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Carne sintetica e cibi del futuro

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Il Governo italiano, riunito nel Consiglio dei Ministri, ha vietato, con un disegno di legge del 28 marzo 2023, la produzione e commercializzazione di alimenti e mangimi sintetici in Italia.

«È infatti vietato agli operatori del settore agroalimentare e a quelli del settore dei mangimi impiegare nella preparazione degli alimenti, bevande e mangimi, vendere, detenere per vendere, importare, produrre per esportare, somministrare oppure distribuire per il consumo alimentare alimenti o mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o da tessuti derivanti da animali vertebrati». Per chiunque disattenda tali disposizioni, il quadro sanzionatorio prevede multe comprese tra 10mila ed i 60mila euro ma che possono arrivare anche a coprire il 10% del fatturato dell’operatore che ha violato il divieto se superiore a 60mila euro».

Senza entrare nel merito delle polemiche politiche, proviamo a capire meglio l’intera problematica, dal come si ottiene la carne artificiale, a quali sono i suoi possibili benefici, quali le pecche e le possibili soluzioni alternative. Tutto questo anche in attesa di vedere se e in che misura la carne prodotta in laboratorio, per ora approvata per il consumo soltanto a Singapore e negli USA, rientrerà davvero tra i cibi del futuro.

Negli Stati Uniti la Food and Drug Administration (FDA) lo scorso novembre ha dato il via libera alla commercializzazione di nuggets (polpettine) di pollo coltivati in laboratorio. La cosiddetta clean meat è ottenuta da clonazione delle cellule staminali estratte dagli animali e poi riprodotte in vitro, senza macellazione. In America, e di conseguenza nel Mondo, questi prodotti artificiali stanno guadagnando consensi grazie al sostegno, anche in termini di investimenti, di chi, come Bill Gates, Jeff Bezos e Al Gore, punta sulla sostenibilità ecologica della carne di laboratorio.

La decisione della FDA, la prima per le cosiddette carni coltivate, conferma che il pollo cresciuto nei laboratori dell’azienda Upside Foods con sede in California sia un alimento sicuro per la salute dell’uomo; sono tuttavia necessarie ulteriori verifiche prima di procedere speditamente: ora l’azienda che produce il “pollo sintetico” dovrà sottostare ad una ispezione sia della carne prodotta sia dello stabilimento di produzione da parte del Servizio di sicurezza alimentare del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti.

 

Perché è necessario sviluppare nuovi prodotti
La FDA, nella nota del 16 novembre 2022, ha “incoraggiato” altre aziende a sviluppare alimenti e processi di produzione di cellule animali coltivate, sempre però garantendo il massimo della sicurezza alimentare e nel pieno rispetto delle leggi.

Secondo l’ultimo rapporto dell’ONU si prevede di raggiungere entro il 2050 la soglia di 10 miliardi di abitanti sul pianeta. 10 miliardi di bocche da sfamare, in un pianeta le cui risorse non sono infinite, non sono equanimemente distribuite, non sono ben utilizzate (incalcolabili gli sprechi!). Ad oggi, si contano ancora oltre 850 milioni di persone che soffrono di denutrizione distribuite in 55 Paesi: l’obiettivo delle Nazioni Unite è quello di raggiungere la sicurezza alimentare entro il 2030. Per riuscirci è indispensabile cambiare a livello globale l’attuale sistema di produzione alimentare che, purtroppo, è tra i maggiori responsabili di crisi climatica, inquinamento e riduzione della biodiversità nel pianeta. Ciò vuol dire anche che dalla coltivazione all’acquisto, ognuno è chiamato a fare la sua parte. Mentre la scienza è impegnata nella ricerca di soluzioni innovative, anche il consumatore finale può e deve iniziare a essere più consapevole del peso delle proprie abitudini alimentari.

La FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per Alimentazione e Agricoltura) definisce in modo preciso ciò che ci si aspetta da un’alimentazione sostenibile: “deve avere basso impatto ambientale e contribuire alla salute e alla sicurezza alimentare, per il presente e per le generazioni future; garantire protezione e rispetto della biodiversità e degli ecosistemi, essere culturalmente accettabile, accessibile, economicamente conveniente, adeguata nel profilo nutritivo, ottimizzando nel contempo le risorse naturali e umane”. Una sfida tutt’altro che semplice!

