Fava del Calabar | Physostigma venenosum Balf.
La fava del Calabar (Physostigma venenosum Balf., 1861) è una pianta rampicante, alta fino a 15 – 20 metri, relativamente simile a un grosso fagiolo, appartenente alla famiglia delle Fabaceae; presenta foglie trifogliate e fiori di tipo papilionaceo, rosa o porpora, pendenti, disposti in racemi. Il legume matura in estate, è lungo 15–18 cm e contiene 2-3 grossi semi reniformi, lunghi 2–3 cm, rivestiti da un tegumento marrone brillante. Essi sono inodori, insipidi e molto duri. Questa pianta originaria dell’Africa tropicale (Costa del Calabar) Cameroun, Guinea, Corso del Niger, Sierra Leone, cresce spontaneamente nell’Africa occidentale, in particolar modo in Guinea, lungo il fiume Calabar.
Il termine Physostigma deriva dal greco jusaw = gonfio e stigma = stimma perché lo stimma barbato-peloso sulla faccia interna sotto l’apice, è allargato in una specie di cresta falciforme concava, stimmatifera, ripiegata sulla faccia esterna, terminale in modo che lo stimma appare come rigonfio; venenosum, velenoso, per la sua tossicità. Nome volgare: Eseré (da cui eserina).
La pianta veniva usata per estrarre il principio attivo fisostigmina, che è un alcaloide usato come inibitore della colinesterasi, e in oculistica come miotico nel glaucoma. La fisostigmina ha le stesse caratteristiche della pilocarpina (altro alcaloide miotico molto usato) ossia stimola il muscolo costrittore della pupilla, inducendo ad un restringimento del suo diametro; provoca inoltre una diminuzione della pressione endoculare e dello spasmo del muscolo ciliare. Altri componenti dei semi: olio grasso con gli acidi beenico, palmitico, stearico, oleico e linolico, sitosterina, resina, piccole quantità di olio etereo.
La Fava del Calabar deve quindi la sua azione alla eserina o fisostigmina ed alla geneserina. L’eserina agisce sugli effettori colinergici eccitandoli ma indirettamente, nel senso che essa preserva l’acetilcolina dalla rapida distruzione dovuta alla colinesterasi la cui attività viene inibita, appunto, dall’eserina. L’azione di questa si identifica quindi con quella dell’acetilcolina, l’attività della quale viene per ciò conservata, sebbene in diversa misura, in qualunque sede essa venga liberata dagli impulsi nervosi provenienti dal parasimpatico.
L’eserina non esplica soltanto l’azione muscarinica dell’acetilcolina sui muscoli lisci, sulle ghiandole e sul cuore, ma anche un’azione nicotinica che si manifesta sui muscoli scheletrici e sui gangli autonomi.
La Fava del Calabar, sotto forma di tintura o di estratto fluido titolato, è impiegata come eccitante della peristalsi intestinale (atonie postoperatorie, stitichezza atonica); come antinevralgico e antinevrosico (nevrosi celiaca, sindrome solare); come antimiastenico (miastenia muscolare progressiva); come eccitante le secrezioni salivare, pancreatica, intestinale e sudorale. I sali di eserina (e di geneserina anche) sono impiegati in oculistica sotto forma di colliri, come miotici o, alternativamente con colliri di atropina, per prevenire o eliminare la formazione di aderenze fra l’iride e la cornea, che potrebbero conseguire ad interventi chirurgici.
Controindicazioni: La pianta può interagire con agenti anticolinergici, atropina e farmaci atropinosimili, antiparkinsoniani, antispastici, neurolettici e fenotiacinici.
Curiosità: Alcune tribù che vivono lungo la costa del Golfo di Guinea nell’Africa Occidentale, la usavano per le ordalie dette anche “Giudizio di Dio”, ovvero delle prove insensate il cui risultato svelava la colpevolezza (morte) o innocenza (vita) dell’imputato secondo la volontà Divina. Chi era sottoposto a questo giudizio, doveva mangiare i semi di questa pianta. Poiché i semi della fava del Calabar sono anche emetici, ovvero inducono il vomito, c’era possibilità che questo effetto sopraggiungesse prima della paralisi respiratoria e quindi salvare il malcapitato. Non senza sofferenza…
Un altro uso era quello paralizzante per la caccia. I semi venivano pestasti fino a diventare polvere, per poi venir cosparsa sulle punte delle frecce per la caccia in quantità sufficiente (molto poca) perché l’animale colpito venisse ucciso per paralisi muscolare (cuore e respirazione).