Da sapere

58° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese

Getting your Trinity Audio player ready...

Venerdì 6 Dicembre 2024

Redditi calati del 7% in vent’anni. Italiani intrappolati nella sindrome del galleggiamento. Cresce l’avversione per l’Occidente mentre l’Italia è prima per richieste di cittadinanza (+112% in dieci anni)

Si galleggia e ci si crogiola in una “sindrome italiana” che ci intrappola perché non si arretra e non si cresce. La fotografia del Rapporto Censis 2024 restituisce una stasi che nasconde anche opportunità, slanci che sarebbero dietro l’angolo. Sempre che si decida di non galleggiare, appunto, nel tradizionale problem solving all’italiana che, scrivono ancora quelli del Censis, non basta più. «Ci flettiamo come legni storti e ci rialziamo dopo ogni inciampo, senza ammutinamenti. Ma la spinta propulsiva verso l’accrescimento del benessere si è smorzata», si legge nel rapporto 2024 in cui si dice che negli ultimi vent’anni (2003-2023) ci si è impoveriti perché il reddito disponibile lordo pro-capite si è ridotto in termini reali del 7,0%. E nell’ultimo decennio (tra il secondo trimestre del 2014 e il secondo trimestre del 2024) anche la ricchezza netta pro-capite è diminuita del 5,5%.

In un flash: Intrappolati nella sindrome italiana, ove è la continuità nella medietà; c’è più lavoro ma meno Pil, il settore del turismo è molto vivace mentre l’industria soffre nonostante l’aumento netto della produttività, manca personale in diverse realtà e il welfare è ipotecato.

Tutto questo succede mentre c’è un nuovo scenario mondiale e un nuovo scenario tecnologico «nei quali le barche non salgono e non scendono più tutte con la stessa marea». I forgotten men, i dimenticati che scontano la deindustrializzazione, non sono solo nel Midwest, avverte il direttore del Censis Massimiliano Valerii presentando il rapporto. “Sono anche da noi”, segnala spiegando che i dati della tradizionale indagine annuale raccontano bene le speranze, l’ottimismo autentico, dell’era della globalizzazione arrivate ormai al capolinea. L’Italia sta attraversando profonde trasformazioni che, avverte il Censis, rischiamo di non padroneggiare al meglio. Soprattutto se si sceglie il galleggiamento senza meta di «sempre meno famiglie e imprese che competono», e che mano a mano saranno «sempre meno abili al galleggiamento». Ecco perché la fotografia del Censis assume i contorni di una trappola se si considera che l’85,5% degli italiani è ormai convinto che sia molto difficile salire nella scala sociale. Serve uno scatto ottimistico e interrompere questa spirale di «frustrazione, senso di impotenza, risentimento, sete di giustizia, brama di riscatto, smania di vendetta ai danni di un presunto colpevole», che non sfocia in rabbia violenta ma ci penalizza comunque.

I pochi, futuri e ricchissimi ereditieri: gli effetti della denatalità

Il senso della stasi è attribuibile anche alla denatalità che crea anche un “imbuto” dei patrimoni. Il Censis spiega, cioè, che a causa della prolungata flessione delle nascite il numero degli eredi si riduce, quindi in prospettiva le eredità si concentreranno e faranno scattare dei meccanismi psicologici opposti all’intraprendenza.

Il 51% delle famiglie possiede il 58% dei patrimoni

Le famiglie della generazione silenziosa (che comprende i nati prima della Seconda guerra mondiale) e del baby boom (i nati tra il dopoguerra e i primi anni ’60), rappresentano insieme il 51,3% del totale delle famiglie (il 35,4% sono nuclei di baby boomer), ma a loro appartiene il 58,3% della ricchezza netta (il 43,3% alle famiglie di baby boomer).

