Giglio | Lilium candidum
Il Lilium candidum L. (in italiano “giglio candido” o giglio di Sant’Antonio), è una pianta bulbosa appartenente alla famiglia delle Liliaceae. L’organo di sopravvivenza è il bulbo, di grosse dimensioni, piriforme e compresso, composto da numerose squame gialle allungate, carnose, senza involucro, che devono essere trattate con cura perché non vengano danneggiate durante la conservazione e l’impianto. A differenza di praticamente tutti gli altri Lilium, i bulbi devono essere piantati poco profondi. Basta che siano coperti con ca. 3 cm di suolo. Sviluppano le radici solo dalla placca basale che è importante rimanga integra, con le scaglie ben attaccate.
Dal bulbo, prima dell’inverno, sorgono le foglie primarie raggruppate in un ciuffo. Fra queste spunta, nella primavera successiva, il fusto fiorale, eretto e rigido, alto mediamente 100-120 cm, ma che può raggiungere anche i 2 m.; sul gambo possono sbocciare dai cinque ai venti fiori, dal profumo dolce intenso; fioriscono in giugno e in luglio. I fiori sono di colore bianco che tende al giallo alla base dei petali; formano un corto racemo apicale e sono dotati di un robusto peduncolo. I 5 tepali bianchi sono lanceolati con la porzione apicale rivolta all’esterno e all’indietro, con la superficie interna levigata. I 5 stami hanno grosse antere con polline giallo-arancio. Il frutto di Lilium candidum è una capsula allungata che a maturità si apre in tre parti lasciando cadere numerosi semi tondi e piatti di colore marrone chiaro.
La specie è originaria del Mediterraneo orientale, di Palestina e Libano in particolare, diffusa grazie ai commerci dei Fenici e naturalizzata in molte zone dell’Europa del Sud e del Medio Oriente fino in Afghanistan.
L’epiteto generico deriva da lilium, termine latino per ‘giglio’, dal greco λείριον (leírion, giglio) e quindi dall’antico persiano “lalèh”.. L’epiteto specifico significa bianco dal colore della corolla.
In Europa questo è il giglio più noto e più venerato già dall’antichità. Infatti, i primi dipinti di bulbose a Creta raffigurano questa pianta che era il fiore di Afrodite. I Greci la consideravano una pianta sacra ad Era, dea della purezza, che l’avrebbe generata; Afrodite avrebbe però maliziosamente inserito nel fiore un appariscente pistillo giallo di aspetto fallico. Anche nell’Antica Roma Lilium candidum veniva considerato l’emblema delle dee Venere e Diana, e veniva abbondantemente usato durante cerimonie e feste. Nell’era cristiana il suo fiore candido divenne il simbolo della purezza della Vergine e durante il medioevo veniva coltivato nei giardini ed orti dei monasteri. Le rappresentazioni del suo stelo con i fiori bianchissimi nei quadri dell’Annunciazione non si contano; a volte nei dipinti che raffigurano l’Annunciazione è l’arcangelo Gabriele che glielo porge. Appare anche nell’iconografia di Sant’Antonio da Padova, che viene raffigurato con questo giglio in mano a simboleggiare la purezza del corpo e dell’anima
In araldica, il giglio candido è divenuto il simbolo della monarchia francese; originariamente era il simbolo araldico della dinastia capetingia ma poi è stato adottato da tutte le successive case regnanti da esse discese. Viene detto infatti “giglio di San Luigi” proprio perché è presente nell’iconografia dell’unico re della dinastia capetingia proclamato santo, Luigi IX di Francia, che considerava i tre petali simbolo della fede, della saggezza e della cavalleria, tuttavia dal XIV secolo i tre petali saranno considerato in Francia il simbolo della Trinità. Come simbolo dei Borbone, è entrato anche nell’araldica di altri regni, come ad esempio nella bandiera del Regno delle Due Sicilie o nella bandiera spagnola (oltre che ovviamente nel suo stemma) dove è tutt’oggi presente.
Il giglio è presente anche nello stemma della città di Firenze e nella bandiera provinciale del Québec, fondato dai francesi nell’ambito della Nuova Francia ed ora parte del Canada francese. Ad esso e in particolare al suo uso come saluto alle autorità, è dedicata la festa dei Gigli.
I principali costituenti del giglio bianco sono: mucillagini, tannini, steroli e glucosidi tipo scillina. Questi principi attivi sono responsabili delle proprietà emollienti, lenitive e antinfiammatorie della pianta.
Le proprietà benefiche del giglio bianco sono contenute nei fiori (tepali) e nei bulbi. A quest’ultimi vengono attribuite anche proprietà diuretiche, emmenagoghe ed espettoranti, che tuttavia non è opportuno sfruttare per uso interno per via di rischi di tossicità. Valida e sicura è invece l’utilizzazione tradizionale per uso esterno e cosmetico. La polpa del bulbo cotto è utile per risolvere foruncoli e paterecci, come generico antiinfiammatorio ed emolliente sulle pelli arrossate, sulle ustioni e sulle piaghe. Per uso cosmetico la polpa del bulbo fresco pestato è invece indicata per migliorare l’aspetto e la consistenza di pelli senescenti e stanche. I tepali invece, vengono usati tradizionalmente come lenitivo in caso di scottature, dermatosi, eczemi e pruriti. In questo caso viene preparata una tintura oleosa da usare per fare lievi frizioni sulle parti interessate.