Senna | Cassia angustifolia Mill.
La Senna (o Cassia) è stata introdotta in fitoterapia dai medici arabi. Due sono le specie di Senna utilizzate in fitoterapia: la Cassia angustifolia Vahl. (fam. Caesalpinaceae), detta anche Senna indiana o Senna di Tinnevelly, e la Cassia acutifolia Delile (sin. Cassia senna L.), detta anche Senna alessandrina, appartenenti alla famiglia delle Leguminose, oggi raggruppate sotto il nome scientifico di Senna alessandrina Miller. Entrambe le specie hanno origine desertica. Le differenze tra le due specie sono quantitative più che qualitative. La Cassia angustifolia (angustifolia = foglia stretta) è originaria dell’arabie e della Somalia ed è coltivata in molte località dell’india (Tinnevelly è il luogo di principale esportazione). La Cassia acutifolia (foglia aguzza) vegeta nel Sudan e nell’alto Nilo, e la città di Alessandria d’Egitto era un tempo il principale porto di smercio.
La Senna è un arbusto alto da 50 centimetri ai 2 metri (la Cassia acutifolia arriva sino al metro di altezza, la Cassia angustifolia arriva anche ai 2 metri), con foglie composte, paripennate, strette e molto lunghe, lanceolate, a punta aguzza con peduncolo brevissimo nella Cassia angustifolia, strette e corte, ovate a appuntite all’apice, con peduncolo breve nella Cassia acutifolia. I piccoli fiori sono riuniti in grappoli terminali; il frutto è un legume che termina con una punta, residuo dello stelo.
Il nome popolare senna deriva da Sennar, regione della Namibia sul corso inferiore del Nilo azzurro, luogo dove la pianta pare abbia avuto origine. Sembra che questa pianta fosse sconosciuta ai Greci ed ai Romani ma che il suo uso sia stato introdotto dagli Arabi, i quali le attribuivano molte virtù terapeutiche tanto che la descrivevano così: “procuratevi della Senna che sarà per voi rimedio d’ogni male, salvo che per la morte”. Solo successivamente furono segnalate le proprietà lassative di questa erba officinale e la senna così iniziò a far parte di vari ricettari medioevali e delle farmacopee ufficiali, entrando nella composizione delle più celebri pozioni purgative.
La senna (Cassia angustifolia Vahl, Cassia acutifolia Del) viene comunemente utilizzata per combattere l’atonia intestinale, la stipsi, la stitichezza causata da viaggi, cambiamenti legati alla dieta, conseguenze del parto e d’interventi chirurgici; per facilitare la defecazione dei pazienti ipertesi o sofferenti di angina pectoris; per depurare l’organismo; per potenziare il tono muscolare dell’apparato urinario e dell’utero. Un uso meno frequente riguarda il trattamento della costipazione indotta dagli analgesici oppioidi.
L’effetto lassativo è dovuto alla presenza nelle foglie della senna dei sennosidi A e B, glicosidi antrachinonici, contenuti principalmente nelle foglie e nei semi. I sennosidi non sono attivi allo stato naturale: quando sono ingeriti, attraversano lo stomaco senza subire alterazioni, sono parzialmente assorbiti dall’intestino e sono poi eliminati con la bile; quando giungono nel colon, sono trasformati dall’azione di enzimi prodotti dai batteri intestinali che liberano genina, principio attivo delle molecole di sennoside. La genina e gli altri derivati attivi stimolano la motilità dell’intestino crasso, ne aumentano i movimenti peristaltici e diminuiscono la permeabilità della mucosa intestinale, rendendo così difficile il normale assorbimento di acqua che si produce nell’intestino crasso. Grazie a queste proprietà agiscono come efficaci lassativi, facilitando le espulsioni di feci morbide, senza coliche, e come purganti, provocando l’evacuazione di feci liquide diarroiche, accompagnate da coliche.
L’uso di alti dosaggi di antrachinoni provoca una diminuzione del tempo di transito intestinale: questo può ridurre l’assorbimento di farmaci, eventualmente assunti per via orale (anche la pillola anticoncezionale). Il dosaggio quindi deve essere il più basso possibile, tale da determinare una funzione pressoché fisiologica, senza causare crampi e dolori addominali. È bene inoltre assumere i lassativi in momenti diversi rispetto ai farmaci, per non interferire sul loro assorbimento e quindi sulla loro efficacia.
Inoltre, l’azione irritante tipica delle droghe antrachinoniche ne sconsiglia l’uso in presenza di emorroidi, processi infiammatori a carico degli organi del piccolo bacino come l’appendicite, diverticoli intestinali, fistole perianali, durante le mestruazioni, specie se si presentano dolorose, in pazienti portatori del morbo di Crohn o di rettocolite ulcerosa; in età pediatrica; durante la gravidanza e l’allattamento (passa nel latte materno). In tutti questi casi esistono altri rimedi efficaci, ma più delicati sull’intestino e sull’intero organismo.
Un uso troppo prolungato di lassativi antrachinonici provoca perdita di potassio, fatto che deve essere tenuto presente quando si assumono diuretici o farmaci che regolano il ritmo cardiaco.
Infine, l’uso eccessivo o prolungato di lassativi antrachinonici può comportare numerose interazioni con farmaci o altre piante medicinali. Come altre droghe antrachinoniche, la senna può determinare un incremento della tossicità della digossina. L’effetto sembra sia legato all’ ipopotassiemia che si verifica in seguito ad un eccessivo uso di tali lassativi. La riduzione dei livelli di potassio è dovuta in parte ad una sua eliminazione diretta con le feci ed in parte rappresenta un effetto renale secondario alla deplezione di sodio. L’ipopotassiemia associata alla senna si manifesta dopo circa 1-2 settimane di trattamento con la droga ed è caratterizzata da letargia, crampi muscolari, cefalea, parestesie, tetania, edema periferico, dispnea e ipertensione. La tossicità indotta dalla digossina si presenta invece con sintomi quali anoressia, nausea, vomito, diarrea, debolezza, disturbi visivi e tachicardia ventricolare. Questo tipo di interazione può verificarsi, oltre che con la digitale (o con i suoi principi attivi), anche con altre droghe cardiotoniche quali Adonide, Mughetto, Scilla, Strofanto, Giusquiamo ecc. Per tali ragioni dovrebbe essere sconsigliato ai pazienti in terapia con cardiotonici l’uso di lassativi antrachinonici. Analogamente l’ipokaliemia i può incrementare la tossicità di farmaci antiaritmici (chinidina, idrochinidina) e di beta bloccanti. L’ipopotassiemia associata agli antrachinoni può essere aggravata dalla somministrazione concomitante di corticosteroidi, diuretici e liquirizia. Infine, i sennosidi possono aggravare la nefropatia indotta dagli analgesici.