Dal 2008 al 2023 abbiamo registrato circa 200.000 nascite annue in meno (-34,1% in quindici anni). Se si considera che nello stesso arco di tempo il numero delle donne in età feconda (statisticamente, per convenzione, la popolazione femminile di 15-49 anni di età) è diminuito di 2,3 milioni (-16,6%), si comprende che ben due terzi (circa il 63%) del minore numero di nascite è da attribuire alla forte riduzione delle potenziali madri. «Ciò significa – scrive il Censis – che il processo di denatalità è destinato inesorabilmente a perpetuarsi anche qualora si riuscisse miracolosamente a invertire la traiettoria declinante del tasso di fecondità». Di conseguenza, il calo demografico determinerà un incremento della quota pro-capite delle future eredità, diminuendo in prospettiva la numerosità dei millenial e degli zoomer futuri percettori. Resta da chiedersi quale sarà l’effetto psicologico dell’attesa su coloro che sanno di essere destinatari di un atto di successione. Probabilmente una minore intraprendenza, una ridotta propensione al rischio imprenditoriale, tipico di chi ha aspettative, o chi si sente, o crede di essere, un redditiere (rentier).

I giovani: il 16,8% assume sonniferi o psicofarmaci

Il 58,1% dei giovani di 18-34 anni si sente fragile, il 56,5% si sente solo e il 69,1% ha bisogno di sentirsi rassicurato. Si tratta di stati d’animo legati all’incertezza, alla paura di non farcela, alle difficoltà sperimentate nel reggere il confronto con i pari. Se vissuti di frequente, possono sfociare in frustrazione, stati d’ansia, attacchi di panico, depressione o disturbi alimentari. Infatti: – il 51,8% dei giovani dichiara di soffrire di stati d’ansia o depressione, contro il 40,8% delle persone di età compresa tra i 35 e i 64 anni e il 19,0% degli ultrasessantacinquenni; – il 32,7% dei 18-34enni afferma di soffrire di attacchi di panico, a fronte del 23,8% degli adulti e del 4,2% degli anziani; – il 18,3% dei giovani esprime con il corpo il proprio malessere e denuncia di soffrire di disturbi del comportamento alimentare, come anoressia e bulimia, mentre la quota scende al 12,8% tra gli adulti e all’8,2% tra gli anziani. Di fronte alla manifestazione di questa sintomatologia, che solo in alcuni casi arriva a sfociare in una vera e propria patologia, ma che comunque dà il senso di quanti giovani non stiano bene con sé stessi e con gli altri: – un giovane su tre (il 29,6% del totale) dichiara di essere andato in cura da uno psicologo, mentre tra gli adulti la percentuale scende al 17,9% e tra gli anziani si ferma ad appena l’1,9%; – e − un dato ancora più preoccupante − il 16,8% assume sonniferi o psicofarmaci.

L’altra faccia della medaglia: il 19,3% dei dirigenti di aziende private e amministrazioni pubbliche ha meno di 40 anni

A fronte di questi dati il Censis dice anche che c’è anche una maggioranza silenziosa fatta di giovani che studiano, lavorano, sono soddisfatti della propria vita, in Italia o all’estero. In Italia gli occupati tra i 25 e i 34 anni di età sono 4.187.000: di questi, 1.392.000 (il 31,7% del totale) sono laureati. Si tratta di una quota in crescita di anno in anno, aumentata del 14,0% dal 2019 a oggi; il 19,3% dei dirigenti di aziende private e amministrazioni pubbliche ha meno di 40 anni. Nel terzo trimestre del 2024 sono quasi 200.000 i titolari e soci d’impresa con meno di 30 anni. Nello stesso periodo si contano 2.208 start up innovative, vale a dire imprese ad alto contenuto tecnologico costituite da non più di cinque anni, in cui la partecipazione alla proprietà e alla governance di under 35enni è maggioritaria. L’ultimo Censimento dell’agricoltura del 2020 ha contato 104.886 aziende con un capoazienda con meno di 40 anni. Di questi, il 19,4% era laureato e il 27,9% dichiarava di aver creato l’azienda ex novo. I giovani ricercatori universitari con meno di 35 anni sono 3.944, aumentati del 138,3% rispetto al 2019, mentre i titolari di assegni di ricerca sono 10.676 (+18,7% dal 2019).