 

Investimenti nell’agro-alimentare
La continua crescita demografica ed economica del mondo è alla base dell’altrettanto continua crescita della domanda di prodotti alimentari, tant’è che tutto il contesto è al presente in assoluto uno dei più attenzionati da fondi di investimento specializzati. Si investe sempre di più nel settore “foodtech” e “foodscience”, cioè lo sviluppo di nuove tecnologie per la produzione del cibo, con la possibilità di realizzare alimenti attraverso coltivazione in laboratorio di cellule animali, per produrre la cosiddetta “carne coltivata” (che abbia gusto e consistenza della carne animale), oppure nell’utilizzo alternativo di vegetali in grado di “mimare”, in un certo senso, la carne animale. In tale direzione vanno ad esempio le scelte aziendali della startup israeliana Yumoja, le cui ricerche fino ad oggi erano rivolte al settore cosmetico, che ha trovato la soluzione per dare la giusta succosità ai prodotti che simulano la carne, e ha brevettato il primo “sangue vegetale” ottenuto dalla microalga Ounje (parola africana che significa letteralmente “cibo”).

Il Forum Economico Mondiale, insieme al WWF, ha stilato una lista dei 50 cibi del futuro, allo scopo di ispirare una maggiore varietà alimentare. I cibi sono stati scelti sulla base delle caratteristiche che meglio rispecchiano la definizione di dieta sostenibile, e fortunatamente anche sulla base del gradimento! La lista comprende alghe, cereali, legumi e germogli, cactus, radici e tuberi, frutta, verdura, semi, funghi. Niente cose avveniristiche, anzi, la parola d’ordine è il ritorno alla semplicità. In comune hanno solo una caratteristica: sono tutti cibi di origine vegetale.

Le fonti proteiche di origine vegetale sostengono il cambiamento verso il consumo di più piante e meno animali, i legumi arricchiscono il suolo in cui sono coltivati, i funghi hanno la capacità di crescere in aree inadatte ad altre piante commestibili. Fra i cibi suggeriti sicuramente l’attenzione è catturata dalle alghe: in Occidente siamo poco abituati al loro consumo, ma gli esperti prevedono che giocheranno un ruolo determinante. Per crescere infatti richiedono meno acqua e meno energia rispetto ad altre piante, e la loro coltivazione è definita “carbon-negative”: rimuovono CO2 dall’ecosistema e sono responsabili per metà di tutta la produzione di ossigeno sulla Terra; possono essere ricche di proteine e il loro sapore può ricordare quello della carne. Ad esempio, alcuni tipi di cactus sono commestibili: immagazzinano acqua, e per questo sono in grado di crescere anche in presenza di clima arido, e hanno un ottimo contenuto di sostanze nutritive; foglie e fiori possono essere consumati crudi o cotti, e trasformati in succhi e marmellate. Ne è un esempio il fico d’India, diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo e, in provincia di Catania, protetto anche con il marchio DOP. Di questa pianta non si butta via niente: sono commestibili le pale, i petali dei fiori e ovviamente i frutti.

Mentre però la tecnologia va avanti, all’agricoltura viene richiesto di fare un passo indietro, poiché le monocolture e le coltivazioni estensive hanno causato desertificazione e impoverimento del terreno.

Di qui le perplessità di Coldiretti e Filiera Italia circa il via libera dato negli Stati Uniti ai “cibi sintetici” che potrebbe aprire la strada anche nell’Unione Europea, cui già sono pervenute le prime richieste di autorizzazione all’immissione in commercio che coinvolgono EFSA e Commissione UE. Contro tale possibilità è intervenuto – come accennato – il Governo Italiano che ha recepito le istanze e gli appelli delle organizzazioni agricole italiane, tutte contrarie, senza se e senza ma, al cibo sintetico. Per il Ministro Lollobrigida “il cibo sintetico rappresenta un mezzo pericoloso per distruggere ogni legame del cibo con la produzione agricola, con i diversi territori, cancellando ogni distinzione culturale, spesso millenaria, nell’alimentazione umana e proponendo un’unica dieta omologata, con gravissime ricadute sociali sui piccoli agricoltori”.

