabu e gyoza. Come avvenuto con il cibo, anche nuove tecniche di cottura vengono importate e modificate, come ad esempio la tecnica itamemono, simile alla cucina a wok cinese.
Alla fine del XVII secolo circa viene inventato il katsuo-bushi (tonnetto essiccato, fermentato e affumicato), che si diffonde rapidamente.
Periodo MEIJI (1867-1912)
Sotto il potere dell’imperatore Meiji, la capitale fu definitivamente ufficializzata a Tokyo, il buddismo fu abolito e venne imposto lo shinto come religione ufficiale, per cui l’imperatore era riconosciuto come un dio vivente.
I samurai, dopo lotte e rivolte interne, cessarono di esistere e vennero fatte riforme per i diritti umani, per cui anche i mercanti persero potere sociale.
Nel 1872 fu costruita la prima rete ferroviaria che collegava Tokyo a Yokohama: le autorità giapponesi del tempo si tolsero le scarpe a Tokyo per salire sul treno e rimasero stupiti nel non ritrovarle a Yokohama, alla fine del loro viaggio.
Nei primi anni del XIX secolo, le yatai, piccole bancarelle che vendono cibo, diventano molto popolari a Edo. È in questo periodo che il nigiri-zushi fa la sua comparsa: costituito da un agglomerato di riso allungato condito con pesce crudo, è il tipo di sushi più popolare al mondo. Dopo il terremoto del Kanto del 1923 i cuochi che lasciarono Edo contribuirono a rendere popolare il piatto in tutto il Paese.
La caratteristica forse più importante della cucina giapponese è il gusto umami.
Secondo l’Umami Information Center, il gusto umami corrisponde al sapido, da non confondere con il salato: un sapore intenso, piacevole, soddisfacente, derivante da un particolare elemento presente soprattutto nella carne, nel pesce e nei prodotti caseari, oltre che in molte verdure. Il gusto umami è quindi il quinto dei gusti fondamentali che si riescono a percepire dagli alimenti, oltre dolce, salato, amaro e acido o aspro. L’umami è stato scoperto nel 1908 dal giapponese Kikunae Ikeda, professore di chimica all’Università Imperiale di Tokyo, durante alcuni sui studi sull’analisi del dashi, brodo di pesce, uno dei fondamenti gastronomici della cucina giapponese, fortemente saporito anche se preparato con soli tre ingredienti; umami signica “gusto “saporito” ed è dovuto alla presenza di glutammato monosodico,
Il gusto umami, nello specifico, è quella speciale sapidità che deriva dal kombu (alghe della specie laminaria), dal katsuo (tonnetto secco e affumicato), dall’hoshi-shiitake (funghi secchi), ecc. Il kombu e il katsuo erano già in uso da più di mille anni, ma diventano comuni solo in epoca Edo, quando iniziano ad essere facilmente reperibili. Grazie allo sviluppo della nuova linea marittima nel Mare del Giappone, il konbu dell’Hokkaido arrivava in grandi quantità ad Osaka.
Era TAISHO (1912-1925)
L’imperatore Taisho, figlio di Meiji, si mise da parte per il governo del paese a causa di problemi di salute (non bene identificati) lasciando molto spazio ai suoi ministri.
In questo periodo il Giappone, forte della fama di potenza mondiale, costruì flotte di navi da guerra.
Allo stesso tempo, gli Stati Uniti limitarono di molto le immigrazioni giapponesi ed il Giappone ne fu negativamente impressionato, dando origine a tensioni tra i due paesi, che si spensero provvisoriamente con la loro alleanza durante la I Guerra Mondiale, dopo la quale il Giappone entrò a far parte della Società delle Nazioni.
Verso la fine dell’era Taisho, il Giappone fu colpito da un violentissimo terremoto che provocò incendi e più di 100.000 vittime nella zona del Kanto, per cui molti Coreani furono trucidati da fanatici giapponesi con l’accusa di aver contaminato la terra e causato quel disastro.
Era SHOWA (1926-1989)
Hiroshito, con il nome di Showa, era un imperatore innamorato dell’esempio europeo.
Fu allora che il Giappone fece riferimento principalmente alla Germania e ne accolse le idee hitleriane (pensiero non poco in contrasto con la realtà, dato che Hitler esaltava la razza ariana), perdendo l’appoggio degli americani.
I Giapponesi, allora profondamente nazionalisti, erano convinti di poter dominare economicamente e politicamente il continente asiatico.
Fu così che, uscito dalla Società delle Nazioni, il Giappone iniziò ad espandersi occupando la Manciuria e successivamente invadendo parte della Cina.
Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna gli imposero allora delle sanzioni economiche. Nel 1941 il Giappone bombardò Pearl Harbour e continuò ad espandere i propri confini, grazie anche alle sue imponenti flotte navali, superiori anche a quelle americane.
L’espansione del Giappone nel Pacifico mirava ormai alle coste australiane, raggiungibili sfruttano l’appoggio di un’isola chiamata Midway, che gli avrebbe fornito la necessaria pista di atterraggio.