Gli expat

Dal 2013 al 2022 sono espatriati dall’Italia circa 352.000 giovani tra i 25 e i 34 anni (oltre un terzo del totale degli espatri). Di questi, più di 132.000 (il 37,7%) erano in possesso della laurea. Negli anni i laureati sono aumentati: nel 2013 erano il 30,5% degli emigrati dall’Italia e nel 2022 sono diventati il 50,6% del totale.

Complotti e convinzioni irrazionali ed errate

Torna il pericoloso convincimento che lega gli ebrei a una sovrastruttura di potere. Non solo c’e anche il 15,3% degli italiani che crede che l’omosessualità sia una patologia con origini genetiche. A doppia cifra anche considerazioni totalmente infondate ritenute credibili dal 13,1% delle persone che ritiene che l’intelligenza delle persone dipenda dalla loro etnia. Per il 9,2% la propensione a delinquere avrebbe una base genetica (si nasce criminali) e per l’8,3% islam e jihadismo sono la stessa cosa.

L’avversione per l’Occidente e le guerre identitarie

Traspare un’avversione per l’Occidente, per i nostri valori costitutivi persino per la democrazia, la partecipazione, l’europeismo e l’atlantismo. Il tasso di astensione alle ultime elezioni europee ha segnato un record nella storia repubblicana: il 51,7% (alle prime elezioni dirette del Parlamento europeo, nel 1979, l’astensionismo si fermò al 14,3%). Per il 71,4% degli italiani l’Unione europea è destinata a sfasciarsisenza riforme radicali. Il 68,5% ritiene che le democrazie liberali non funzionino più. E il 66,3% attribuisce all’Occidente (Usa in testa) la colpa dei conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente. Non a caso, solo il 31,6% si dice d’accordo con il richiamo della Nato sull’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil.

Anche in Italia è arrivata la cultura woke e abbiamo scatenato guerre identitarie fatte di contrapposizioni su istanze individuali etnico-culturali, religiose, di genere o relative all’orientamento sessuale. Il Censis parla di rivalità delle identità e di lotta per il loro riconoscimento. Il 38,3% degli italiani si sente minacciato dall’ingresso nel Paese dei migranti, il 29,3% prova ostilità per chi è portatore di una concezione della famiglia divergente da quella tradizionale, il 21,8% vede il nemico in chi professa una religione diversa, il 21,5% in chi appartiene a una etnia diversa, il 14,5% in chi ha un diverso colore della pelle, l’11,9% in chi ha un orientamento sessuale diverso.

Oltre 200mila cittadinanze concesse nel 2023

Mentre si ingaggiano queste guerre identitarie l’Italia cambia. «Siamo una società un po’ occidentale e un po’ mediterranea, levantina e mediorientale, contadina e cibernetica, poliglotta e dialettale, mondana e plebea», si legge nel Rapporto. E l’Italia cambia profondamente se in dieci anni c’è stato un aumento di richieste della cittadinanza italiana del 112%, dato che colloca il nostro Paese al primo posto tra tutti i Paesi dell’Unione europea per numero di cittadinanze concesse (213.567 nel 2023). Nessuno si è aperto quanto noi: in Spagna sono state 181.000 le cittadinanze, 166.000 in Germania, 114.000 nella multietnica Francia, 92.000 in Svezia. Solo nel 2022, le cittadinanze italiane ammontavano al 21,6% di tutte le acquisizioni registrate nell’Ue (circa un milione). Eppure non c’è una percezione di questo mutamento morfologico degli italiani perché il 57,4% ritiene e parteggia per lo ius sanguinis cioè pensa che l’«italianità» sia cristallizzata e immutabile, definita dalla discendenza diretta da progenitori italiani. Per il 36,4%, invece, è connotata dalla fede cattolica, per il 13,7% è associata a determinati tratti somatici. Intanto, negli ultimi dieci anni sono stati integrati quasi 1,5 milioni di nuovi cittadini italiani, che prima erano stranieri.