Va precisato che la stretta sugli alimenti sintetici approvata dal Consiglio dei Ministri non ha nulla a che vedere con l’autorizzazione (data a precise condizioni) alla messa in vendita delle farine di insetti, perché, pur non facenti parte della nostra cultura alimentare, sono pur sempre prodotti naturali. Per questo motivo mentre per le farine di insetti è bastato fissare regole commerciali (con precise indicazioni in etichetta, scaffali distinti nella grande distribuzione), per il cibo sintetico anche in base a un principio di precauzione l’idea di fondo è quella del divieto di produzione e commercializzazione. Pertanto, in questo caso la scelta se consumare o meno detti prodotti è demandata al consumatore, che deve far bene attenzione e leggere le etichette dei prodotti che acquista. Resta la considerazione che ogni imposizione nel caso di scelte alimentari è sempre da condannare, soprattutto se si vogliono propugnare alimenti di cui non si conoscono, né si possono del tutto escludere, possibili effetti negativi sulla salute umana.

 

Come si ottiene la carne coltivata
La carne coltivata, che di sintetico non ha nulla perché non origina da un processo di sintesi chimica (pertanto è alquanto improprio parlare di carne sintetica!), è prodotta in laboratorio con tecniche, sfruttate da anni, della medicina rigenerativa: si parte da poche cellule staminali prelevate dai muscoli di animali adulti viventi (o cellule staminali pluripotenti da embrioni animali) che vengono coltivate all’interno di appositi bioreattori atti a costituire fibre e tessuti ed essere così utilizzate per la produzione di carne (ingegneria tissutale). Questa operazione può essere eseguita con qualunque specie ma per ora è stata sperimentata con bovini, maiali, tacchini, polli, anatre e pesci.

In particolare, le staminali estratte sono trasferite in un bioreattore (cioè un dispositivo che riproduce le condizioni ottimali di temperatura, aerazione e flusso di nutrienti per le colture cellulari, replicando quelle naturalmente presenti nel corpo degli animali, ndr) dove vengono fatte proliferare fino a raggiungere la concentrazione desiderata e differenziare in cellule muscolari. Dopo la differenziazione le cellule iniziano a formare minuscole fibre dette miotubi, le unità base delle fibre muscolari, che continuano a crescere in tessuto muscolo scheletrico se si forniscono le giuste condizioni. La struttura del prodotto carne dipende dalla durata e dalle condizioni di questo processo produttivo.

Per ottenere carne edibile, oltre a un ambiente adeguato servono due elementi di supporto: un siero che aiuti le cellule a moltiplicarsi e differenziarsi e una superficie – una sorta di impalcatura di sostegno (scaffold in inglese) sulla quale far orientare la crescita delle cellule e dar loro una struttura tridimensionale. Il mezzo di coltura ideale deve fornire nutrienti, ormoni e fattori di crescita, cioè proteine cruciali per stimolare la crescita e la proliferazione cellulare. Quello che funziona meglio (come per gran parte delle colture cellulari) contiene siero fetale bovino, ricavato dal sangue raccolto dal feto di bovine gravide durante il processo di macellazione – una condizione evidentemente non accettabile per vegetariani e vegani. Idealmente il mezzo di coltura non dovrebbe contenere sostanze derivate da animali, non solo per ridurre i costi ma anche per non venir meno all’obiettivo di rimpiazzare i prodotti animali convenzionali; allo scopo sono stati sviluppati altri mezzi di coltura che non contengano derivati animali, ma non sembrano adatti per tutti i tipo di colture cellulari e sono spesso meno efficienti in termini di crescita e sopravvivenza cellulare. Alternative allo studio includono cianobatteri, alghe, lieviti, funghi. Il supporto utilizzato per far moltiplicare le cellule può essere edibile (per esempio a base di amido o alginato, un prodotto ricavato dalle alghe) o venire rimosso una volta ottenuto il prodotto finale. Può funzionare come una spugna munita di pori attraverso i quali irrorare le cellule di tutti i nutrienti necessari.

