Giuggiolo comune | Ziziphus zizyphus
Il giuggiolo è un piccolo albero deciduo (o frutice) da frutto appartenente alla famiglia delle Rhamnaceae e al genere Ziziphus, noto anche come dattero cinese, natsume o tsao (cinese semplificato: 枣; cinese tradizionale: 棗; pinyin: zǎo). Il frutto viene detto giuggiola (plurale: giuggiole).
E’ un albero a foglie caduche in grado di raggiungere altezze abbastanza elevate (5-12 metri); fusto dalla corteccia corrugata, con molti rami contorti spesso ricoperti di spine; foglie di un verde brillante; fiori di piccole dimensioni dal colore bianco verdastro, dai quali si sviluppano frutti delle dimensioni di un’oliva, con una buccia di colore dal rosso porpora al bruno rossastro e la polpa giallastra: sono le giuggiole (chiamate “zizoea” e “zizoa” nei dialetti del nord Italia). A piena maturazione il colore delle giuggiole si scurisce, la superficie si fa rugosa e il sapore diviene via via più dolce, fino ad assomigliare a quello di un dattero. E’ famoso il “Brodo di Giuggiole” un infuso di giuggiole e frutti autunnali, come uva Moscato o le cotogne Cydonia oblonga, scorze di limone, uva e melograni. L’espressione “andare in brodo di giuggiole”, deriva proprio dalla bontà di questo prodotto e dal piacere a consumarlo. Oltre che per la produzione di questo liquore, le giuggiole vengono utilizzate per la preparazione di marmellate e confetture e aromatizzare grappe, biscotti.
Si ritiene che il giuggiolo sia originario dell’Africa Cento-settentrionale e della Siria, e che sia stato successivamente esportato in Cina e in India, dove viene coltivato da oltre 4000 anni. I romani lo importarono per primi in Italia e la chiamarono ziziphum (dal greco ζίζυφον, zízyphon).
Noto anche come “Dattero cinese”, fu importato in Italia dai veneziani che lo diffusero soprattutto nella zona dei Colli Euganei, che per esposizione, clima e caratteristiche del terreno, era (e lo è tuttora) adatta alla sua coltivazione. Si trovano ancora alcune rare piante nei pressi di case contadine. In Romagna e in altre regioni, in molte case coloniche era coltivato adiacente alla casa, nella zona più riparata ed esposta al sole. Si riteneva che fosse una pianta portafortuna. Era presente anche in quasi tutti gli orti delle campagne del Veneto.
È una pianta mellifera molto visitata dalle api e se ne può ottenere un miele, ma in Italia la produzione è occasionale per la presenza solo sporadica della pianta.
Il giuggiolo era usato in passato, in alcune regioni italiane, per creare siepi difensive nei confini degli appezzamenti. In ragione delle spine e del fitto intreccio dei rami la siepe di giuggiolo costituiva una barriera pressoché impenetrabile. Sovente viene utilizzato come pianta ornamentale.
I frutti sono delle drupe che hanno un unico seme all’interno; hanno le dimensioni più o meno di un’oliva, con buccia di colore dal rosso porpora al bruno e polpa giallastra. La zizifina, un composto che si trova nelle foglie del giuggiolo, sopprime nell’uomo la percezione del sapore dolce. Se colto quando non ancora maturo (ossia quando presenta un colore verde uniforme), il frutto del giuggiolo, la giuggiola, ha un sapore simile a quello di una mela. Con il procedere della maturazione, tuttavia, il frutto si scurisce, la superficie si fa rugosa e il sapore diviene via via più dolce, fino ad assomigliare a quello di un dattero. C’è un solo nocciolo all’interno del frutto, simile a quello di un’oliva, che nella cucina persiana è noto come annab.
Le giuggiole si consumano sia fresche, appena colte dall’albero, sia quando sono leggermente raggrinzite; si possono conservare per lungo tempo essiccandoli o mettendoli sotto spirito; si prestano inoltre per preparare confetture e sciroppi, o come ingrediente per farcire dolci secchi e biscotti.
I frutti sono utilizzati anche a scopo fitoterapico: Oltre ad una modesta quantità di zuccheri, pectina e mucillagini, i frutti del giuggiolo contengono anche: antrachinoni, tannini, zizifusina (alcaloide bisbenziliso-chinolinico), daehuciclopeptide-I (sostanze ciclopeptidiche), acido ascorbico, flavonoidi (suvertisina), saponosidi (genina triterpenica tetraciclica).
In medicina orientale, le proprietà terapiche delle giuggiole sono sfruttate per alleggerire i sintomi legati a depressione, affaticamento fisico, astenia, irritabilità e nervosismo come pure per ridurre gli stati d’ansia accompagnati da palpitazioni e nevrastenia.. Sembra che queste presunte potenzialità delle giuggiole, attribuite ai frutti dalle culture orientali, trovino un certo riscontro scientifico, in particolare per le attività sedative ed ipnotiche (rese dai saponosidi).
I semi del giuggiolo non devono essere mangiati poiché, oltre alla struttura particolarmente pungente, contengono glicosidi tossici; i semi (non i frutti) della specie Zizyphus spinosa si sono rivelati particolarmente appropriati per combattere gli stati d’insonnia e di nervosismo.
Per la presenza degli antrachinoni, le giuggiole vantano di un blando effetto lassativo.
Non può certo essere dimenticato l’impiego dei frutti del giuggiolo per alleggerire infiammazioni della gola, bronchiti, raffreddori e raucedine. Con i frutti si può preparare uno sciroppo che seda la tosse secca e stizzosa.