Lavoro e Pil. Turismo e industria

Nonostante i segnali non incoraggianti circa l’andamento del Pil, il numero degli occupati si è attestato a 23.878.000 nella media dei primi sei mesi dell’anno, con un incremento di un milione e mezzo di posti di lavoro rispetto all’anno nero della pandemia e un aumento del 4,6% rispetto al 2007. Ma la distanza tra il tasso di occupazione italiano (siamo ultimi in Europa) e la media europea resta ancora significativa: 8,9 punti percentuali in meno nel 2023. Se il nostro tasso di attività fosse uguale a quello medio europeo, potremmo disporre di 3 milioni di forze di lavoro aggiuntive, e se raggiungessimo il livello europeo del tasso di occupazione, supereremmo la soglia dei 26 milioni di occupati: 3,3 milioni in più di quelli registrati nel 2023.

La produzione delle attività manifatturiere italiane è entrata in una spirale negativa: -1,2% nel confronto tra il 2019 e il 2023. Nel breve termine, il raffronto dei primi otto mesi del 2024 con lo stesso periodo del 2023 fa registrare una caduta del 3,4%. Tra le attività in cui la frenata appare più netta si mettono in evidenza il tessile e l’abbigliamento (-20,5% nell’arco di quattro anni, -10,8% nel periodo gennaio-agosto 2023-2024) e il settore del legno e della carta (-15,8% in quattro anni). La riduzione della produzione caratterizza tutti i settori del manifatturiero, l’eccezione dell’agroalimentare (+2,7% tra il 2019 e il 2023 e +1,8% nel confronto dei con primi otto mesi).

Overtourism a Roma

Invece, nel 2023 le presenze turistiche in Italia hanno raggiunto i 447 milioni, con un incremento del 18,7% rispetto al 2013. L’aumento più evidente nel decennio è attribuibile alla componente estera (+26,7%), che ora si colloca sui 234 milioni di presenze, mentre il turismo domestico è comunque cresciuto a un tasso prossimo all’11%. L’overtourism è particolarmente evidente in città come Romadove le presenze turistiche nel 2023 sono state pari a 37 milioni. Tra i dieci comuni italiani maggiormente investiti dai flussi turistici, dopo Roma si piazza Venezia, con 12,6 milioni di presenze.

Le figure professionali che mancano: dagli artigiani e gli idraulici alle ostetriche e i cuochi

Ci sono lavoratori talmente difficili da reperire che l’esiguità dei candidati ha superato il più tradizionale fattore di inadeguatezza. Quindi il rischio è che vengano assunte anche persone non pienamente competenti. Sono di difficile reperimento per esiguità di candidati under 29 il 34,1% delle figure professionali intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione e il 33,3% delle professioni tecniche. Nel 38,9% dei casi non si riescono a trovare giovani che vogliano fare gli artigiani, gli agricoltori o gli operai specializzati.

Specialisti e tecnici della salute sono ormai la primula rossa del mercato del lavoro, anche nel comparto della sanità privata. Il ridotto numero di candidati riguarda ben il 70,7% della domanda di lavoro per infermieri e ostetrici, il 66,8% per i farmacisti e il 64,0% delle posizioni aperte per il personale medico. Inoltre, mancano all’appello candidati per il 34,6% delle professioni sanitarie riabilitative e per il 43,6% delle professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali, tra cui massaggiatori e operatori socio-sanitari.

Ristoratori e albergatori non riescono a trovare soprattutto cuochi (in questo caso il tasso di irreperibilità per ridotto numero di candidati è salito al 39,1% nel 2023) e camerieri (35,3%). La carenza di candidati riguarda anche gli idraulici (il 47,7% delle assunzioni previste) e gli elettricisti (40,2%) –, ma la penuria di operai specializzati investe con analoga intensità anche il comparto industriale in senso stretto: il ridotto numero di candidati penalizza il 40,6% delle assunzioni programmate di operai metalmeccanici specializzati e installatori/manutentori di attrezzature elettriche ed elettroniche, mentre mancano candidati sufficienti per ricoprire il ruolo di conduttori di veicoli o macchinari mobili e di sollevamento nel 38,5% dei casi.

Il welfare: il 76% teme che la pensione non sarà adeguata. L’accesso ai servizi di prossimità.