In definitiva, pertanto, si tratta a tutti gli effetti di carne coltivata in laboratorio, il cui risultato finale è un prodotto che non è mai stato parte di un animale vivo pur essendo costituito al 100% da cellule animali.

 

La carne vegetale
Da precisare che carne coltivata e carne vegetale non sono la stessa cosa; infatti per carne vegetale si intende un’intera categoria di alimenti, altamente proteici ma esclusivamente strutturati da ingredienti ricavati dal Mondo Vegetale.

La carne vegetale si produce a partire da piante e legumi. In particolare, si possono utilizzare piselli, fagioli, barbabietole, derivati della soia, amido di patate, olio di cocco. La quantità di proteine contenuta in questi alimenti è simile a quella presente nella carne. Spesso vengono aggiunte piccole quantità di vitamine e minerali.

L’obiettivo è quello di sostituire interamente gli ingredienti di origine animale secondo i criteri della filosofia vegana, apportando al tempo stesso un’alta percentuale proteica. Normalmente la carne vegetale non contiene glutine né colesterolo; ha però una quantità di acidi grassi saturi paragonabile a quella contenuta nella carne da allevamento, per cui non bisogna abusarne.

 

Differenze tra carne artificiale e carne tradizionale
Rispetto alla carne autentica proveniente da animali macellati, la carne artificiale ottenuta tramite biotecnologie alimentari non presenta sostanziali differenze organolettiche dal momento che trae origine da cellule e grasso animali, con addirittura la presenza di vasi sanguigni. Tuttavia, il gusto della carne prodotta in laboratorio, stando al giudizio dei pochi che al momento l’hanno potuta assaggiare, non è ancora assimilabile a quello della carne proveniente da allevamenti tradizionali, anche se i ricercatori stanno cercando (e prima o poi ci riusciranno!) di perfezionare caratteristiche della carne di laboratorio come colore, consistenza e sapore per renderle il più identiche possibile all’originale.

La grande differenza tra carne tradizionale e carne coltivata, al di là del metodo di produzione,  è l’assenza di ossa in quest’ultima: la carne artificiale è priva di osso e questo, pur aumentando la parte edibile di prodotto, può costituire un problema per l’utilizzo in cucina per determinate ricette (vedi in seguito).

 

La carne stampata
La start-up israeliana MeaTech ha realizzato la bistecca prodotta in laboratorio più grande del mondo del peso di 104 g; questo prodotto è estremamente innovativo perché ottenuto grazie a tecniche sofisticate di stampa 3D; in particolare, si tratterebbe di carne vera e propria, di cui conserva sapore e consistenza rispetto all’originale. In particolare, un campione di cellule staminali è stato prelevato dai bovini; le cellule sono state fatte moltiplicare in laboratorio; al raggiungimento di una massa sufficiente sono state incorporate in bio-inchiostri utilizzati, quindi, per la stampa 3D. Il prodotto stampato è stato, infine, messo in un’incubatrice, e le cellule, una volta differenziate, hanno potuto maturare, andando a costituire la bistecca più grande di sempre pressoché identica all’originale.   Il debutto della bistecca sul mercato è, però, ancora lontano. Le autorizzazioni da ottenere sono, infatti, molte e l’obiettivo resta proporsi come competitivi anche a livello economico.

 

La carne prodotta in laboratorio è sicura per i consumatori?
Prima di essere immessa sul mercato e venduta al pubblico, la carne coltivata deve superare tutti i tests previsti dalla normativa vigente per i prodotti innovativi; in primo luogo, bisogna dimostrare che il prodotto è sicuro tanto quanto le altre opzioni attualmente disponibili per i consumatori europei. Al momento, non ci sono studi scientifici a sufficienza che permettono di capire se e quali rischi ci sarebbero sul lungo termine nel mangiare carne coltivata in laboratorio, per cui saranno necessari altri studi prima di renderlo un cibo globale.

