Scilla | Urginea maritima (L.) Baker
La scilla marittima, nota anche come Drimia maritima o cipolla marina, è una pianta delle Liliaceae (o delle Asparagaceae secondo la classificazione APG) caratteristica del bacino del Mediterraneo, che vive allo stato selvatico in prossimità delle coste. In agosto, nella macchia mediterranea costiera, si possono notare dei pennacchi bianchi, alti un paio di metri, che ondeggiano nel vento: è l’infiorescenza di questo bulbo, che spesso nella cultura popolare segna la fine dell’estate e le prime piogge autunnali.
Si tratta di una pianta erbacea perenne dotata di un grosso bulbo tunicato, dal diametro compreso fra 10 e 20 cm, il cui peso può arrivare a diversi chili. A fine estate emette uno scapo fiorifero, eretto, alto anche due metri, di colore violaceo che termina in un lungo grappolo di fiori bianchi, peduncolati e formati da sei tepali ovali. L’apertura dei fiori avviene per fasce, dal basso verso l’alto. Le foglie, molli e carnose, escono dopo la fioritura in rosetta basale, e durano fino all’estate seguente. Il frutto è una capsula membranosa ellittica triloculare contenente molti semi.
Ne esistono due varietà: la scilla femmina, o bianca (var. alba), di dimensioni minori, e la scilla rossa (var. rubra) il cui bulbo può arrivare a 3–4 kg e le dimensioni di un melone. La distinzione si riferisce al colore delle squame bulbari.
La scilla è una pianta molto comune in Italia, soprattutto lungo le coste sabbiose, dove spesso è considerata erbaccia inutile, mentre oltre che essere ricca di principi attivi, è anche responsabile del mantenimento della sabbia in loco. Linneo la classificò nel Genere Scilla, ma poi Baker la riposizionò nel Genere Urginea, ma oramai la sua popolarità con il nome scilla era ormai radicata che le rimase.
È una pianta molto velenosa, tanto che anche gli antichi greci lo capirono ben presto a proprie spese e le diedero il nome di skiullein: dilaniare, da cui poi schilla e infine scilla. Il nome scilla richiama anche la Sicilia, regione nella quale cresce talmente abbondante che è stata ritrovata anche lontana dalle zone costiere. Il nome specifico marittima, come intuibile, le è stato dato per la sua propensione a crescere lungo le coste marittime.
Viene proposto commercialmente da alcuni bulbicoltori, ed è abbastanza facile da coltivare in vaso.
Come altre Scille e Urginee, è una pianta che si fa apprezzare per la bellezza dei fiori e del portamento. A differenza di molte specie simili, è in grado di affrontare l’inverno fuori dalla serra, come dimostra la sua presenza fra la flora spontanea delle nostre coste.
Storicamente comunque, l’interesse per questa pianta, più che per le sue caratteristiche ornamentali, si è concentrato sulle virtù medicinali.
La parte interessante è il bulbo, che viene raccolto in agosto, prima della fioritura, tagliato a fette ed essiccato. Il bulbo è velenoso, specie fresco.
Il bulbo contiene i seguenti principi attivi: glucosidi come scillarene-A e scillarene-B, glucoscillarene, scilliglaucoside, urginina, safoscillina, scillipicirina, scillitossina, scillina, poliosi, mucillagine, ossalato di calcio.
Conosciuta fin dai tempi di Ippocrate e Galeno, viene ricordata per la sua azione diuretica da Teofrasto e Plinio. Nel XVIII secolo si scoprirono le sue proprietà cardiotoniche, simili a quelle della digitale (ha una minor tendenza all’accumulo ma è più irritante per la mucosa gastro-intestinale). Utilizzato anche nella cura dell’asma. Il potere espettorante che la scilla esplica sulla mucosa bronchiale può essere sfruttato nei casi di bronchite; meglio se in associazione con altri espettoranti come particolare ipecacuanha e carbonato di ammonio, che permettono di ridurre i quantitativi di scilla.
Il bulbo è talvolta utilizzato come veleno per topi, i quali attirati dall’odore aromatico, affondano i denti e rapidamente giungono alla morte. In particolare, la varietà rossa contiene lo scilliroside, un potente topicida.