Negli ultimi dieci anni, tra il 2013 e il 2023, si è registrato un balzo del 23,0% in termini reali della spesa sanitaria privata pro-capite, che nell’ultimo anno ha superato complessivamente i 44 miliardi di euro. Inoltre, al 62,1% degli italiani è capitato almeno una volta di dover rinviare un check up medico, accertamenti diagnostici o visite specialistiche perché la lista di attesa negli ambulatori del Servizio sanitario nazionale era troppo lunga e il costo da sostenere nelle strutture private era considerato troppo alto. Al 53,8% è capitato, in presenza di problemi di salute, di dover fare ricorso ai propri risparmi per pagare le prestazioni sanitarie necessarie. E il 78,5% dichiara che, in caso di problemi di salute, teme di non poter contare sulla sanità pubblica. Anche la configurazione del comparto previdenziale pone una seria ipoteca sul futuro degli italiani: non a caso, il 75,7% pensa che non avrà una pensione adeguata quando lascerà il lavoro per raggiunti limiti di età (in particolare, è l’89,8% dei giovani ad avere questa certezza). E la non autosufficienza, che attualmente coinvolge circa 3 milioni di persone, destinate ad aumentare in modo consistente nel futuro, vista la relazione diretta con l’invecchiamento demografico, è percepita già oggi come una condizione che grava del tutto sulle proprie spalle. Non sorprende pertanto che il 75,0% degli italiani teme che i propri risparmi non basteranno in caso di non autosufficienza. Crescita lenta dell’economia e retribuzioni ridotte non permetteranno di generare flussi finanziari sufficienti per coprire i costi di prestazioni pienamente adeguate. Così, sono sempre di più gli italiani convinti che nel futuro sarà decisivo il ricorso a strumenti di autotutela. «Il welfare sembra destinato a perdere quel carattere di universalismo delle origini, inclusivo e coesivo», si legge nel Rapporto.

Divario città / campagna nei servizi di prossimità

In Italia, scrive il Censis, le famiglie che sperimentano difficoltà per raggiungere una farmacia sono il 13,8% del totale (3,6 milioni) e per accedere a un Pronto soccorso sono il 50,8% (13,3 milioni), nel caso dei residenti in comuni fino a 2.000 abitanti le difficoltà riguardano rispettivamente il 19,8% e il 68,6% delle famiglie. Sul versante della sicurezza, sono poco più di 8 milioni le famiglie italiane che considerano difficile raggiungere un commissariato di polizia o una stazione dei carabinieri. La stessa percentuale (circa il 31%) lamenta difficoltà di accesso ai servizi comunali. Più di un quinto trova difficile raggiungere un negozio di generi alimentari o un mercato, ma per il 54,9% delle famiglie che vivono nei piccoli comuni anche l’accesso a un supermercato può rivelarsi tutt’altro che semplice

La sicurezza: calano i reati ma gli italiani non si sentono al sicuro

Gli omicidi volontari sono diminuiti dai 502 del 2013 ai 341 del 2023 (-32,1%), le rapine sono scese nel decennio da 43.754 a 28.067 (-35,9%), i furti nelle abitazioni si sono ridotti da 251.422 a 147.660 (-41,3%). Poco importa, però, se i reati commessi sul territorio nazionale sono oggettivamente molti meno di quelli di dieci anni fa: per gli italiani il senso di insicurezza aumenta e si avverte perciò il bisogno di sentirsi rassicurati e protetti. L’89,2% degli italiani considera la sicurezza personale una componente fondamentale della qualità della vital’85,5% possiede almeno un dispositivo per la difesa della propria abitazione.

Le persone in possesso della licenza di porto d’armi sono oltre un milione al netto degli appartenenti alle forze dell’ordine: sono per la precisione 1.174.233 nel 2023. Tra questi, 571.008 sono titolari di licenza di caccia, 549.639 hanno la licenza per uso sportivo, 41.937 sono guardie giurate e 11.649 hanno la licenza per difesa. Oggi il 43,6% degli italiani pensa che sparare a un malintenzionato che si introduce in casa per rubare dovrebbe essere considerato un atto legalmente legittimo, il 14,1% è incerto nel prendere una posizione in merito e solo il 42,3% si dice contrario all’idea che venga prevista per legge la possibilità di puntare l’arma contro il ladro.