Nelle ultime ore si è registrata la posizione dell’Efsa (European Food safety Authority), che sul proprio sito ha scritto: “La carne coltivata e i frutti di mare coltivati potrebbero essere considerati una soluzione promettente e innovativa per contribuire al raggiungimento degli obiettivi per sistemi alimentari equi, sicuri, sani e rispettosi dell’ambiente. Tuttavia, il potenziale impatto ambientale e l’impatto sugli aspetti della sostenibilità devono essere valutati a fondo e la sicurezza deve essere stabilita”. Al riguardo, non bisogna mai dimenticare che la scienza richiede tempo prima di stabilire vantaggi e svantaggi di un prodotto nuovo come la carne sintetica. Certamente, però, come sottolineato dall’Agenzia Europea per l’Ambiente, queste tecnologie possono aiutare a controllare la composizione della carne e renderla più salutare: il contenuto di grasso, ad esempio, potrebbe essere fissato ai livelli raccomandati e i grassi insalubri potrebbero essere sostituiti con i più salutari omega-3; così pure si potrebbero includere ingredienti aggiuntivi come le vitamine, e via dicendo.

 

Mangiare carne coltivata fa bene?
La questione più importante riguarda gli effetti del consumo di carne artificiale sulla salute. Ebbene, la carne coltivata viene addizionata artificialmente con i nutrienti presenti nella carne tradizionale (proteine, ecc.) per ottenere un prodotto con valori nutrizionali paragonabili a quelli della carne animale vera e propria; però, nonostante questo impegno, l’impatto sul metabolismo umano sembra essere diverso da quello osservato consumando cibo naturale, che è un complesso sistema di sostanze e processi intrinsecamente collegati e interagenti fra loro: perdere il legame con la naturalità degli alimenti, secondo i nutrizionisti, rappresenterebbe uno svantaggio per la salute.

Inoltre è importante sottolineare che le carni prodotte artificialmente sono, al termine del ciclo di produzione, alimenti altamente processati, contenenti moltissimi additivi e conservanti e sottoposti a una lunga lavorazione industriale per poter conseguire l’aspetto e il gusto con cui vengono presentati. La carne proveniente da allevamenti di qualità, possibilmente italiani, con un sistema di controlli e rintracciabilità lungo tutta la filiera, resta quindi ancora la migliore carne possibile.

 

Quanto costa la carne prodotta in laboratorio?
Il primo hamburger di carne coltivata mostrato in una conferenza stampa a Londra nel 2013, sarebbe risultato indigesto ai più: produrlo era costato 330.000 sterline (circa 375.000 euro). In questi anni però i costi si sono notevolmente ridimensionati: se nel 2008 produrre 250 grammi di carne coltivata costava circa un milione di dollari, nel 2015 si era già ridotto a 250mila euro; oggi il prezzo si dovrebbe aggirare intorno ai 10-15 euro, ma è destinato a scendere ulteriormente grazie all’innovazione tecnologica e la possibile produzione su vasta scala a livello mondiale, fino ad avere un costo inferiore a quello della carne normale (ca. 5€ al Kg).

 

Pro e contro della carne prodotta in laboratorio
Grazie agli ultimi studi e novità in materia, i ricercatori sarebbero in grado di produrre ben 175 milioni di hamburger attraverso le cellule di una sola mucca e diverse sono le aziende che hanno in programma di entrare nel mercato (Finless, Foods, Mosa Meaths, Memphis Meat). Sicuramente, quando l’intero processo sarà completato ed il prodotto commercializzato, l’impatto sul settore sarà incommensurabile; si stima che entro cinque anni la carne coltivata potrebbe arrivare sul mercato, con effetti positivi sulla salute e sulla sicurezza alimentare, oltre che, come detto, sull’ambiente.