Ma le flotte americane, grazie ad un colpo di fortuna, rintracciarono in mare quelle giapponesi, che furono sconfitte. L’avanzata del Giappone nel Pacifico iniziò a retrocedere lentamente, ma l’evento che portò alla reale fine della guerra fu il bombardamento atomico da parte degli Stati Uniti su Hiroshima (6 agosto) e Nagasaki (9 agosto) nel 1945.
Pochi giorni dopo l’imperatore in persona annunciò alla nazione che la guerra era stata persa.
Gli Stati Uniti occuparono il Giappone per circa 7 anni, rimanendo però su alcune isole (tra cui Okinawa, ancora oggi sede di basi americane) che vennero restituite negli anni a seguire.
Dopo la Guerra il Giappone si è reintegrato nella comunità internazionale, affermandosi sempre più come grande potenza economica.
Era HEISEI (1989-oggi)
Alla morte del padre, salì al trono l’Imperatore Akihito, considerato il 125° successore dell’Imperatore Jimmu, con il nome di Heisei, dal 1989 al 2019. Il 1 maggio 2019, Naruhito diventa imperatore del Giappone e Masako imperatrice al suo fianco, a seguito dell’abdicazione di suo padre Akihito, avvenuta il 30 aprile. La cerimonia di incoronazione si è svolta il 22 ottobre 2019
Attualmente il sistema governativo Giapponese è fondato sulla separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Il potere legislativo è esercitato dalla Dieta Nazionale, composta dalla Camera dei Rappresentanti e dalla Camera dei Consiglieri. Il potere esecutivo è esercitato dal Governo, formato da un Primo Ministro e non più di venti Ministri.
Il potere giudiziario (totalmente indipendente da quello legislativo e da quello esecutivo) è esercitato dalla Corte Suprema, otto Alte Corti e numerose Corti Distrettuali, oltre alle preture.
L’Imperatore è il Capo dello Stato, ma non ha poteri legislativi, esecutivi o giudiziari.
A partire dagli anni trenta del Novecento nella ristorazione pubblica in Giappone si è diffuso l’uso dei sampuru, ovvero di accurate riproduzioni dei piatti cucinati nei ristoranti e che vengono esposti in vetrina. Un tempo realizzati in cera, questi modelli sono oggi di plastica.
Sotto l’influenza delle cucine occidentali, la carne, il latte e il pane vengono introdotti nella cucina giapponese, cambiando le abitudini dei giapponesi; il latte diventa un ingrediente classico dell’alimentazione dei giovani nipponici; diminuisce il consumo medio di riso, mentre aumenta quello di carne (aumentato del 400% tra il 1960 e il 2000).
Nel 1977, nel “Dietary Goals for the United States” (“McGovern Report”), il senatore americano George Stanley McGovern indica la cucina giapponese come modello per una sana alimentazione anche negli Stati Uniti. Ironicamente, proprio mentre il mondo incomincia ad accorgersi dei pregi della dieta nipponica, in patria i giapponesi cominciano invece a mangiare in modo più occidentale, con un sensibile aumento di zuccheri, grassi e proteine animali.
L’anno 1979 segna un significativo calo nel numero delle casalinghe giapponesi. In questo periodo si diffondono sempre più elettrodomestici nelle case: il bollitore per il riso, la lavatrice, il frigorifero ecc. Fanno la loro comparsa i fast food, gli alimenti preconfezionati e surgelati. Il boom economico, la diffusione dei mass media, le trasformazioni della grande distribuzione e dei ristoranti hanno un grande impatto anche sulla cultura alimentare nipponica. I Giapponesi trovano e apprezzano ormai i piatti più disparati.
I cambiamenti sociali (aumento dei single, basso tasso di natalità, invecchiamento della società, ecc.) portano a un’ulteriore semplificazione della cucina giapponese. I Giapponesi sempre più spesso mangiano fuori casa e dipendono da cibi pronti da asporto. Il risultato è un aumento dello spreco alimentare, dei pasti consumati in solitudine, della perdita della cucina locale, l’uniformazione dei gusti.
Sicché oggi, come sta accadendo in tutti i paesi “sviluppati” anche i consumatori giapponesi stanno cambiando le loro abitudini alimentari ed i loro gusti: vogliono mangiare il loro cibo preferito dovunque si trovino nel paese, in qualsiasi momento e indipendentemente dalla stagione.
Chi abbia viaggiato in Giappone ha certamente notato la grande diffusione di tutte le catene di fast food occidentali, gli immensi reparti di cibo pronto in supermercati e convenience store aperti 24h al giorno. In molte case giapponesi la cucina consiste in un frigo, un forno a microonde, una singola piastra elettrica per riscaldare cibi precotti.
La sfida per la preservazione della cucina casalinga giapponese non è dissimile da quella cui si trovano di fronte le tradizioni alimentari e culinarie di molti paesi occidentali.