Le lacune di cultura generale: Giuseppe Mazzini illustre sconosciuto

«Si palesano profondi buchi di conoscenza in tutte le fasce di età anche in relazione a nozioni che si sarebbe tentati di dare per scontate», si legge. Nelle rilevazioni del Censis per il 19% Mazzini è stato un politico della prima Repubblica e per il 32% la Cappella Sistina è stata affrescata da Giotto o da Leonardo. Il 29,5%, invece, non sa che Potenza è il capoluogo della Basilicata. Il 55,2% degli italiani risponde in modo errato o non sa che Mussolini è stato destituito e arrestato nel 1943, il 30,3% (in questo caso il dato sale al 55,1% tra i giovani) non sa dire correttamente chi era Giuseppe Mazzini, il 30,3% non conosce l’anno dell’Unità d’Italia, il 28,8% ignora quando è entrata in vigore la Costituzione. La metà degli italiani (49,7%) non sa indicare correttamente l’anno in cui è scoppiata la Rivoluzione francese, il 42,1% non conosce l’anno in cui l’uomo è sbarcato sulla Luna, il 25,1% ignora l’anno della caduta del muro di Berlino, il 22,9% non sa che Richard Nixon è stato un Presidente degli Stati Uniti (e non un grande calciatore inglese, come crede il 2,6%), il 15,3% non conosce Mao Zedong (o magari lo scambia per l’uomo più anziano del mondo, come fa l’1,9%) e, infine, il 13,1% non sa che cosa è stata la guerra fredda. Il 41,1% degli italiani crede erroneamente che Gabriele D’Annunzio sia l’autore de L’infinito oppure non sa dare una risposta in merito, per il 35,1% Eugenio Montale potrebbe essere stato un autorevole presidente del Consiglio dei ministri degli anni ’50, il 18,4% non può escludere con certezza che Giovanni Pascoli sia l’autore de I promessi sposi e, infine, il 6,1% crede che il sommo poeta Dante Alighieri non sia l’autore delle cantiche della Divina Commedia. Il 35,9% degli italiani cade nell’abbaglio di considerare Giuseppe Verdi l’autore dell’Inno di Mameli o comunque non ha una idea in proposito.

Conclusioni

La sindrome italiana è la continuità nella medietà, in cui restiamo intrappolati: né capitomboli rovinosi nelle fasi recessive, né scalate eroiche nei cicli positivi. Ma nasconde una insidia. Se il ceto medio si sfibra (i redditi sono inferiori del 7% rispetto a vent’anni fa) fermenta l’antioccidentalismo e si incrina la fede nelle democrazie liberali, nell’europeismo e nell’atlantismo: il 66% degli italiani incolpa l’Occidente dei conflitti in corso e solo il 31% è d’accordo con il richiamo della Nato sull’aumento delle spese militari. Intanto si infiamma la guerra delle identità sessuali, etnico-culturali, religiose, in lotta per il riconoscimento. Mentre è in atto una mutazione morfologica della nazione (l’Italia è prima in Europa per acquisizioni di cittadinanza: +112% in dieci anni). Siamo preparati culturalmente? Nel Paese degli ignoranti, per il 19% Mazzini è stato un politico della prima Repubblica e per il 32% la Cappella Sistina è stata affrescata da Giotto o da Leonardo. Ecco i conti che non tornano nel sistema-Italia: più lavoro e meno Pil, turismo su e industria giù, carenza di personale e ipoteche sul welfare. Giovani: i disagiati e i salvati

Redazione amaperbene.it

AMAxBenE è l’acronimo di AliMentAzione per il BenEssere, il sito amaperbene.it è indipendente, senza un editore e senza conflitti di interesse, non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. Per saperne di più contatta la redazione: redazione@amaperbene.it

Articoli Correlati