L’allevamento di animali da macello – occorre ricordare – è responsabile, da solo, del 14,5% del totale di tutte le emissioni di gas a effetto serra di origine antropica, oltre a utilizzare circa il 20% delle terre emerse come pascolo e il 40% dei terreni coltivati per la produzione di mangimi. In contrapposto, secondo uno studio delle Università di Oxford e Amsterdam, i dati sull’impatto ambientale che dovrebbe avere la produzione della cosiddetta “culture meat” (carne in cultura) o “clean meat” dovrebbe portare ad una riduzione del 96% dell’immissione di gas serra e dell’utilizzo del suolo; risparmio dei consumi energetici del 45% e minor consumo idrico del 99%.  Senza considerare che l’impiego di carne coltivata ridurrebbe drasticamente la necessità di macellazione, perché basterebbe allevare pochi animali sani per fornire le cellule staminali necessarie.

Sicuramente quello che oggi appare difficile, col tempo sarà superato per cui sarà possibile riprodurre perfettamente le caratteristiche organolettiche come gusto, odore, consistenza e valori nutrizionali (vedi introduzione della vitamina B12) della carne tradizionale.  Ad alcune cose bisognerà comunque abituarsi; ad esempio, la carne sintetica non prevede tessuti di scarto come le ossa e quindi alcune pietanze andrebbero a scomparire, come le coscette di pollo. Infine non si può ignorare l’impatto che la carne sintetica avrebbe sugli allevamenti tradizionali e non intensivi, oggi utili per il mantenimento di razze autoctone e pulizia di boschi e foreste.

Un altro vantaggio della carne sintetica è la minore probabilità di contaminazione da parte di parassiti e batteri e di sviluppare infezioni virali e micosi. Inoltre, grazie all’ambiente rigorosamente controllato, la produzione di carne coltivata riduce l’impiego di sostanze chimiche come i farmaci veterinari (ma potrebbe richiedere l’uso di ormoni della crescita).

 

Altri provvedimenti sui cosiddetti cibi sintetici.
E’ doveroso precisare che la decisione adottata dal Governo italiano sullo stop ai cibi sintetici non è stata presa sulla base di elementi scientifici o di qualche prova circa la pericolosità o dannosità per la salute dell’uomo di alimenti e mangimi sintetici – nel testo si parla di carne, pesce, latte e mangimi artificiali -; in altri termini, si tratta di un provvedimento adottato quando ancora mancano elementi importanti per prendere decisioni che siano informate e definitive. Si tratta pertanto di una decisione adottata non perché non garantiscono qualità e benessere ma – come affermato – per tutelare la cultura alimentare e la tradizione enogastronomica italiana,

L’iniziativa partita dal ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, fa parte di una più ampia strategia che comprende anche il contrasto ad alimenti come le farine di insetti, grillo, larve e locuste in particolare. La commercializzazione di questi prodotti si à dovuta autorizzare, seppure inserendo nel decreto precisi “paletti” e quindi a determinate condizioni. E’ di questi giorni l’annuncio di alcune attività che metteranno in commercio prodotti realizzati con farine derivate da insetti, grilli in particolare. Del resto, l’entomofagia è radicata e praticata abitualmente in diverse regioni del mondo; secondo la Fao interessa oltre 2 miliardi di persone al mondo.

I quattro decreti il 23 marzo 2023 prevedono che detti prodotti possano essere venduti nei supermercati, tenuti in scaffali dedicati, con chiara indicazione in etichetta dei livelli massimi previsti; tali provvedimenti, che hanno visto l’intesa ieri in Conferenza Stato-Regioni, contengono specifiche indicazioni da riportare in etichetta per tutti i prodotti e preparati destinati al consumo umano ottenuti tramite l’utilizzo di Acheta domesticus (grillo domestico), larva di Tenebrio molitor (larva gialla della farina), larva di Alphitobius diaperinus (verme della farina minore) e Locusta migratoria.

Alla base dei provvedimenti firmati oggi vi è – come accennato – il principio della trasparenza su cui si fonda la capacità di scelta dei consumatori, che devono sapere come un prodotto è stato realizzato, da dove proviene e con cosa è fatto, per esser liberi di utilizzarlo o meno. Chi acquista prodotti a base di farine di insetti deve infine considerare che incombe sempre un rischio di allergia al momento non quantizzabile.

Redazione amaperbene.it

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